Contro l’antisemitismo, con leggerezza

Maurizio Di Veroli e il gruppo musicale “Progetto Davka” cantano l’intraducibile

C’è una parola ebraica che risulta praticamente intraducibile. È davka. Può significare “fare qualcosa appositamente”, ma anche “fare qualcosa a dispetto di”, o “fare qualcosa in controtendenza” e altri significati ancora. Quando chiedo a Maurizio Di Veroli perché ha scelto come nome del suo gruppo musicale proprio Progetto Davka, la risposta è pronta: «Abbiamo scelto appositamente una parola che esprimesse l’esperienza ebraica, la quale… è intraducibile».

Nella sua intraducibile originalità, il popolo ebraico ha dato e continua a dare un grande contributo all’umanità. Basti pensare al tesoro che ha lasciato, in ambito religioso, l’esperienza biblica di Israele o l’esperienza della cultura spirituale degli hassidim. E in ambito laico, la sfilza di premi Nobel o di tipi come Marx e Freud, che hanno lasciato la loro zampata sulla storia.

Progetto Davka vuole ravvicinare questo popolo “intraducibile” al pubblico, usando come strumento la musica. «Vogliamo usare la cultura per sfatare miti e pregiudizi che si sono accumulati sugli ebrei nei secoli – confida Maurizio Di Veroli –. Insomma, intendiamo condurre una lotta all’antisemitismo usando la leggerezza». Che spesso si dimostra essere l’arma più potente.

Di Veroli, ebreo romano, ha fondato Progetto Davka 16 anni fa. Un gruppo di 5 elementi, più collaboratori occasionali, che spazia tra canzoni in ebraico, yiddish, ladino, ebraico-italiano, persiano, giudeo-arabo. Pure una canzone sefardita su musica irlandese e una canzone ebraica in lingua giapponese. Il tutto condito da racconti e spiegazioni. Un continuo lavoro di ricerca musicale, che nasce dalla consapevolezza che la musica non sia solo suono, ma anche un «veicolo per trasmettere verso le future generazioni l’importanza di sviluppare la propria identità nella riscoperta e nell’ospitalità di quelle altrui».

L’intento è di apertura al dialogo. «Ti faccio entrare in casa mia per farti vedere come vivo». Insomma, far conoscere un popolo, con lo scopo di aprirsi agli altri.

Dei musicisti che compongono il gruppo solo Maurizio è ebreo, gli altri sono cattolici, protestanti buddhisti, ha partecipato anche un musulmano. Hanno suonato a eventi di cultura ebraica, di dialogo interreligioso, nella Sala Nervi nel 2019, al Festival biblico, anche all’estero. Chiedo a Maurizio in cosa consista l’originalità del suo gruppo, cosa lo distingue dagli altri che oggi riscoprono la musica klezmer e le melodie ebraiche. «La particolarità è che io sono un ebreo ortodosso, che studia Torà e Talmud, che frequenta la sinagoga, la mia è quindi una presenza all’interno dell’ebraismo vivo, che costituisce la mia vera identità. L’ebraismo lo pratico tutti i giorni. E sul palco porto quello, è quello che voglio comunicare».

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