Coree, lo spettro della guerra

L’isola di Yeonpyeong, teatro di una sfida alla comunità internazionale.
L'isola di Yeonpyeong (Corea)

Sarebbe un grave errore liquidare il bombardamento dell’isola sud-coreana di Yeonpyeong da parte della Corea del Nord come una scaramuccia di confine. A parte la tragedia della perdita di vite umane (alcuni militari e civili sono rimasti uccisi), l’attacco è l’ultima manifestazione di un gioco al rialzo nella costante sfida alla comunità internazionale (prima ancora che alla Corea del Sud) che il regime di Pyongyang porta avanti da alcuni anni.

 

Gli elementi su cui riflettere sono almeno tre. Il primo è collegato al sostanziale fallimento della politica di riavvicinamento perseguita da Seul (la cosiddetta “sunshine policy”) in vista della riunificazione. Gran parte della responsabilità è ovviamente della parte nord-coreana: pur di ottenere un riallineamento interno, Pyongyang non esita ad agitare in continuazione lo spettro del nemico esterno, a cominciare paradossalmente proprio dalla repubblica “speculare” (in tutti i sensi) della Corea del Sud.

 

Il secondo elemento riguarda il possesso, da parte della Corea del Nord, di armi nucleari “illegali” fabbricate proprio quando ancora la Corea del Nord faceva parte del Trattato di non proliferazione nucleare, dal quale è poi uscita. La preoccupazione di tutti non è tanto un attacco di Pyongyang contro le grandi potenze (Stati Uniti in testa), ma, irresponsabilmente, contro Paesi vicini: non solo la Corea del Sud, ma anche e soprattutto il Giappone, Paese sinora denuclearizzato, anche in virtù dell’incubo nucleare vissuto ad Hiroshima e Nagasaki. Una penisola coreana denuclearizzata è la garanzia per evitare pericolose tentazioni di deterrenza nucleare in tutta la regione.

 

Il terzo elemento riguarda il fatto che dietro la Corea del Sud ci sono gli Stati Uniti, e dietro la Corea del Nord la Cina. Un eventuale conflitto finirebbe perciò inevitabilmente per tirare in ballo (non necessariamente in senso militare) anche Washington e Pechino. In parte è già accaduto, con le prossime manovre militari congiunte tra Stati Uniti e Corea del Sud e con la mancata “condanna” in termini espliciti dell’attacco nordcoreano da parte della Cina, che si è limitata ad un blando e generico richiamo all’ordine. Ciò è tanto più rilevante se si pensa che Stati Uniti, Cina e Russia (anch’essa un po’ restia a pronunciare condanne) avevano animato i colloqui “esapartiti” (assieme a Giappone, Corea del Sud e Corea del Nord) solo qualche anno fa per risolvere la questione nucleare nordcoreana.

 

Dunque, da un’incursione su un’isoletta al limite delle acque territoriali tra le due Coree si giunge facilmente alla dimensione politico-strategica addirittura mondiale. Se c’è una parola che può sintetizzare quello di cui c’è bisogno ora, questa è “responsabilità”. Anche nel senso che chi è un attore globale responsabile dovrebbe da una parte evitare una possibile “escalation”, dall’altro dovrebbe consigliare assai maggiore prudenza ad un regime che rimane tra i meno trasparenti e i più autoritari del pianeta. In altri termini, Stati Uniti e Cina devono ora dimostrare di saper guidare nel modo migliore il corso degli eventi in una situazione di potenziale crisi politico-militare.

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