Coronavirus, misure urgenti per le carceri

La situazione degli istituti di pena in Italia è insostenibile sotto l’emergenza da contagio da Covid-19. Alcune soluzioni possibili. Il 40% dei detenuti che vivono nei circa 200 istituti penitenziari sono ancora presunti innocenti.
Claudio Furlan - LaPresse

Sovraffollamento e solitudine, due termini in contraddizione che caratterizzano però la maggior parte delle nostre carceri. In altre parole, i detenuti sono sempre a contatto fra loro, ma in realtà sono persone molto sole.

Secondo l’ultimo Rapporto di Antigone, i reclusi in Italia sono 60.439, quasi 10 mila in più rispetto ai 50.511 posti letto ufficialmente disponibili – se non si considerano gli spazi in ristrutturazione/manutenzione – per un tasso di affollamento di circa il 120%.

Insomma, mentre gli istituti di pena italiani sembrano esplodere, la solitudine implode negli animi dei detenuti, tant’è che la depressione è molto diffusa. Secondo Ristretti Orizzonti nel 2018 si è rilevato l’elevato numero di 67 suicidi. Ciò che preoccupa è che il numero di suicidi negli anni aumenta, e al di là dei motivi che portano i detenuti a compiere un gesto così estremo, è il chiaro sintomo di una sofferenza a volte inascoltata o semplicemente non capita. In questo senso il suicidio rappresenta da una parte la totale solitudine del detenuto, dall’altra, l’ultimo gesto di richiesta di comunicazione e attenzione.

Proviamo ora ad immaginare cosa significano questi due termini in tempi di coronavirus.

Dall’indice di affollamento evidenziato possiamo immaginare che vi sia un alto tasso di promiscuità fra le persone, che vi siano cattive condizioni igieniche e ambienti insalubri, dove il rischio di contagio da Covid-19 diventa elevatissimo e dove è impossibile rispettare le misure di distanziamento sociale, di igiene e di prevenzione previste dai moniti e dai vari decreti profusi dal nostro Governo.

Dall’altra parte, la richiesta di interruzione improvvisa, immediata e sine die degli incontri fra detenuti e familiari, avvocati e volontari, la sospensione delle poche attività svolte in quei luoghi, la soppressione dei permessi premio per evitare che il detenuto, rientrando possa portare il virus nei luoghi di detenzione, ha praticamente tagliato i fili degli unici contatti che il detenuto ha con l’esterno. Insomma, una situazione che rischia di aumentare il disagio e i tentativi di suicidio. A tal proposito è utile ricordare che il 40% dei detenuti che vivono nei circa 200 istituti penitenziari sono ancora presunti innocenti in quanto non ha ancora una condanna definitiva e che nel 2018 si sono contati circa un migliaio di risarcimenti per ingiusta detenzione.

In questo delicato momento di pandemia nessuno può essere lasciato indietro. Per tale motivo le Acli hanno chiesto al Governo di stanziare ogni possibile mezzo economico, e non, per portare a termine nel più breve tempo possibile quattro azioni.

La prima azione da compiere è l’immediata sanificazione di tutte le strutture carcerarie onde evitare il diffondersi del virus e il rafforzamento dei loro presidi sanitari.

La seconda azione dovrebbe prevedere l’alleggerimento dei luoghi di detenzione mediante norme e strumenti giuridici di esecuzione penali alternativi alla detenzione, già previsti dall’ordinamento italiano. Sono circa 16 mila i detenuti a cui resta da scontare meno di due anni di reclusione che potrebbero estinguere la rimanenza della loro pena fuori dal carcere. Sarebbe una bella occasione per sperimentare la diffusione di pene alternative, molto utilizzate in alcuni Paesi europei (Svezia, per esempio), dove diminuiscono luoghi di detenzione e detenuti.

La terza azione dovrebbe rappresentare un antidoto alla solitudine dei carcerati, contro cui si chiede di mettere in campo mezzi di comunicazione alternativi, per esempio, l’uso dell’email o di cellulari comuni per non interrompere il flusso di relazione fra detenuti e familiari.

La quarta azione è quella di incentivare una stretta collaborazione fra cooperative interne alle carceri, Ministero della Sanità e Ministero di Grazia e Giustizia per produrre le mascherine adatte non solo alla comunità interna ai luoghi di detenzione, ma anche alla comunità esterna. Ciò avrebbe il doppio vantaggio di produrre qualcosa di utile in un momento di tale bisogno e di dare un messaggio di solidarietà e speranza ai detenuti, dando loro un compito importante per il Paese. Sarebbe un modo molto semplice per riabilitare la loro immagine a quella parte di popolazione che vede la detenzione come mera punizione.

Ai detenuti può essere tolta la libertà, ma mai si potranno loro togliere la dignità e i diritti di cui noi tutti godiamo, in primis quello alla salute fisica e mentale.

Stiamo attraversando una crisi poderosa che avrà uno strascico molto lungo e che, a partire dalla sanità, toccherà tutte le altre sfere della vita umana, da quella economica a quella sociale a quella psicologica. Il termine crisi deriva dalla lingua greca krino che vuol dire separare e in senso più ampio, giudicare, discernere, valutare. In realtà, contrariamente al significato corrente negativo, crisi ha dunque un’accezione positiva, rappresentando un momento di riflessione, valutazione, scelta in una direzione piuttosto che in un’altra. Bene, è proprio in questo momento di crisi, che bisogna avere il coraggio di trovare soluzioni che consentano di tutelare la salute come diritto di tutti.

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