Coronavirus, rivolta nelle carceri italiane

Dilagano le manifestazioni di protesta nelle carceri, una rivolta che alimenta il clima di tensione legato all’emergenza Coronavirus, mettendo in luce le carenze del sistema penitenziario italiano
Foto Cecilia Fabiano/ La Presse

È in corso in molti penitenziari italiani la protesta contro il Governo a seguito delle misure adottate nei decreti varati dal Consiglio dei Ministri per fronteggiare il virus Covid-19.

A Milano decine di detenuti sono saliti sul tetto del carcere di San Vittore, a Pavia alcuni di loro hanno devastato la struttura dopo aver tenuto in ostaggio agenti della polizia penitenziaria. Tentativi di evasione sono stati registrati anche all’interno del noto carcere Palermo, l’Ucciardone.

Nel complesso, secondo il sindacato di polizia penitenziaria, sono in atto proteste e rivolte in almeno 23 case circondariali italiane. Le situazioni più gravi interessano le carceri di Modena, dove sei detenuti hanno perso la vita in circostanze da chiarire e a Foggia, dove sarebbero riuscite ad evadere oltre 50 persone, la maggior parte delle quali fermate nuovamente.

Disordini anche a Roma, nel carcere di Rebibbia dove polizia è intervenuta lanciando lacrimogeni dopo che alcuni detenuti hanno manifestato bruciando dei materassi.

La rivolta è esplosa a causa della soppressione dei colloqui con i familiari, ma anche a seguito della diffusione di falsi allarmi in merito alla presenza di possibili contagi all’interno degli istituti penitenziari.

Secondo il ministro della Giustizia Bonafede «alcune norme previste nel decreto legge, come il limite ai colloqui fisici e la possibilità per i magistrati di sorveglianza di sospendere i permessi premio e la semilibertà – misure che valgono per i prossimi 15 giorni – hanno soltanto la funzione di garantire proprio la tutela della salute dei detenuti e tutti coloro che lavorano nella realtà penitenziaria. Manterremo un dialogo costante – sottolinea il Guardasigilli – nei dipartimenti di competenza sono attive task force e si assicura la costante informazione all’interno delle strutture per la popolazione detenuta e i lavoratori. Ma deve essere chiaro che ogni protesta attraverso la violenza è solo da condannare e non porterà ad alcun buon risultato».

Da tempo la situazione all’interno nelle carceri italiane è preoccupante a causa del sovraffollamento. Lo attestano i dati forniti al Parlamento dal Ministro della Giustizia lo scorso gennaio, secondo cui sono circa 10 mila i detenuti in eccesso rispetto ai posti effettivamente disponibili. All’interno della popolazione carceraria i condannati con sentenza definitiva sono 41.873. Circa diecimila (9.920) i detenuti in attesa di giudizio.

Soltanto una minoranza, 16.850, ha il permesso di lavorare. In tale contesto, sottolinea il garante nazionale per i diritti dei detenuti, «la sospensione dei colloqui diretti con i familiari, disposta come misura precauzionale per contrastare il diffondersi del virus Covid-19, comporta un grave sacrificio per le persone ristrette e le loro famiglie. La sostituzione delle visite con le video-comunicazioni e con l’aumento del numero di telefonate previste dalla legge richiede uno sforzo organizzativo da parte dell’Amministrazione centrale e degli Istituti, ma soprattutto un impegno teso a favorire una comunicazione corretta e completa sui provvedimenti adottati in carcere e anche sul territorio nazionale».

Per il garante «la difficoltà di accettare misure estreme si accentua nei luoghi di privazione della libertà, dove ancora maggiore deve essere l’attenzione ad assicurare una informazione diffusa e capillare, soprattutto laddove tali provvedimenti toccano il diritto a mantenere i rapporti familiari».

In tal senso sarebbero auspicabili misure straordinarie al fine di alleggerire il sovraffollamento «superando un concetto di prevenzione fondata sulla chiusura al mondo esterno». Il grado di diffusione e intensità delle rivolte pone in primo luogo un serio problema di ripristino della sicurezza e di tutela del personale che opera all’interno dei penitenziari.

Se da un lato la gravità dei disordini in corso esige un intervento volto a garantire il mantenimento dell’ordine pubblico, contemporaneamente induce a riflettere sulle carenze del nostro sistema penitenziario e sull’importanza di ripensare l’intero settore dell’esecuzione penale, ad oggi caratterizzato da uno scarso utilizzo delle misure alternative.

L’emergenza legata al diffondersi del coronavirus rende più che mai necessari maggiori investimenti al fine di modernizzare le attuali strutture fatiscenti, dotandole di aree per la prevenzione e la verifica dello stato di salute dei detenuti potenziando al tempo stesso non solo l’organico delle forze di polizia ma anche quello degli educatori penitenziari, figure che svolgono un ruolo fondamentale di assistenza e formazione al fine di favorire il reinserimento del detenuto.

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