Corpo attaccato

Nell’inevitabile globalizzazione del vocabolario del corpo, la Biennale Danza veneziana si orienta verso tendenze portatrici di nuove forme di movimento, di stimoli e di idee. Il direttore artistico, il brasiliano Ismael Ivo, ha tracciato, nell’edizione appena conclusa, una sua visione del linguaggio coreografico rivolgendo lo sguardo alla complessa convergenza di tradizione e pensiero contemporaneo. Sotto il titolo Body attack ha convogliato stili e modelli anche agli antipodi – inclusi gruppi interetnici come gli Indios Xavante do Mato Grosso, o la compagnia Tchétché della Costa d’Avorio – per riflettere sui diversi modi con cui il corpo viene attaccato, bersagliato, e interrogato nelle nazionalità, nei codici, nei comportamenti, nelle forme e nelle regole. La compagnia della bionda canadese Louise Lecavalier – componente storica dei vertiginosi La La La Human Steps – si smarrisce nel lento decollare di una coreografia, CobaltRouge, che alterna duetti straordinari di danza e momenti invece di fiacca per un insistito surrealismo teatrale. Più dirompente l’altra canadese Marie Chouinard che con Body remix/ Golgdberg Variations espande le possibilità di movimento nello spazio dissezionando il gesto. Lo fa fornendo ai ballerini delle protesi – stampelle, grucce, guanti, corde, imbracature – per storpiare il corpo, sottoporlo alla fatica ulteriore di una deformazione e alla sofferenza della atrofizzazione. In questa tensione si avverte una ricerca di bellezza che vuol fare dell’ostacolo fisico una possibilità di nuovi slanci tesi a reinventare il gesto. La parodia del balletto classico con le scarpette a punta fatte indossare anche agli uomini, gli esercizi alla sbarra, le silhouette eleganti che scorrono, accentuano il contrasto tra leggerezza e pesantezza. Nuoce però alla forza dell’assunto la ripetività della seconda parte del balletto. Ripetitivo è anche Jue Aware della cinese Beijing Modern Dance Company. Il rapporto madre e figlia – ovvero antico e moderno, pre e post rivoluzione culturale, staticità e dinamismo – nel manifestarsi di due diversi linguaggi della danza, riflette il processo di trasformazione della Cina di oggi e del reciproco alimentarsi fra tradizione e contemporaneità. Nei sei segmenti coreografici tra tagli di luci quadrati e abiti colorati, gli assoli della giovane Gao Yanjinzi dalla bianca veste e dai lunghissimi capelli anch’essi danzanti, danno volo al desiderio di una nuova libertà espressiva. Più teatrale che danzata la pièce Letters from Tentland della coreografa berlinese Helena Waldmann: sette tende in scena che si agitano, volteggiano, gridano, rivelando il mondo interiore e oppresso delle donne iraniane. Tra inevitabili tonfi e trionfi, Ivo ha comunque messo in campo un progetto coerente nella scelta variegata e inusuale degli artisti. Che gli è valsa la riconferma alla direzione della prossima edizione.

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