Conversando sui pascoli

Come va, Cris?. Benissimo. Il tempo quassù è bello. La voce di Cristina Colombero mi giunge limpida, chiara e gioiosa dalla sua postazione di lavoro a duemila metri di altitudine nelle Alpi Cozie meridionali. Aiuta infatti durante i mesi estivi il papà Dino a condurre il gregge sui ricchi pascoli della Valle che ha preso il nome dal Maira, il torrente che la percorre in tutta la sua lunghezza prima di affluire nel Po. Anzi, più che un’unica valle, è un susseguirsi di strette gole e brevi radure, circondate da una catena di picchi elevati oltre i tremila metri. L’ho sentita spesso, e ciò che mi ha sempre colpito in lei, è stato l’atteggiamento sereno e fiducioso verso il futuro.Malgrado il lavoro che ancora non arriva: in mancanza d’altro, dopo il diploma, ha fatto la sua prima temporanea esperienza lavorativa in un bar. E a vent’anni, l’età delle scelte, non mancano nemmeno le prime delusioni. Ma tutto questo – dice – mi aiuta a maturare e a capire meglio ciò che voglio dalla vita. E poi c’è il gruppo, gli amici di Marene dalla cittadina del cuneese dove si incontrano, che ha accolto lo spirito di fratellanza dei Focolari. Da quegli amici – racconta – ho imparato l’arte di amare. Le nostre quattro a – accoglienza, ascolto, autenticità e amore – ci guidano durante la giornata. E scopro che mettendole in pratica la vita è bella!. Cristina prosegue raccontando di aver conosciuto il gruppo in un momento difficile della sua vita, quando frequentava il quarto anno delle magistrali a Cuneo. Il suo professore di italiano aveva notato che la ragazza era diventata taciturna. Non seguiva più le lezioni come una volta e aveva perso ogni interesse. Franco Lamensa – questo il nome del professore – non credente, ma ugualmente intenzionato a vivere l’arte di amare nel gruppo di Marene che da qualche tempo frequentava – pensò dunque di fare qualcosa per la sua giovane alunna. Mandò a chiamare la mamma e le espose la situazione che si era verificata in classe. Le suggerì persino, un po’ imbarazzato una sua soluzione al problema: Senta, io penso che sua figlia abbia bisogno di un’iniezione di fiducia, di amore vero e disinteressato da amiche ed amici sinceri. Non pensi male. Le propongo di accompagnarla a Marene, dove c’è un bellissimo gruppo di ragazzi e ragazze che si incontrano in modo bello e pulito. Fu così che, qualche giorno dopo, la mamma di Cristina decise di fidarsi e organizzò una macchinata di compagne. Si presentarono a Marene a casa Bertola, il luogo d’incontro, tutte curiose e un po’ stupite di trovare persone pronte ad accoglierle come si conoscessero da tempo. La signora, rassicurata, andò a vedersi un film, mentre la figlia fece conoscenza dei nuovi amici. Come andò l’incontro quella sera, sarebbe stata Cristina stessa a scriverlo (vedi box). Un incontro costruttivo, insomma, che aiutò la ragazza a superare quel momento di difficoltà. Non si sentì più sola nel guardare alla vita, a fare chiarezza dentro di sé. La vita – dice – mi piace pensarla come un puzzle da costruire… Tanti sono i pezzi da incastonare per far sì che tutto funzioni. A volte si sbaglia, a volte sembra che niente vada bene. Insomma, dura da far funzionare questa vita!. E il gruppo? Il gruppo è un bel pezzo di questo puzzle. Mi piace pensare che vivo per amare, ma anche per essere amata. Cosa c’è di più bello? È un atteggiamento egoistico il mio? Si dice che pian piano, crescendo, si cambia. Penso che sia l’amore a trasformarci. Quasi senza accorgersi, Cristina si è trovata fuori dal tunnel… Sì – mi risponde -. In ogni rap- porto umano, la cosa più importante è parlare. Ma spesso non si fa. Si va al cinema, si guarda la tv, si ascolta musica, si leggono libri… ma non si conversa quasi mai. Io per prima preferisco scappare piuttosto che affrontare un discorso, ma non perché abbia il tempo, o perché non lo voglia, semplicemente perché è difficile. Difficile guardarsi dentro, affrontare le proprie paure. In fondo, è più facile tirarsi indietro e far finta di niente, no? Ma, se ci penso bene, tutte le cose importanti della mia vita nascono da lunghi dialoghi fatti al tavolino di un bar, o a passeggio per le strade, davanti a un gelato, a un cielo stellato e – perché no? – dalla val Maira a Roma, con due semplici apparecchi che, in modo misterioso, attraverso l’etere collegano due voci amiche. Cristina è felice di vivere. Eppure non deve essere facile condurre lassù, lungo i sentieri della montagna, un gregge di oltre mille pecore. Sì, certo – dice -. Ma ci sono i cani che sono addestrati bene. E poi c’è mio padre, che fa il grosso del lavoro. Io gli do solo una mano . Ma, a smentire quanto ha appena detto, esclama: Scusa, devo lasciarti. Un gruppetto di pecore sta scappando. Riprendiamo poco dopo. Sai – mi dice -, una si era arrampicata e non riusciva più a scendere. Aveva paura e sono dovuta andare io. L’ho presa in braccio e l’ho riaffidata a sua madre. Osserviamo insieme che quelle stesse parole le aveva usate duemila anni fa Qualcuno che conosceva bene il mondo dei pastori, tanto da volersi identificare in uno di loro. Forse perché – mi fa notare -, in fondo, da allora questo mestiere non è cambiato. Certo, ora non siamo isolati, abbiamo il telefonino che ci mette in contatto in qualsiasi momento con il resto del mondo. Ma dobbiamo ugualmente occuparci delle bestie, una per una: possono essere malate, ferite. Ogni mattina molto presto apriamo il cancello del recinto per condurle fuori al pascolo, e stare attenti, perché gli imprevisti sono tanti. Ma a me questo lavoro piace: mi concede molto tempo libero per pensare, per scrivere, all’ombra dei pini. IL REGALO PIÙ BELLO Carissimi amici di Marene, sono qui nella mia stanza e sono appena tornata dalla serata con quel famoso gruppo di cui tanto mi ha parlato il prof. È magnifico. Ho una carica dentro che vorrei… vorrei dire al mondo intero che sono felice. Sì, per la prima volta nella mia vita posso dire di essere veramente felice. Dal principio, io e le mie compagne non sapevamo cosa aspettarci, ma stupite e felici scoprivamo che era nato qualcosa più in fondo. Non mi sono sentita giudicata. È come se non importi a loro come sei, cosa fai, da dove vieni, ma è come sei dentro che conta. Dal momento in cui sono entrata in quella stanza al momento in cui sono uscita, ho percepito quell’atmosfera curiosa, intrigante, ma anche invitante. Ho sentito quest’atmosfera che ci lega uno all’altro, ma soprattutto ho sentito la voglia di vivere e di scoprire la vita. Sono proprio contenta di aver fatto questa nuova esperienza che mi ha aperto gli occhi. E per questo non smetterò mai di ringraziare il prof. Non finirò mai di ripeterlo: questa sera, ragazzi, mi avete dato un motivo per essere felice e la gioia di vivere. È il regalo più bello che potessi ricevere.

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