Coree unite? Si comincia dallo sport!

Atene 2004, giochi olimpici, torneo di pugilato. Semifinali dei pesi piuma. Kim Song Guk, nordcoreano, uno degli atleti su cui la propria nazione punta maggiormente per aggiudicarsi una medaglia, batte il tedesco Tajbert e si qualifica per la finale di categoria assicurandosi almeno la medaglia d’argento. Jo Seok Hwan, sudcoreano, uno dei migliori pugili del suo paese, esce invece sconfitto dal russo Tichtchenko, che poi vincerà la medaglia d’oro, ma si aggiudica comunque il bronzo. Il giorno della premiazione Kim e Jo sono sullo stesso podio. Durante l’esecuzione dell’inno guardano le bandiere dei loro rispettivi paesi insieme a quella russa del nuovo campione olimpico. Ebbene, se tutto andrà per il verso giusto, non succederà più. E sì, perché in occasione dello storico incontro del prossimo 7 dicembre a Kaesong, l’antica capitale della Corea unita, dovrebbe venire ufficializzata un’intesa ricca di significati che vanno aldilà di quelli puramente sportivi. La decisione è già presa. Adesso bisognerà lavorare per sistemare gli ultimi dettagli, riguardanti in particolare la modalità di selezione degli atleti, ma i due comitati olimpici hanno già raggiunto un accordo di massima: a partire dai Giochi Asiatici del 2006, e soprattutto in occasione delle Olimpiadi di Pechino 2008, le due Coree presenteranno un’unica squadra. Un significativo passo avanti dopo la decisione di sfilare insieme nelle cerimonie di apertura delle Olimpiadi di Sidney 2000 e di Atene 2004. Allora, però, ognuno aveva poi corso, lottato, nuotato per il proprio paese. Ma, ogni cosa a suo tempo. Dal prossimo anno, quindi, una sola maglia, una sola bandiera, un solo medagliere, sanciranno una unione che politicamente non esiste ancora. Almeno per ora. La storia recente di questi due paesi, infatti, non può essere cancellata di colpo. Quasi 70 milioni di persone unite da cultura e tradizioni comuni, ma divise geograficamente dal 1948, come conseguenza dell’esito del primo conflitto mondiale. Poi, ulteriormente segnate da una terribile guerra fratricida (1950-1953), che ha causato milioni di morti ed ha portato ad anni ed anni di chiusura totale. Economica, politica, sociale. Da una parte il sud, ed un governo filoamericano. Dall’altro il nord, più vicino ai regimi comunisti. Quasi inevitabile dunque che i vari tentativi di riconciliazione effettuati negli anni con lo scopo di distendere i rapporti tra Seoul e Pyongyang, le due capitali, abbiano portato a pochi risultati concreti, e ad alcune clamorose retromarce. Come in occasione delle Olimpiadi di Seoul 1988, tanto per rimanere in ambito sportivo, quando i nordcoreani boicottarono i Giochi perché nessuna gara fu ospitata nel loro territorio. Già, ci vuole tempo per rimarginare le ferite. Ci vuole tempo perché il dialogo porti i suoi frutti. E poi, inutile nasconderlo, sono soprattutto i notevoli interessi economici e politici a dettare il tempo di una possibile riunificazione. Dopo anni di isolamento internazionale, vissuto sotto l’ala protettiva della Cina, il nord non può più fare a meno degli aiuti concreti che il sud può offrirgli (come, ad esempio, delle notevoli quantità di energia elettrica che Seoul ha già promesso di fornire a breve). Viceversa, per alcuni grandi colossi economici del sud capitalista, il nord rappresenta una irrinunciabile occasione di nuovi mercati. Ecco allora spiegato perché negli ultimi anni sono arrivati finalmente alcuni risultati importanti, in particolare dopo il primo vertice intercoreano del 2000. Da allora le due Coree hanno costruito alcune strade e ferrovie che collegano i loro territori. Hanno avviato alcuni progetti di collaborazione economica di reciproca soddisfazione. Ed hanno anche cercato di aumentare il dialogo per svelenire il clima creatosi attorno al regime del Nord, ed in particolare nei confronti del suo monarca- dittatore Kim Jong. Il quale, dopo aver alternato per anni richieste di aiuto e disponibilità al dialogo ad improvvise minacce nucleari, è ora spinto insistentemente dalla comunità internazionale, e soprattutto dalla fedele ed indispensabile alleata Cina, ad un atteggiamento più… conciliante. Così, è anche attraverso lo sport, ed il suo alto valore simbolico, che si tenta ora di dare una ulteriore importante spallata ad anni di veleni, sospetti, diffidenza reciproca. Per la verità una prova in tal senso era già stata fatta nei primi anni novanta quando, in occasione di un campionato mondiale di ping pong, era stata formata un’unica formazione coreana. Ma il tentativo era rimasto isolato. Oggi ci si riprova con più determinazione, anche alla luce dei sopraggiunti nuovi interessi comuni. Non è logico pensare che da un giorno all’altro un nordcoreano possa esultare per la vittoria di un atleta sudcoreano con lo stesso entusiasmo con cui adesso gioisce per la vittoria di un proprio atleta. Non basterà un accordo sportivo a determinare subito l’unità tra le due Coree. Ma in attesa che le diplomazie dei due paesi, e la mediazione in parte… interessata dei loro storici partner (Cina e Stati Uniti), producano ulteriori passi avanti, è lo sport a fare da apripista verso un clamoroso disgelo politico, verso un obiettivo ancora lontano dall’essere raggiunto: la completa unione del popolo coreano. Ogni cosa a suo tempo…

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