Concerto per palla ovale

Un’iniziativa sportivo-educativa mentre inizia in Nuova Zelanda il Mondiale di rugby.
Campus Rugby

Il rugby? «Uno sport bestiale giocato da gentiluomini». Henry Blaha, giocatore di football americano negli anni Sessanta racchiuse in queste semplici ed efficaci parole la sua idea, immaginando quella palla ovale contesa da trenta “energumeni”, piazzati sul prato verde pronti a “suonarsele” di brutto.

 

Nelle parole di Blaha è condensata tutta l’essenza di uno sport, che oltre a essere un gioco diventa una disciplina, un’opportunità per educare, essendo fonte di insegnamento per il rispetto delle regole che ordinano la vita, sia dentro che fuori dal campo. Arte nobile quindi, ma intrisa di significati bellici. In fin dei conti l’immagine del giocatore inzaccherato di fango, che al termine della partita torna verso lo spogliatoio, con il viso segnato dal sudore e il sopracciglio scavato da un rivolo di sangue, richiama la figura del legionario di ritorno dalla battaglia…

 

Arturo Bergamasco è stato prima giocatore del Petrarca Rugby e della Nazionale e poi allenatore del club padovano, dove ha “sportivamente svezzato” i suoi due figli Mauro e Mirco, oggi colonne del quindici azzurro diretto dal sudafricano Nick Mallett.

 

Ma come è possibile educare attraverso uno sport apparentemente violento come il rugby? «Il rugby non ha nulla di diverso rispetto a tutti gli altri sport – mi risponde Arturo Bergamasco – è solamente un po’ più fisico. Questa caratteristica dà l’opportunità di compensare lo spirito aggressivo che è tipico dell’uomo, con un altro tipo di aggressività che si manifesta sul campo, trasformando questa pulsione in uno stimolo per migliorare continuamente le capacità tecniche e fisiche. Lo scontro con un’altra squadra diventa poi un modo per imparare, se necessario, ad accettare la forza dell’avversario riconoscendone le capacità. Il rispetto delle regole del gioco diventa fondamentale, nel rugby come nella vita, per poter far parte di un gruppo. Da soli non si va da nessuna parte, né tanto meno a segnare una meta. Senza “l’altro” è difficile esaltarsi per una vittoria o accogliere una sconfitta.

 

È questo lo spirito che ha spinto Arturo, insieme ai due figli, a organizzare il “Campus Rugby 2MB”, un’azione che ha visto coinvolti nell’arco di tre settimane 135 ragazzi, dai dieci ai quattordici anni, delle provincie di Padova e Venezia: «Il rugby ha dato molto a me e ai miei figli. Ci siamo chiesti: perché non proviamo a trasmettere i valori che noi abbiamo ricevuto? E così è partita questa idea».

 

Una ghiotta opportunità per coinvolgere anche i ragazzi dell’Associazione italiana persone Down. «Mio figlio Mauro ha condiviso gli anni della scuola con un bambino affetto dalla sindrome di Down. Questa semplice esperienza di vita ci ha regalato l’occasione per far sì che il campus potesse essere un’opportunità per creare piccoli gesti e azioni utili per la vita. Giocando con ragazzi diversamente abili, i nostri figli hanno l’opportunità di capire che la loro vita è bella e piena di fortuna».

Grazie a questi insegnamenti, avremo l’occasione di assaporare ancora di più il fascino del grande rugby internazionale. Infatti, dal 9 settembre al 23 ottobre, si giocherà in Nuova Zelanda la settima edizione della Coppa del mondo, che vedrà impegnati tra l’altro Mauro e Mirco Bergamasco.

 

Quali prospettive per gli azzurri in vista della rassegna iridata? «In questi ultimi anni la nostra Nazionale ha fatto grandi progressi: il gruppo dei giocatori è maturo, con uomini di livello accompagnati da alcuni giovani promettenti, come Tommaso d’Apice; anche lo staff tecnico diretto da Nick Mallett ha fatto il salto di qualità. Sarà importante riuscire ad amalgamare bene la squadra altrimenti non ci sarà alternativa per conquistare vittorie importanti, visto che nel girone dell’Italia ci sono l’Australia e l’Irlanda, oltre agli Stati Uniti e alla Russia. Con gli scontri a eliminazione diretta poi, sarà fondamentale mantenere i nervi saldi per non commettere errori, sperando anche in una buona dose di fortuna che in questi casi non guasta mai».

 

Sensazioni positive quindi per gli azzurri, che possono sperare di ottenere qualcosa di più rispetto alle passate edizioni e se lo dice Arturo, che dal 1999 segue le imprese della Nazionale e dei suoi due figli, c’è da fidarsi. A noi l’opportunità di capire dentro il vigore di una mischia o l’eleganza di una touche che: «La palla come la vita non è fatta per essere trattenuta». Firmato Mauro e Mirco Bergamasco.

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