Con gli occhi del cuore

Negli occhi ho tanta luce… Voglio guardare in faccia il sole… Sono immerso nella luce… e avanti di questo passo. Non c’è dubbio che questo della luce sia il leit motiv della raccolta di brani poetici inviatami da don Raffaele Alterio (familiarmente Raf ) cui mi lega un’amicizia di lunga data. Sono, i suoi, versi casalinghi, alla buona, riservati ad una cerchia ristretta senza pretesa di essere pubblicati, e tanto meno di emulare la poesia – ad esempio – di un padre Turoldo (a proposito, avete idea di quanto siano numerosi i preti poeti?); eppure versi che risultano coinvolgenti per il candore e l’autenticità del vissuto evangelico che esprimono. La luce dunque… ma a quale luce allude don Raf? Non certo a quella fisica, essendo lui da lunghi anni non vedente (un male, il suo, che si evidenziò proprio il giorno della sua prima messa, quasi suggello di una predilezione nei suoi riguardi difficile da capirsi se non entro un’ottica di fede). Non fu facile per don Raf accettare una menomazione tanto più assurda in un giovane prete desideroso di donarsi per l’avvento del Regno. Al culmine della prova, quando, ripiegato sul proprio smarrimento, sperimentò la cecità del cuore oltre che degli occhi (arrivai a considerare il dolore come una punizione), la grazia dell’accettazione aprì a lui lo spiraglio per un’altra vista. Difatti – leggo in un suo brano – dissi sì: allora ci vidi non con gli occhi, ma col cuore . Una contemplazione, questa, risultata decisiva per una vita intera: Ora so cos’è la luce, ne conosco la sorgente…… Da allora don Raf ha conosciuto la gioia dei piccoli del vangelo che confidano solo nel Padre celeste e nutrono un amore filiale per Maria. Con un’unica preoccupazione: esser portatore di questa luminosità che riscalda i cuori e anche i ciechi fa vedere a chi – pur dotato del dono della vista -, disorientato, brancola nel buio. Il suo verseggiare diventa così testimonianza talvolta più efficace di una predica. Valga per tutti l’esempio di un amico suo ospite per qualche tempo durante un momento di grave crisi, che essendosi prestato a trascrivere per lui alcuni di questi brani poetici, alla fine si è ritrovata l’anima sgombra dal peso che l’opprimeva ed ha ritrovato l’abbraccio del Padre. Don Raf risiede a Casoria, popolosa cittadina nei dintorni di Napoli, insieme ad altri preti focolarini come lui, parroci di parrocchie vicine. È una convivenza che lui, non vedente e afflitto da vari altri acciacchi, definisce con l’humour suo tipico come una clinica specializzata per la cura del corpo e dell’anima. Luogo di ristoro in tutti i sensi, dunque, ma non oasi in cui crogiuolarsi tagliandosi via dal resto dell’ umanità, ché ancor più pressante è l’urgenza a far proprie le sofferenze dei vicini e dei lontani: Le pareti sono grate: ci permettono di guardare oltre il limite e lo spazio, e vedere tanti volti che si affacciano nel mondo. È il focolare: piccolo paradiso in terra per la priorità data al comandamento dell’amore vicendevole. Paradiso sempre da ricostruire, ovviamente, a causa delle immancabili difficoltà della vita in comune. Eppure nulla può distogliere questo prete settantenne dall’incanto di un luogo pregno di sacralità come questo: In punta di piedi, assorto nel silenzio, mi muovo con rispetto per non rompere la quiete delle cose che parlano. Silenzio su cui può poggiare un altro, il vero protagonista: La parola calda, rara e discreta, comunica il Verbo che, accolto ed amato, dimora tra di noi. Attratti da questa presenza, nei momenti liberi dagli impegni della parrocchia, anche altri vengono ad attingere a questa fraternità dove tutto è messo in comune: Sono storie vere, scelte forti e ardite, gioie intime e profonde, prove piccole e grandi. A questi incontri domestici, finché visse, partecipò talvolta – presenza discreta e gentile – la madre di don Raf, donna semplice ma imbevuta di sapienza evangelica: Ci guarda e sorride – così la ricorda il figlio -. Compiaciuta, a ciascuno dona qualcosa. Vuol vederci felici. Come vento, leggera, vola subito via. Non viene da pensare a un’altra madre, quella di Agostino, e al suo ruolo all’interno della comunità dei primi discepoli del santo di Ippona, divenuti altri suoi figli? Tra i personaggi di questi brani, uno schizzo riguarda l’amico don Michele: Ne abbiam fatta di strada con la vecchia Cinquecento. Quella sera ci lasciammo, come al solito felici. Nella notte uno schianto: è caduto in un burrone. Per fortuna però don Michele sopravvive, sia pure con l’ugola tagliata e una protesi. Non si ferma – continua il brano -. Con la sua mezza lingua, ora parla più sapienza. Più spedito, più veloce, con una gamba sola, va a portare unità. Già, solo uno provato come don Raf poteva capire la misteriosa fecondità dal dolore trasformato in amore. Per questo risulta convincente quando afferma: Con Lui è sempre giorno, non conosco tramonto.

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