Una delle prime notizie uscite dalla COP26 di Glasgow è stata l’annuncio dell’accordo per ridurre del 30%, entro 2030, le emissioni di gas metano nell’atmosfera, impegno sottoscritto principalmente dagli Stati Uniti e dall’Ue, ma non da altri Paesi molto popolati come Cina, India e Russia. Puntare sul metano, ha detto la Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen: «è una delle misure più efficaci che possiamo adottare nel breve termine per ridurre il riscaldamento globale e mantenere l’aumento entro un grado e mezzo. È il traguardo più facile da raggiungere».
Da sottolineare il “breve termine” e il “più facile”. Perché? Secondo l’ultimo rapporto dell’Intergovernmental panel on climate change (Ipcc), l’effetto serra prodotto dal metano rappresenta la metà dell’aumento netto di 1,0 gradi della temperatura media globale dall’era preindustriale, dunque la rapida riduzione di queste emissioni è complementare all’azione su altri gas serra, ed è considerata la strategia più efficace per ridurre il riscaldamento globale nel breve termine.
Ora, parlare di metano e pensare alle mucche è quasi inevitabile. In realtà, però, questo gas, oltre che dal settore zootecnico, viene prodotto anche dal settore energetico (petrolio, gas, carbone) e dalle discariche in cui si accumulano le acque delle reti fognarie, in proporzioni però non del tutto chiare. Ecco perché la Commissione europea sostiene il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (Unep) per la creazione indipendente di un Osservatorio internazionale delle emissioni di metano (Imeo), per affrontare il divario dei dati globali e la trasparenza al riguardo. Intanto, però, il settore bovino è diventato il punto di mira di tutte le critiche, provocando negli allevatori argentini, ad esempio, il timore che «il settore sarà costretto a ridurre del 30% il proprio bestiame bovino», come afferma un editoriale del sito argentino bichosdecampo.com. Tra gli argomenti a favore degli allevatori, l’editoriale cita un rapporto dell’Istituto argentino per la promozione della carne bovina (Ipcva) dove si dice che «il metano si genera in processi biogenici legati ai processi circolari, cioè, ciò che viene emesso è eventualmente reincorporato nella fotosintesi, quindi, se la quantità totale di metano non cambia di anno in anno, non se ne produce un accumulo».
Non si tratta però di difendere il consumo di carne bovina, quanto di capire come la pensano gli allevatori. A questo riguardo merita anche sentire la voce dei pastori, perché anche questi hanno qualcosa da dire. Nel settembre scorso, rappresentanti di varie associazioni europee di pastori si sono radunati in un villaggio del nord della Spagna, allo scopo di generare una rete di organizzazioni di pastorizia e allevamento estensivo che condividano i problemi comuni. Probabilmente perché si sentono attaccati, non hanno esitato ad affermare che «non tutti i gas serra sono uguali. Il metano ha un grande effetto sul riscaldamento, ma è di breve durata, scomparendo dopo circa 12 anni, mentre la CO2 resta praticamente per sempre. Questa distinzione è importante e richiede una misurazione più accurata»”. E aggiungono: «Le emissioni dei sistemi zootecnici sono molto varie e le valutazioni dovrebbero distinguere tra sistemi intensivi ed estensivi. Non tutte le mucche sono uguali». Cioè, queste parole nascondono una denuncia contro le macro fattorie e il maltrattamento degli animali. «Pertanto – concludono i pastori – riconosciamo l’imperativo di ridurre le emissioni evidenziate dal rapporto Ipcc, ma è necessario un dibattito in profondità, se vogliamo raggiungere gli obiettivi climatici. Ciò significa concentrarsi sulla riduzione delle emissioni e allo steso tempo affrontare le questioni di giustizia climatica».