Sfoglia la rivista

Ambiente > Arte e ambiente

COP30, il grido dell’Amazzonia nei pennelli di Adriana Rocha

di João Manoel Motta

- Fonte: Città Nuova

Durante la COP30 a Belém, l’artista brasiliana Adriana Rocha trasforma in immagini il grido della foresta. La sua arte diventa voce di resistenza e riflessione sulle contraddizioni tra sviluppo e tutela ambientale

Un’altra immagine di una foresta allagata sul fiume Tapajós. Tecnica mista su tela. Foto: Adriana Rocha, per gentile concessione dell’artista.

A Belém, città-ponte tra la foresta e l’oceano, il mondo ha puntato lo sguardo sull’Amazzonia. Dal 10 al 21 novembre 2025, la COP30Conferenza delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici — si è insediata nel cuore verde (e ferito) del pianeta. Qui, dove la natura è insieme promessa e minaccia, la voce della foresta si è fatta arte attraverso le opere di Adriana Rocha, che nella serie Ai Margini traduce in immagini il grido di morte e di trasformazione dell’Amazzonia.

Raggi di sole sulle acque di un ruscello vicino a Óbidos. Acrilico su tela. Foto: Adriana Rocha, per gentile concessione dell’artista.

Mentre i leader discutono di sostenibilità e transizione energetica, l’artista brasiliana mette in scena un dialogo silenzioso tra pittura e memoria, tra ciò che scompare e ciò che tenta di rinascere. La sua mostra Altri Margini, curata da Maria Alice Milliet, nasce da un viaggio compiuto da Rocha lungo il Rio delle Amazzoni, nello Stato del Pará. È un diario visivo di rovine e resistenza, dove i tronchi in decomposizione diventano metafora di un mondo che si consuma ma continua a respirare.

Gravi siccità sulle rive del fiume Arapiuns, un affluente del fiume Tapajós, Ammazonia. Tecnica mista su tela. Foto: Adriana Rocha, per gentile concessione dell’artista.

Possiamo riportare le parole della curatrice Maria Alice Milliet e dell’artista Adriana Rocha. «Nel mio lavoro — dice l’artista — affronto il concetto di rovina come distruzione e cancellazione della memoria. La pittura è per me un movimento continuo di costruzione e distruzione, una riscrittura in cui le immagini si sovrappongono come strati di tempo».

Piccole ninfee rossastre crescono nelle zone allagate sulle rive del Rio delle Amazzoni a Juruti. Tecnica mista su tela. Foto: Adriana Rocha, per gentile concessione dell’artista.

L’opera pittorica di Rocha dialoga profondamente con il tema della COP30. Il Brasile, che oggi vanta una delle più alte percentuali di energia da fonti rinnovabili (83%), è anche il Paese delle contraddizioni: mentre celebra la riduzione della deforestazione e delle emissioni di CO₂, progetta nuove trivellazioni petrolifere alla foce del Rio delle Amazzoni. Un paradosso che l’artista non denuncia con slogan, ma con un linguaggio di ferite e di luce. Nelle sue tele, preparate su fondi neri, Rocha sovrappone pigmenti da lei stessa composti, poi li raschia, li consuma e li fa riaffiorare. È un gesto rituale e ciclico, che ricorda la vita stessa della foresta: ciò che muore diventa nutrimento, ciò che resta genera nuova forma.

Disegni a grafite su carta che mostrano grandi alberi abbattuti o bruciati dall’avanzata dell’agricoltura e dell’allevamento nelle aree forestali. Foto: Adriana Rocha, per gentile concessione dell’artista.

I suoi disegni a grafite — minuziosi, quasi ossessivi — ritraggono tronchi, vene, radici, come se ogni fibra vegetale fosse anche una fibra umana. «La forza nasce dalla bellezza che declina», osserva Milliet, «una bellezza che si consuma lentamente, ma continua a sedurre». La voce dell’Amazzonia attraversa ogni tela. È la stessa voce che risuona nelle discussioni della COP: quella delle popolazioni indigene del Basso Amazonas, che oggi vedono i fiumi contaminati dal mercurio dell’estrazione illegale dell’oro, le acque torbide e le malattie nei villaggi. Sotto lo sguardo indifferente delle autorità, la foresta viene abbattuta, la terra perforata, i pesci avvelenati. «Fino a quando continuerà questa aggressione alla vita?» si chiedono le comunità locali — e, indirettamente, anche lo spettatore di Ai Margini.

Ad Alter do Chão, il fiume Tapajós, che presenta questa colorazione verdastra. Acrilico su tela. Foto: Adriana Rocha, per gentile concessione dell’artista.

La pittura di Adriana Rocha non offre risposte, ma impone domande. Come nelle fotografie del fotoreporter e fotografo documentarista brasiliano Sebastião Salgado, lo sguardo non osserva: viene osservato. «Le opere ti interrogano», diceva Salgado. E Rocha sembra rispondere: «Ci costruiamo attraverso il confronto con ciò che ci è dato, ma oggi non riusciamo più a creare un margine esterno da cui criticare il sistema. Tutto viene inghiottito». Il suo atto di resistenza è il silenzio. In un mondo che consuma e sostituisce ogni cosa — corpi, oggetti, relazioni —, la lentezza della pittura diventa gesto politico. «Il movimento contrario all’eccesso — quello del silenzio, della contemplazione — è visto come disadattamento. Ma forse è proprio lì che può nascere un incontro più umano».

Adriana Rocha con i bambini indigeni a Juruti – Amazonas. Foto: Adriana Rocha, per gentile concessione dell’artista.

Nel fondo nero delle sue tele, Rocha costruisce un atlante dell’Amazzonia ferita: non un paesaggio idilliaco, ma un organismo vivo in metamorfosi. È la rappresentazione più sincera di un pianeta in crisi e, al tempo stesso, di una speranza che si ostina a non morire. Così, mentre a Belém i negoziatori discutono di “transizione energetica giusta”, l’arte di Adriana Rocha ricorda che non esiste giustizia climatica senza un’estetica del prendersi cura. Le sue opere non gridano, ma sussurrano: ci chiedono di guardare, di restare e di non voltare lo sguardo.

 

 

 

Riproduzione riservata ©

Sostieni l’informazione libera di Città Nuova! Come?
Scopri le nostre riviste,
i corsi di formazione agile e
i nostri progetti.
Insieme possiamo fare la differenza! Per informazioni:
rete@cittanuova.it

Condividi

Ricevi le ultime notizie su WhatsApp. Scrivi al 342 6466876