Con l’infinito dentro

La presenza di persone tanto diverse interroga la mente e il cuore degli uomini da sempre. Il 5 per cento dei bambini vengono al mondo con deficit di vario tipo: 37 milioni sono i disabili solo in Europa. Ci si chiede che significato abbia la presenza di persone con cui a volte non è possibile nessun tipo di comunicazione. Che senso ha dire che loro e le loro famiglie fanno parte di un disegno d’amore? Sono forse figli di un Dio anch’esso diverso, di un Dio minore? A queste domande ha cercato di dare qualche risposta il primo convegno nazionale sulla dimensione spirituale delle persone diversamente abili, svoltosi alla fine di maggio promosso dal Centro sportivo italiano di Verona in collaborazione con le istituzioni locali e diversi movimenti ecclesiali in occasione dell’anno europeo delle persone disabili. In effetti, tale convegno dal significativo titolo “L’infinito dentro” rappresentava la conclusione, l’ultima e forse più ambiziosa di una serie di manifestazioni che si tengono da otto anni, tutte facenti parte di quell’evento veronese che prende il nome di “La Grande Sfida”. Tale iniziativa si caratterizza per il coinvolgimento delle realtà locali e nazionali che si occupano delle diverse tipologie di deficit (psichico, fisico e sensoriale). E il suo intento principale è da sempre stato quello di promuovere “una diversa cultura del diverso”, favorendo percorsi di conoscenza, d’incontro e di partecipazione. Attraverso “La Grande Sfida” la città di Verona e la sua provincia, dato che le manifestazioni si svolgono in vari paesi, diventano un punto di riferimento nazionale rendendo visibili alla gente comune e agli operatori del settore, la ricchezza multiforme di esperienze miranti a dare dignità e valore alla presenza delle persone diversamente abili. Vari sono i percorsi seguiti che hanno visto la partecipazione di un migliaio di persone disabili e centinaia di volontari: nei mondi dello sport, della cultura, del teatro, del divertimento, nel mondo del cinema e quest’anno appunto nel mondo spirituale. In realtà la presenza (sempre più visibile!) di persone con disabilità chiama in causa riflessioni sulle ragioni più profonde dell’esistere umano: sulla natura, sulla giustizia e sulla bontà di Dio, sulle colpe eventuali da cui nascerebbero quelli che per secoli sono stati visti come sbagli della creazione. L’idea del convegno – racconta Roberto Nicolis che di tutta l’iniziativa è il promotore e l’anima – “mi è nata leggendo alcune parole di Jean Vanier – fondatore della Comunità dell’Arca – che ricordavano che per ogni uomo c’è una specifica povertà e un prossimo che si presenta sotto l’aspetto di un povero da accogliere ed amare”. Filosofi e volontari, amministratori e religiosi, appartenenti a numerose e varie esperienze, enti, associazioni e movimenti, hanno iniziato a porsi queste domande, domande sicuramente provocatorie per una società quale la nostra che ancora troppo spesso tende a rimuovere certe questioni. Il filosofo Massimo Cacciari ha rilevato che la difficoltà maggiore di cui è permeata la nostra cultura consiste nel non accettare che l’uomo sia un essere limitato: qualunque limite, dai più banali a quelli più importanti (come la morte), è allontanato, rimosso. Per questo il rapporto con i disabili presenta aspetti tanto problematici sollevando chiare domande sul rapporto dell’uomo con sé stesso: sottolinea infatti Cacciari: “È necessario prima patire per poter com-patire”. Certo, una discreta strada rispetto a questi temi è stata percorsa: la presenza e la riuscita di questo convegno ne sono un segno tangibile. Anche perché interrogarsi su di loro aiuta a ragionare sui cosiddetti abili, andando a scoprire che spesso abili lo si è solo di facciata o solo in determinate situazioni. Tra l’altro, le varie esperienze l’hanno sottolineato, la difficoltà maggiore che avvertono queste persone consiste nella solitudine. E a tale proposito ci si può chiedere chi di noi non sia diversamente abile, chi non provi talvolta o frequentemente la stessa solitudine. Per questo una delle risposte ricorrenti nei vari interventi risultava la necessità di un vitale inserimento nella comunità. Nello stesso tempo a più riprese si è riproposta l’urgenza di superare un certo pietismo che talora si avverte specialmente nel mondo cristiano. Illuminante la precisazione del filosofo Stefano Toschi, in carrozzina per una tetraparesi spastica: “Non è che il diversamente abile sia automaticamente santo, automaticamente angelo: anche per lui, come per qualunque persona, esiste un cammino, uno spazio di crescita”. Perciò più che parlare di disabilità è più corretto interrogarsi sul percorso che deve fare “ogni persona spinta dal vento dello spirito”. Il Vangelo, è il vescovo di Verona padre Flavio Roberto Carraro a ricordarlo, è intriso di “pietre scartate dai costruttori” che Dio cerca per farle diventare punto di riferimento: i poveri, i vulnerabili non i potenti, i vincenti. In fondo Gesù stesso è il più illustre dei diversamente abili che si è fatto finito da infinito che era. Nello stesso tempo, però, così agendo e amando ha spalancato la possibilità della dimensione dell’infinito in ogni uomo. I MOMENTI PIÙ BELLI Flash di vita di Francesco Gnocchi, contadino di Colombare (Brescia), raccontati al convegno. Sono padre di sette figli, dei quali quattro legittimi, due adottati con sindrome di Down e una affidata non del tutto normale. Mi si è chiesto di dare una testimonianza sul perché di questa decisione. Forse ragioni razionali non esistono; forse, nel mio piccolo, ho cercato di mettere in pratica quello che dice la parola di Dio: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere “. A promuovere tutto questo è stata mia moglie Marisa. Nella nostra casa infatti sono passati diversi bambini figli di prostitute tramite le assistenti sociali, di cui appunto tre sono rimasti. Di Rossana abbiamo letto su Famiglia Cristiana che una bambina di 4 anni down, gravemente ammalata di cuore, cercava una famiglia per il poco tempo che doveva vivere ancora. Noi l’abbiamo accolta ed ora ha 31 anni e sta ancora abbastanza bene. Penso che abbia trovato nella famiglia un ambiente ideale e la gioia di vivere. Diego siamo andati a prenderlo a Trieste a 20 mesi anche lui down. Ora ha 21 anni, non parla ma si fa capire bene ed è molto sereno. Annina l’abbiamo accolta a 16 anni. Aveva già passato sette famiglie e nessuna l’aveva tenuta. Ora ha 39 anni e aiuta i suoi fratelli. Vi posso testimoniare che è molto di più quello che ho ricevuto da loro che quello che ho fatto anche se delle volte devo alzarmi anche la notte per i loro vari inconvenienti. Penso proprio che Gesù abbia ragione quando afferma: “Qualunque cosa avrete fatta ad uno di questi miei fratelli più piccoli l’avete fatta a me”: l’ho sperimentato tante volte. Mi limito a raccontarvi una piccola esperienza che ho vissuto tante volte. Di solito per mia moglie Marisa la domenica sera è il suo tempo libero, va a messa e poi rimane fuori per qualche ora. Ed io mi trovo solo coi miei figli portatori di handicap o diversi come li chiama la nostra società. Vi posso testimoniare che quelle sono le serate più belle e gioiose: il silenzio che si crea nella famiglia, il condividere la semplice cena” Un paio di loro bisogna imboccarli. Diego invece mangia troppo e se non stai in guardia ti vuota anche il tuo piatto. Eppure”

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