Cosa significa “accountability”?

Nel dibattito politico attuale spesso nel definire il rapporto tra governanti e governati ricorre il termine inglese “Accountability”. Cosa significa? Anna Ascani ha dedicato al tema un saggio appena uscito per i tipi di Città Nuova: Accountability, la virtù della politica democratica
Accountability

Nell’accostarsi allo studio del concetto di accountability ciò che immediatamente attira l’attenzione di qualunque os­servatore è l’utilizzo molto frequente del termine inglese da parte di coloro che hanno tentato, nel tempo, di definirne fondamenti e implicazioni. Occorre, dunque, fare subito una precisazione utile a chiarire che una tale scelta è dettata non dall’esercizio di un vezzo stilistico, ma da una stretta necessità: non esiste, infatti, una traduzione adeguata (che riesca a espri­mere, cioè, il medesimo significato) della parola accountability né nelle lingue romanze (es.: italiano, spagnolo o francese, che utilizzano termini simili all’inglese responsibility), né in quel­le del Nord e dell’Est Europa (es.: finlandese e russo, che si soffermano da una parte sull’idea di dovere, di obbligo – in­glese: duty – e, dall’altra, sulla dimensione “contabile”, ovvero sull’applicazione del termine in campo finanziario ed econo­mico – inglese: book-keeping).

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Per non rischiare di farsi travolgere dall’ampia varietà delle definizioni e degli utilizzi è, dunque, di grande impor­tanza attenersi al core sense del termine accountability: «A è accountable verso B quando A è obbligato a informare B cir­ca le proprie azioni (passate e future) e le proprie decisioni, a giustificarle/spiegarle e a subire punizioni/sanzioni nel ca­so di un’eventuale cattiva gestione».

Dunque, in riferimen­to all’ambito politico che qui ci interessa considerare, per accountability intendiamo «quei meccanismi che regolano la relazione tra governanti e governati, rappresentanti e rappre­sentati, che vincolano i primi a rendere i secondi edotti delle azioni intraprese per loro conto (nel loro interesse) e consen­tono ai secondi di giudicare e, eventualmente, intraprendere azioni contro i primi, sulla base delle informazioni e delle giu­stificazioni ricevute».

Da questa definizione è possibile rica­vare alcune importanti considerazioni. Per prima cosa, risulta evidente che quello di accountability non è un concetto mo­nolitico, perché per il suo funzionamento sono necessari, allo stesso tempo, l’informazione, la spiegazione/giustificazione/argomentazione e l’applicazione di sanzioni; in secondo luo­go, questi tre elementi sono riconducibili a due dimensioni fondamentali: i primi due all’answerability (termine utilizzato spesso come sinonimo di accountability, anche se esso, come vedremo, serve a identificare esclusivamente una parte del si­gnificato di quest’ultima), il terzo all’enforcement, ovvero alla consequenzialità, senza la quale l’accountability si trasforme­rebbe in una farsa e perderebbe, dunque, il proprio senso.

Dalla presenza contestuale dei tre elementi sopra cita­ti deriva, inoltre, la natura “sinonimica” dell’accountability che costituisce un’importante fonte di riflessione, ma è an­che una possibile matrice d’errore, che ha finito, nel tempo, per sminuire l’indagine sul concetto complessivamente inte­so, anziché arricchirla.

Abbiamo già accennato al fatto che l’espressione answerability non può in alcun modo sostituire l’idea di accountability, di cui costituisce piuttosto un seg­mento: essa coincide, infatti, soltanto con «la capacità di assi­curare che i pubblici ufficiali e i governanti rispondano delle loro azioni e ne diano giustificazione». Tuttavia, è impor­tante notare come all’interno del concetto di answerability si trovino sommati, a loro volta, due aspetti: quello meramente “informazionale”, da ricondurre al significato strettamente “economico” del termine account, ovvero all’idea di contabi­lità (i rendiconti finanziari non sono altro, da un certo punto di vista, che una raccolta di informazioni), e quello più discor­sivo, che fa invece riferimento all’elemento narrativo, all’idea, cioè, del “render conto”. È proprio attraverso questa preci­sazione che Schedler giunge a definire una delle caratteristi­che fondamentali dell’accountability: essa richiede un dialogo costante, che si configuri non come discorso unidirezionale, ma implichi il diritto di domandare spiegazioni circa la con­dotta di qualcuno e il dovere, corrispondente, di fornirle.

Possiamo, dunque, a buon diritto affermare che l’answerabi­lity ci rivela la natura dell’accountability in quanto “concetto relazionale”, che implica, cioè, un rapporto tra due parti, le quali possono essere poste o sullo stesso piano (orizzontale) o su piani differenti (verticale).

Altro sinonimo che si trova utilizzato soprattutto nei te­sti degli studiosi che scrivono in lingue diverse dall’inglese è, come abbiamo accennato, il termine responsabilità. Occorre soffermarsi con grande attenzione su questo punto per chia­rire in modo puntuale la ragione per la quale i due concetti non sono assolutamente sovrapponibili e l’importanza delle distinzioni. Se nel caso dell’answerability ci troviamo di fronte a una parte del tutto che ci stiamo accingendo a definire, qui la situazione è completamente capovolta: l’accountability può, infatti, essere considerata un membro dell’ampia “famiglia” della responsabilità. Pensare, invece, che ad essa sia da attri­buire una dimensione propriamente etica (internal accounta­bility), come suggerisce Dubnick, significa, a nostro avviso, confondere i fondamenti coi derivati. L’accountability è, per sua natura, infatti, qualcosa di “esterno”: essa consiste in una serie di meccanismi che contribuiscono al funzionamento di una democrazia rappresentativa, ma l’orizzonte etico entro il quale essa si colloca, implicando la devozione dei pubblici uf­ficiali alla causa del “bene comune” e, dunque, la responsabi­lità, personale e civile, non può certo essere inserito all’interno della sua portata.

Quella che Weber ne La politica come professione definisce “etica della responsabilità”, «secondo la quale si deve rispondere delle conseguenze (prevedibili) del proprio agire», fa, dunque, da substrato all’applicazione dei mecca­nismi di accountability, ma certamente non si esaurisce in essi (e il tono col quale lo stesso Weber si riferisce alla condizione “tragica” di chi sceglie la politica, pur sapendo di dover strin­gere “un patto col diavolo” e, quindi, rinunciare alla salvezza dell’anima, dimostra l’eccedenza di questo discorso rispetto al concetto che qui ci interessa analizzare).

Vi è inoltre, a questo proposito, un’altra interessante que­stione che viene sollevata da Schedler: la responsabilità perso­nale che il concetto di accountability richiama non è soltanto responsabilità “per qualcosa”, ma anche “nei confronti di qualcuno”. Se nel periodo antecedente alla Modernità (con le significative eccezioni che analizzeremo nel capitolo succes­sivo) il sovrano sembra dover rispondere delle proprie azioni soltanto di fronte alla propria coscienza, alla storia o a Dio, nel sistema democratico ciò che risulta assolutamente centrale è, al contrario, la responsabilità dei governanti nei confronti dei governati, tanto che gran parte delle formulazioni teoriche che anticipano e descrivono gli sviluppi della politica moder­na e contemporanea (potremmo dire da Rousseau, ma anche da Locke, in avanti) sono un tentativo di porre in evidenza e rafforzare questo particolare aspetto.

L’ultimo dei sinonimi che ci interessa qui prendere in considerazione è, infine, l’espressione “sistema di controllo”, diffusamente utilizzata soprattutto nel contesto statunitense (quello dei checks and balances ovvero “freni e contrappesi”). Anche in questo caso è importante operare dei distinguo.

Ren­dere qualcuno accountable per qualcosa, infatti, non può si­gnificare decidere puntualmente cosa egli debba fare, pena lo svuotamento del senso stesso del “chieder conto”: se mi trovo nelle condizioni per cui sono io a controllare, letteralmente, coloro che sono chiamati all’esercizio di un potere, se sono io, dunque, a determinare i metodi di gestione e di impiego di quel potere, come potrò chieder conto a qualcun altro di una qualsiasi azione?

Possiamo concludere questa prima parte, riguardante la definizione del termine e del suo ambito di utilizzo, ribadendo che parola e concetto hanno storie distinte e che l’una non esaurisce l’altra; che occorre mantenersi entro un orizzonte molto circoscritto, senza voler dilatare eccessivamente la por­tata dei meccanismi di accountability; che si deve evitare l’im­piego di eventuali sinonimi, poiché essi o indicano una parte dell’idea che qui trattiamo, oppure, addirittura, ne individua­no il fondamento.

 

Anna Ascani, Accountability, la virtù della politica democratica

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