Conoscendo l’Islam

Metti insieme un centinaio di giornalisti di tutte le tendenze (da Libero a Liberazione per intenderci); una dozzina di musulmani (professori, giornalisti, sceicchi,muftì e imam); organizzatori di associazioni laiche e cattoliche assai diverse; un gruppo di istituzioni locali (comune, provincia, regione e una banca); e infine un panel di politici di destra e sinistra (D’Onofrio, Pistilli, Mantovano e Turco).Mettili tutti assieme per tre giorni in uno dei più pittoreschi e incantevoli siti della penisola, Montepulciano, mentre sono ancora sulle prime pagine dei giornali le conseguenze delle vignette danesi, e otterrai un cocktail dal sapore insolito. Di Islam ne sapevo poco assai – mi confida una collega della carta stampata, la trentina indaffarata e affaticata da free lance -, e per questo il titolo del seminario nel quadro delle Giornate per l’interdipendenza (Noi e l’Islam) mi ha stimolato a parteciparvi. Ho scoperto che il rischio di noi giornalisti è quello di semplificare quello che non può essere semplificato, di ridurre a uno slogan quel che non è riducibile ad una formula. Il diverso da sé e la paura Uno dei massimi problemi dell’occidente è che, per sconfiggere la paura del diverso e dell’oscuro, si vuole d’un botto confrontarsi con tutto l’Islam, con l’Islam in generale, mentre bisognerebbe piuttosto confrontarsi coi singoli musulmani o coi diversi gruppi di musulmani. Dire che tutti gli islamici sono terroristi è un errore colossale, così come da buonisti è erroneo passare sistematicamente sotto silenzio i problemi che attraversano la galassia musulmana. In effetti con l’Islam in generale nessun accordo definitivo e rassicurante sarà mai possibile, semplicemente perché esso è plurale, come anche l’Occidente è plurale, come lo stesso cristianesimo è plurale. Come sempre – afferma Roberto Della Seta, presidente di Legambiente -, serve una scelta realista e non ideologica nel volere affrontare i problemi della convivenza umana. Anche nel campo della informazione vanno perciò cercate quelle vie che possano permettere di capire porzioni di Islam, di non rinchiudersi nelle proprie certezze (o tanto meno nei propri pregiudizi) ma di aprirsi a quel che è diverso da noi. Per questo l’interdipendenza può essere un riferimento anche per i giornalisti e gli operatori della comunicazione in genere, afferma invece l’ancora presidente delle Acli Luigi Bobba. E Lucia Fronza Crepaz del Movimento politico per l’unità: Non si tratta tanto di mettere in moto una rete di militanti del dialogo – ce ne sono già -, o di trasformare il dovere dei giornalisti di dire la verità in un buonismo semplicistico; si tratta di fare la verità, cioè di affrontare i problemi con onestà professionale e con una conoscenza il più possibile diretta di quello di cui si sta scrivendo o parlando. Identità e dialogo Viene in evidenza il problema della coabitazione di un binomio costitutivo del vivere in società: identità e dialogo. Chi ha paura di perdere la propria identità ha paura di dialogare.Ma in realtà ha già perso la sua identità, afferma in modo mite ma perentorio il vescovo di Terni, mons. Paglia (tutti lo chiamano ancora don Vincenzo, in realtà). Si diceva che la modernità – continua – avrebbe portato alla scomparsa del fenomeno religioso. In realtà, poi, sono arrivati Khomeini, il pentecostalismo, Giovanni Paolo II… Le religioni oggi sono importanti anche politicamente, ed è impossibile omologarle. Nel loro sviluppo storico manifestano un potenziale di contrasto. Per cui bisogna cercare a tutti i costi la capacità di convivenza che in esse esistono. Tanto più che non si può parlare di scontro di civiltà, perché le culture, le tradizioni e le civiltà non sono blocchi: le semplificazioni sono perniciose.Ma non bisogna attutire la propria identità per dialogare: al contrario, va riaffermata. Laicità e religiosità Diversi esponenti musulmani, come Cemal Ussak, giornalista turco del grande Gülen Movement, affermano che il dialogo interreligioso va attuato in luoghi precisi che bisogna creare, in modo che poi facciano opinione pubblica. E Mustafa Abu Sway, professore palestinese di Gerusalemme, collegato via telefono, invita a guardare in faccia le nostre diversità per essere più disponibili al dialogo. E guardare in faccia la diversità vuol dire essere più religiosi. Ecco che emerge un problema: se il dialogo tra cristiani e musulmani sembra accettato da tutti, meno evidente è quello tra laici e credenti. Tra i giornalisti emerge questo stridente problema. Le risposte sono molteplici, ma quella proposta tra gli altri da mons. Paglia pare convincente: I laici debbono riscoprire la loro laicità ma purificata da ogni ideologia, proprio perché credono che la ragione sia necessaria per sconfiggere le due patologie che rendono il dialogo impossibile: il fondamentalismo e il relativismo. Anche la storia viene passata al vaglio dei relatori. Franco Cardini è spietato e estroso al contempo: Per lungo tempo il mondo non occidentale non si è accorto di tante falsità e prevaricazioni del mondo occidentale; ma ora, anche per via della globalizzazione mediatica, non tace più. C’è una nuova coscienza della realtà, che porta alla superficie i problemi del colonialismo, dello sfruttamento delle risorse petrolifere, delle crociate perfino. E c’è chi presenta il proprio conto all’Occidente che, non dimentichiamolo, ha sulla coscienza gulag e lager. Il rettore del Pisai, il Pontificio istituto di studi arabici e d’islamistica, padre Justo Lacunza Balda, offre elementi di giusto discernimento ai giornalisti presenti, quando afferma che le diversità non sono per definizione un ostacolo o un pericolo, ma sono invece le caratteristiche fondamentali di ogni creatura. Certo, per dialogare con il diverso da sé serve una chiara coscienza della propria identità, creando quegli spazi comuni di avvicinamento che si chiamano educazione, solidarietà, media…. La via della coabitazione Conclusioni ovviamente interlocutorie: I temi sono aperti. Abbiamo sperimentato soprattutto un metodo di lavoro. Tuttavia l’idea di una interdipendenza governata dall’orizzonte della fraternità universale ci ha aperto piste interessanti – afferma Daniela Ropelato del Movimento politico per l’unità -. La coabitazione e la negoziazione ad essa legata sono in effetti necessarie se si vuole continuare a vivere nella civiltà, nel rispetto, in pace. Ma ancor più è necessario l’ascolto, la solidarietà, la vicinanza, il perdono. E ancora, dalla bocca di Francesca Giordano, tra i principali organizzatori: L’immigrazione va certo regolata, ma la cultura della paura è arida. Per reagire alla dismissione progressiva dell’identità europea o nazionale, all’abdicazione dei valori che fondano le nostre società, ci sono percorsi miti, più produttivi di quelli del rifiuto e dell’egemonia. Politica, associazionismo, sindacalismo, scuola, media…. INFORMAZIONE E INTERDIPENDENZA L’11 e il 12 settembre del 2004, nell’anniversario del crollo delle Torri gemelle, Acli, Legambiente, Movimento politico per l’unità (Focolari) e la Comunità di Sant’Egidio, hanno promosso la Giornata internazionale dell’interdipendenza, ispirata dal politologo statunitense Benjamin Barber. In quell’occasione le quattro associazioni avevano proposto la interdipendenza come un valore adatto a ricostruire il tessuto sociale, ad ogni livello, dai rapporti interpersonali a quelli tra i popoli e stati. Uno strumento culturale privilegiato per affrontare le sfide della globalizzazione. I promotori credono nella necessità di una strategia della fraternità, impegnandosi per il dialogo tra le culture e le religioni. Le associazioni promotrici delle Giornate dell’interdipendenza hanno lanciato un appello per un’alleanza tra media e società civile. Riaffermando la libertà d’informare e il rispetto dei diritti umani, hanno chiesto ai media di assumere impegni precisi per favorire la comprensione della globalizzazione, nella condanna esplicita di ogni forma di violenza, evitando di fomentare odi, ostilità e pregiudizi. Le associazioni propongono di valorizzare le diverse identità etniche, nazionali, culturali, religiose, combattendo ogni povertà, nel rispetto dell’ambiente. Per far ciò propongono di organizzare corsi di formazione per i professionisti dei media; creare una banca di storie e una rete di esperti; ideare spazi informativi, format e programmi nell’ottica dell’interdipendenza.

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