Cosa unisce i casi Regeni e marò

È scomodo e poco “politicamente corretto” ricordare un riflesso delle due vicende: la mal celata arroganza occidentale e la viscerale stizza di chi non vuol essere più trattato da Paese in via di sviluppo…
Regeni e marò © Michele Zanzucchi 2015

Le vicende dei marò e di Giulio Regeni sono diversissime: nel primo caso un giovane ricercatore ha perso la vita dopo le torture perpetrate dagli agenti di qualche zona oscura dei servizi egiziani; nel secondo due fucilieri di marina, che hanno ucciso dei pescatori indiani, sono da tre anni in attesa di un processo equo. Le somiglianze tra i due casi paiono molto flebili.

 

Ma c’è un elemento che pochi finora hanno sottolineato: stiamo assistendo a un film imbarazzante e altamente irritante per i nostri nervi in cui va in scena il braccio di ferro tra una nazione blasonata, tempio dell’arte e della cultura, economicamente spregiudicata come le tante democrazie occidentali, politicamente un po’ ondivaga ma comunque saldamente ancorata nelle convenzioni democratiche occidentali, e due Paesi emergenti, due colossi culturali ed economici nei rispettivi ambiti (subcontinente indiano e mondo arabo), due democrazie che non rispondono agli standard occidentali, ma che comunque stanno facendo la loro strada, talvolta tortuosa ma pur sempre stimolante.

 

Perché questi due Paesi hanno reagito così duramente alle richieste italiane, perché ne inventano una dopo l’altra per rinviare sine die processi e indagini? Perché s’assiste a un crescendo di reciproche accuse mentre le amministrazioni statali si lanciano occhiate in cagnesco? I massimi governanti cercano di calmare il gioco, consci delle possibili ripercussioni economiche dei due casi; e tuttavia da una parte pare che dalla pancia di India ed Egitto emerga un’insofferenza assai profonda e radicata contro «questi europei che vorrebbero continuare a dettar legge nel mondo, mentre ormai i tempi sono cambiati e bisogna trattarsi alla pari» (parole udite a un telegiornale indiano); mentre dall’altra parte, dalla pancia europea, in questo caso italiana, emerge un moto altrettanto violento di insofferenza per «questi sottosviluppati che non sanno rispettare le leggi della convivenza civile e dei trattati internazionali» (analogo telegiornale italiano).

 

Cosa ci insegna la vicenda congiunta Regeni-marò? Nell’epoca della multipolarità, della fine della bipolarità Russia-Usa e dell’egemnonia degli yankee-gendarmi-del mondo, la convivenza tra i popoli richiede chiarezza di trattati internazionali e arbitri certi. La diplomazia ha il suo da fare per qualche decennio. Ma nessun accordo internazionale potrà mai portare effetti positivi se il rispetto reciproco e sentimenti di reale uguaglianza non emergeranno dalle culture, tutte. Solo la scuola salverà i parlamenti. Soprattutto la scuola, non tanto le tv e i giornali.

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