Coronavirus ed economia, la solidarietà di chi è al sicuro

In parallelo alla richiesta di interventi straordinari delle istituzioni europee, urge una condivisione del danno che l’epidemia sta causando a un gran numero di produttori da parte di coloro che non ne stanno subendo le conseguenze
Mauro Scrobogna /LaPresse

Come se già non bastasse la paura del virus, su molti settori produttivi, in particolare di servizi (tra cui ristorazione, alberghi, trasporti, spettacoli,…), si sono abbattuti gli obblighi di chiusura e il confinamento in casa dei cittadini.  

Giustizia vuole che questi imprenditori e lavoratori rimasti senza reddito per il bene della collettività nazionale siano almeno parzialmente indennizzati. Ciò comporta un impegno di un ordine di grandezza inusitato, e per giunta la “torta” a cui attingere (il reddito nazionale) si sta restringendo, a causa del fermo di quegli stessi settori e per gli ulteriori intoppi ad altri settori produttivi provocati da chiusure di fabbriche per tutelare la salute dei lavoratori, da blocchi di merci alle frontiere, dalle mancate forniture dalla Cina.

Teniamo conto che già in tempi normali in Italia non siamo capaci di finanziare le varie forme di redistribuzione – tra cui anche quelle per sostenere le imprese in difficoltà e i lavoratori che perdono il posto – senza scaricarne il costo sugli anni e le generazioni a venire. Così abbiamo continuato a fare per decenni, punendo sistematicamente i governanti che ci invitavano alla responsabilità di bilancio e sostituendoli con altri che invece suonavano il dolce flauto della demagogia. Al punto da guadagnarci un primato negativo tra i Paesi europei e da aver portato il nostro debito pubblico ad essere continuamente sull’orlo del tracollo.

Peccato, perché era proprio questo il momento di giocare il jolly, ossia fare quest’anno un deficit anche del 10% per poter contrastare la crisi da Covid-19; ma purtroppo questa possibilità ce la siamo già mangiata andando sempre in rosso anche in anni normali. Non è qui il luogo per discutere in quali modi l’Italia possa oggi trovare il modo di sostenere l’economia in caduta libera senza essere attanagliata dalla morsa del debito, con quali interventi delle istituzioni europee e con quali piani di rilancio da realizzare al nostro interno. Comunque sia, non possiamo aspettarci che i massicci trasferimenti di reddito che le nostre istituzioni devono oggi realizzare possa pagarli tutti qualcun altro.

Dove andare allora a pescare i soldi? Ci sono molti italiani che hanno un reddito sicuro, come dipendenti pubblici e di aziende non toccate dalla crisi, o pensionati (soprattutto quelli d’oro e d’argento), e che dal punto di vista finanziario in queste drammatiche settimane non stanno perdendo niente. Certo, hanno il fastidio di uno stile di vita più austero e casalingo di quanto vorrebbero, ma quello che non stanno spendendo in pranzi al ristorante o in serate al cinema se lo ritroveranno in banca, pronto ad essere speso in un momento futuro. È proprio a quel serbatoio di potere di acquisto non utilizzato durante il fermo generale che idealmente si dovrebbe attingere per finanziare la redistribuzione. Sarebbe come dire che almeno una parte degli acquisti non fatti in questo periodo i consumatori dovrebbero considerarli come un volo aereo con biglietto non rimborsabile, che se tu o qualcun altro in famiglia si ammala va perduto.

Forse questa idea di un sacrificio finanziario anche per i “garantiti” potrà non piacere a qualcuno. Non ho usato quella parola indicibile, ma è chiaro che qui si parla di un contributo straordinario da parte di chi non è impoverito da questa crisi; insomma, di una tassa! D’altronde nessuno può pensare che il problema anche economico creato dall’epidemia riguardi solo gli altri.

La solidarietà, come abbiamo visto in questi giorni, passa anche per i bellissimi atti spontanei di sostegno ai più deboli, o di supporto agli operatori sanitari, o di contribuzione volontaria alla costruzione di strutture ospedaliere d’urgenza. Molta altra solidarietà volontaria servirà ancora nelle nuove situazioni che ci attendono. Ma il nostro ritrovato senso di italianità occorre che si manifesti anche in una manifestazione straordinaria di solidarietà fiscale da praticarsi a casa nostra, prima ancora di andare a bussare Oltralpe.

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