La 30ª Conferenza delle Parti (COP30), tenutasi a Belém do Pará, ha rappresentato un momento simbolico e geopoliticamente strategico nell’agenda climatica internazionale, non solo per essere stata realizzata nel cuore dell’Amazzonia ‒ epicentro della regolazione climatica planetaria ‒ ma anche per aver consolidato il ruolo del Brasile come interlocutore strategico tra Paesi sviluppati ed economie emergenti. Lo svolgimento della conferenza in territorio amazzonico ha rotto con la tradizione di sedi localizzate in capitali globali distanti dalla base ecologica del dibattito, favorendo la territorializzazione del discorso climatico e avvicinando scienza, politica, comunità tradizionali e diplomazia ambientale.
Sebbene la copertura mediatica abbia enfatizzato temi ampiamente divulgati, come gli impegni di deforestazione zero e il finanziamento climatico, diversi progressi strutturali sono rimasti poco esplorati sia dai media nazionali sia da quelli internazionali, limitando la comprensione pubblica della portata e complessità degli accordi raggiunti.
Progressi strutturali e diplomatici: oltre la retorica
Tra i progressi diplomatici più significativi, spicca il perfezionamento dei meccanismi di operazionalizzazione del Loss and Damage Fund. Per la prima volta sono stati definiti criteri tecnici di eleggibilità, parametri di valutazione della vulnerabilità climatica e linee guida di implementazione basate su evidenze scientifiche regionali. Tali strumenti permettono a Paesi storicamente vulnerabili ‒ in particolare piccoli Stati insulari e nazioni amazzoniche ‒ di accedere ai fondi con maggiore prevedibilità e minore dipendenza da accordi bilaterali asimmetrici.
La COP30 ha inoltre avanzato negoziati in settori difficili da decarbonizzare ‒ siderurgia, navigazione oceanica, aviazione, fertilizzanti e agricoltura intensiva ‒ promuovendo accordi che superano gli impegni puramente volontari e avvicinano le strategie del settore privato a patti governativi monitorati. Si è assistito anche al rafforzamento dell’agenda globale di regolamentazione del metano, con impegni inediti di riduzione delle emissioni agricole e l’obbligo di monitoraggio satellitare indipendente, riducendo il margine di sottostima.
Un ulteriore risultato strutturale è stato l’inserimento di popoli indigeni, ricercatori locali e comunità tradizionali in spazi tecnici di negoziazione, non solo in attività simboliche. Tale partecipazione costituisce un avanzamento epistemologico e politico, riconoscendo che il sapere ecologico tradizionale non è complementare, bensì fondante per strategie di adattamento e conservazione in ecosistemi tropicali.
La conferenza ha inoltre consolidato l’Alleanza Amazzonica per la Governance Climatica, riunendo Brasile, Colombia, Perù, Bolivia e Guyana Francese al fine di armonizzare dati, integrare sistemi di monitoraggio e definire protocolli comuni di zonizzazione ecologica. Questo passo contribuisce a ridurre la frammentazione diplomatica regionale e può diventare un modello globale.
Infine, la COP30 ha favorito progressi nelle catene produttive sostenibili, con particolare attenzione alla biotecnologia basata su foreste native, alla restaurazione ecologica e alla gestione della pesca sostenibile legata ai mercati a basse emissioni ‒ progressi tuttavia ancora in fase embrionale e bisognosi di regolamentazione internazionale più solida.
Persistenza dei limiti strutturali
Nonostante le conquiste, la conferenza ha rivelato limiti persistenti. I Paesi storicamente più responsabili delle emissioni hanno evitato impegni finanziari vincolanti, mantenendo narrative basate su promesse future e obiettivi non obbligatori. Analogamente, il dibattito sull’eliminazione progressiva dei combustibili fossili non ha prodotto un accordo concreto di phase-out, limitandosi a formule attenuate di phase-down, riflettendo l’influenza geopolitica dei grandi produttori di petrolio.
Si è consolidata anche la tendenza alla mercificazione della natura, con l’espansione dei crediti di carbonio privi di criteri rigorosi di trasparenza, audit ecologico e integrità socioambientale. Tale dinamica favorisce il greenwashing e trasferisce i costi ambientali verso regioni periferiche, in particolare nel Sud Globale.
Temi ignorati dai media: l’agenda nascosta della COP30
Sebbene la narrativa dominante si sia focalizzata su mitigazione, finanziamento e deforestazione zero, un insieme di negoziazioni secondarie ‒ spesso svolte in riunioni riservate, side events chiusi e accordi bilaterali paralleli ‒ ha rivelato dinamiche decisive, ma opache.
- Bioprospezione e privatizzazione dei dati genetici amazzonici
Sono avanzati accordi per l’estrazione, catalogazione e sequenziamento di risorse genetiche amazzoniche, compresi microbiomi forestali e composti bioindustriali. Tali accordi, firmati al di fuori delle negoziazioni formali dell’ONU, possono generare:
- brevetti senza giusta ripartizione dei benefici;
- privatizzazione di banche dati genetiche;
- dipendenza tecnologica dei Paesi megadiversi.
Ciò configura una nuova forma di colonialismo scientifico, dove la biodiversità resta materia prima mentre la proprietà intellettuale si concentra nelle economie tecnologiche dominanti.
- Geoingegneria marina e manipolazione di microalghe per la mitigazione
Progetti di fertilizzazione oceanica e ingegneria genetica di microalghe per sequestrare CO₂ sono stati discussi, ma senza supervisione multilaterale. I rischi includono:
- blooms algali incontrollabili,
- acidificazione e ipossia regionali,
- incertezza sulla permanenza del sequestro,
- potenziale uso militare della manipolazione climatica marina.
La mancanza di regolamentazione internazionale apre spazio a sperimentazioni unilaterali simili alle prime fasi della corsa nucleare.
- Transizione energetica vs. diritti territoriali amazzonici
Progetti giustificati come “energia pulita” possono comportare:
- espulsione di comunità tradizionali e indigene,
- nuove zone di sacrificio ambientale,
- concentrazione di rendite nelle multinazionali delle risorse.
La transizione rischia così di riprodurre la logica estrattivista del petrolio, variando solo la fonte, non l’etica.
- Fratture diplomatiche nel Sud globale
La COP30 ha evidenziato competizioni interne, tra cui:
| Tema | Contesa principale |
| Biomassa forestale | Brasile e Indonesia vs. Unione Africana |
| Idrogeno verde | Brasile vs. Cile e Namibia |
| Tecnologie di cattura del carbonio | Medio Oriente vs. America del Sud |
| Regolazione agroindustriale | Mercosur vs. India e Africa |
La governance climatica non è più solo Nord vs. Sud, ma Sud vs. Sud, con potenziali frammentazioni che minano la pressione sui grandi emissori storici.
Implicazioni sistemiche
Questi temi prefigurano trasformazioni geopolitiche profonde:
- spostamento del potere climatico verso ecosistemi megadiversi;
- finanziarizzazione della biodiversità come nuova frontiera economica;
- dipendenza tecnologica tramite dati e algoritmi climatici;
- rischio di disgregazione della cooperazione Sud-Sud.
Considerazioni finali
La COP30 ha consolidato progressi significativi, ampliato il ruolo dell’Amazzonia nella diplomazia climatica e valorizzato saperi locali traducendoli in politiche globali. Tuttavia, restano irrisolte questioni centrali legate alla decarbonizzazione, al finanziamento equo e al rischio di mercantilizzazione della natura.
Il suo lascito dependerà della capacità di trasformare protagonismo territoriale in politiche implementabili, verificabili e socialmente giuste, con monitoraggio indipendente, trasparenza decisionale e protagonismo di comunità tradizionali, società civile e comunità scientifica.