Cosa rimane del matrimonio?

La riforma del divorzio: tra “divorzio facile” e “divorzio breve”. La tendenza normativa a trasformare questi percorsi in meri iter burocratici in cui la riflessione sulle conseguenze rischiano di essere sacrificate alle esigenze di celerità e semplicità delle procedure
divorzio

Il decreto legge 132/2014 ha introdotto quello che i giornali definiscono il cosiddetto “divorzio facile” che accanto all’imminente e più volte annunciata introduzione del “divorzio breve” dovrebbe produrre una sensibile riduzione dei tempi e dei costi delle cause in materia di scioglimento del matrimonio.

Ma andiamo per ordine! Che cosa si intende per divorzio facile? La nuova normativa introdotta con d.l. 132/2014 prevede che le coppie che intendano separarsi o divorziare possano scegliere strade alternative alla introduzione di un giudizio in Tribunale. Due sono le nuove strade previste dal decreto legge. La prima opzione prevede la possibilità che le coppie in crisi senza figli minori o maggiorenni incapaci, con handicap o non autonomamente sufficienti, possano decidere di separarsi o divorziare in forza di un accordo sottoscritto in uno studio di un avvocato. I coniugi che intendano scegliere tale opzione devono rivolgersi a un avvocato (uno per parte) il quale redige una convenzione di negoziazione assistita ovvero un accordo con il quale i coniugi attraverso i loro legali pattuiscono in via amichevole le condizioni della separazione o del divorzio. Gli avvocati nella convenzione devono attestare di aver provato a conciliare i coniugi e di aver suggerito loro la possibilità della mediazione familiare. I termini per l’eventuale divorzio (tre anni allo stato) dovrebbero decorrere dalla stipula della convenzione da parte dei coniugi. Gli avvocati hanno, poi, l’obbligo di trasmettere l’accordo al Pubblico Ministero presso il Tribunale competente. Il Pubblico ministero ha il compito di verificare l’esistenza di eventuali irregolarità: se non ne riscontra concede il nulla osta agli avvocati a trasmettere l’atto all’ufficiale di stato civile.

L’altra opzione alternativa al ricorso al Tribunale prevista dal decreto legge è la possibilità di sottoscrivere un accordo di separazione o di divorzio di fronte al sindaco. La procedura è riservata alle coppie senza figli e nell’accordo davanti al sindaco non è possibile inserire patti aventi a oggetto trasferimenti patrimoniali, incluse decisioni su somme di denaro o beni mobili. Non è, inoltre, necessaria la presenza degli avvocati.

Le due nuove procedure potranno probabilmente ridurre i tempi e costi delle separazioni e dei divorzi, ma la lettura delle norme suscita diversi dubbi e perplessità. Per quanto concerne la separazione ovvero il divorzio a mezzo negoziazione assistita poco spazio viene dato al tentativo di conciliazione dei coniugi che, delegato agli avvocati, rischia di diventare ancora meno efficace e rilevante rispetto a quello tentato dal presidente del Tribunale. In merito alla seconda delle due procedure alternative si può presumere che il sindaco investito di una richiesta di separazione o di divorzio procederà normalmente alla delega della pratica a un funzionario con il rischio di ridurre il tutto a una mera formalità. Inoltre la burocratizzazione della procedura e la non obbligatorietà della presenza dell’avvocato potrebbe determinare situazioni in cui il coniuge più debole o succube psicologicamente non venga adeguatamente tutelato.

Passiamo a esaminare ora l’altra riforma quella denominata “divorzio breve” che è stata approvata dalla Camera il 29 maggio scorso e che è ora all’esame della Commissione Giustizia del Senato. La normativa prevede che ai fini della domanda di divorzio siano sufficienti dodici mesi di separazione se manca il consenso tra marito e moglie oppure sei mesi in caso di separazione consensuale. Il giudizio su questa nuova riforma non può essere che negativo. Anche con l’accelerazione dei tempi per lo scioglimento, ovvero la cessazione degli effetti civili del matrimonio, si rischia di trasformare le procedure di divorzio in meri adempimenti burocratici in cui la celerità dei tempi per intraprendere la procedura impedisce di soffermarsi sulla rilevanza delle conseguenze personali.

In conclusione la tendenza normativa evidente è quella di trasformare separazione e divorzio in meri iter burocratici in cui la tutela dei diritti e la riflessione sulle conseguenze rischiano di essere sacrificate alle esigenze di celerità e semplicità delle procedure.

Assimilare nei fatti lo scioglimento del matrimonio allo scioglimento di un rapporto contrattuale equivale a tentare di svuotare di contenuti un’istituzione, quella familiare appunto, che costituisce il caposaldo della coesione e della protezione sociale. 

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