Con cuore di padre

La lettera apostolica Patris Corde di papa Francesco, il quale indice l'anno di san Giuseppe fino all'8 dicembre 2021. Per l'occasione ripubblichiamo l'intervista allo psicanalista e saggista Luigi Zoja, apparsa nel dossier Padri

Una sorpresa. Come tante altre a cui ci ha abituati papa Francesco. Il quale indice l’anno di san Giuseppe (fino all’8 dicembre 2021) per ottenere col suo aiuto «conforto e sollievo dalle gravi tribolazioni umane e sociali che oggi attanagliano il mondo contemporaneo».

Nella Lettera apostolica Patris Corde, che accompagna l’annuncio, il papa lo descrive come «l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta, un intercessore, un sostegno e una guida nei momenti di difficoltà».

Continua il papa: «Giuseppe ci insegna che avere fede in Dio comprende pure il credere che Egli può operare anche attraverso le nostre paure, le nostre fragilità, la nostra debolezza. E ci insegna che, in mezzo alle tempeste della vita, non dobbiamo temere di lasciare a Dio il timone della nostra barca». Ancora scrive: «Il suo è un coraggioso e forte protagonismo. […] San Giuseppe non cerca scorciatoie, ma affronta “ad occhi aperti” quello che gli sta capitando, assumendone in prima persona la responsabilità». In questo modo «si riconcilia con la propria storia».

Nella bellissima lettera apostolica, san Giuseppe è ammirato come padre amato, padre nella tenerezza, padre nell’obbedienza, padre nell’accoglienza, padre dal coraggio creativo, padre lavoratore, padre nell’ombra. Infatti «essere padri significa introdurre il figlio all’esperienza della vita, alla realtà. Non trattenerlo, non imprigionarlo, non possederlo, ma renderlo capace di scelte, di libertà, di partenze». Per questo «la felicità di Giuseppe non è nella logica del sacrificio di sé, ma del dono di sé. Non si percepisce mai in quest’uomo frustrazione, ma solo fiducia». Il papa conclude affermando che «il mondo ha bisogno di padri».

Su questo appello di Francesco, riproponiamo il testo dell’intervista allo psicanalista e saggista Luigi Zoja, pubblicata nel dossier Padri.

 

La sindrome di Lucignolo

Il paradosso del padre: La madre è valutata (come madre) per quello che fa con il figlio. Il padre per quello che fa per il figlio, ma anche nella società. E le leggi di questi due spazi sono diverse. Il padre quindi oscilla tra la legge dell’amore e la legge della forza. (Il gesto di Ettore – Bollati Boringhieri)

Lei ha scritto che è in disfacimento il modello maschile adulto… come può andare avanti la società? Senza padri siamo condannati a ritornare all’uomo “inutile” della preistoria?
C’è una crisi dell’identità maschile adulta. Quell’identità che costruisce la società assumendosi la responsabilità di un altro essere, il figlio, volontariamente, e non per istinto come fa la madre. 50 anni fa, nel 1968, eravamo sicuri che le cose sarebbero cambiate: bastava collaborare con le femministe, avere più valori femminili, spendere meno in armi e più in servizi sociali… lei ha visto qualcosa di tutto questo cambiamento? Oggi viviamo in una società effettivamente post patriarcale, ma sempre maschio centrica, anzi direi neo-maschilista. Il problema è che la polarità maschile, messa in evidenza da questa società neo-maschilista piena di narrative in cui viene esaltato il protagonismo senza limiti del singolo, è quella del maschio alfa, il maschio dominante, giovane, che combatte.

E quindi, come conseguenza, abbiamo le bande di ragazzini minorenni che «sostituiscono il padre (assente o troppo mite) con il capobanda»…
Esatto. Ma anche le femmine cercano di diventare un maschio alfa. Si dice che la donna deve essere emancipata, ma la donna in carriera che cos’è? È vestita Prada, ma in realtà è una guerriera. Quindi attenzione. Un’altra osservazione interessante, di quelle che magari sfuggono al pubblico, viene dagli studi dell’Ocse, l’organizzazione dei 20 stati maggiori della Terra che classifica le prestazioni scolastiche nelle classi medie e superiori. Questi studi riportano che, da più di due decenni, le prestazioni intellettuali dei maschi continuano a calare rispetto a quelle delle femmine. Si tratta di un trend epocale. Solo in matematica i maschi sono rimasti allo stesso livello di anni fa, o un po’ superiori. In tutte le altre materie, soprattutto quelle umanistiche, i maschi sono in difficoltà. Le ragazze sanno leggere, i maschi no.

Lei ha scritto nel suo libro Il gesto di Ettore che la civiltà è cominciata quando il maschio ha smesso di vivere in bande e ha cominciato a fare il padre, portando il cibo alla sua compagna e ai figli…
L’ha detto Margaret Mead, la più rispettata antropologa del XX secolo.

Quindi se il maschio ritorna a vivere in bande, a fare il vagabondo come nella preistoria e smette di fare il padre…
C’è una crisi notevole della civiltà.

Dove stiamo andando?
Ho viaggiato molto nei diversi continenti e la mia sensazione, confermata dagli studi Ocse, è che questo fenomeno sia ormai diffuso dappertutto. Nella scuola superiore, fra i giovani adolescenti maschi tende purtroppo a prevalere, ed essere guardato con ammirazione, chi è più bullo. Per esempio nel terzo mondo (che cerca di diventare uguale al primo), quando per la prima volta un maschio entra in classe con un coltello è facile che, anche se viene censurato, subito dopo ci sia un’ondata per cui anche tutti gli altri cercano di andare col coltello. Questo, secondo gli studi dell’Ocse che vedono un calo di prestazioni scolastiche dei maschi, ha un influsso, perché mentre per le ragazze continua ad essere un modello quella che riesce bene a scuola e studia, fra i maschi no. Il modello è ormai il bullo. Nel mio libro la chiamo “Sindrome di Lucignolo”: siamo tutti come Pinocchio e andiamo dietro a Lucignolo (il bullo, lo scolaro ribelle, strafottente, orgoglioso di fare i propri comodi) probabilmente perché, come in Pinocchio, c’è un padre debole o assente.

Lei afferma che le madri non possono fare le funzioni del padre assente…
Le madri cercano spesso di essere un genitore unificato. Naturalmente come psicanalista parlo di una funzione psichica, non di un essere con i cromosomi X o Y. L’importante è che sia una continuazione di quella che era la parte positiva, contenitiva ed educativa della funzione paterna, che insegnava al figlio a stare nella società. La madre tante volte non ce la fa.

Ma lei, con la sua esperienza, cosa consiglierebbe a un educatore di oggi?
Per prima cosa, concretamente e in generale, non vergognarsi di porre dei limiti ai propri figli, soprattutto agli adolescenti maschi. Ovviamente questo significa esercitare quella che nella tradizione veniva chiamata funzione paterna. In particolare porre dei limiti agli eccessi di tecnologia, che sono “lucignoleschi”. Sono infatti quelli tipici della banda di maschi, che è orizzontale, anziché dell’autorità che conserva invece un minimo di gerarchia. Purtroppo la quotidianità dell’economia e della tecnica è “materna”, nel senso di essere sempre più orientata al soddisfacimento orale, immediato, del consumo, sempre più condizionata dal risultato in tempo reale.

Quindi siccome la tecnologia è orizzontale, non contribuisce in modo positivo all’educazione?
Esatto. Naturalmente dipende da come viene usata.

Lei come padre come si è comportato?
Ho cercato sempre di parlare molto con i miei figli, anche di banalità. Non sono stato un papà mammo, di quelli sempre presenti, ma cercavo di leggere con loro, invece di metterli davanti alla televisione. In generale ho cercato di limitare la tecnologia, che naturalmente funziona anche con l’esempio, perché un genitore che si tiene lo smartphone a tavola non può dire ai figli di non farlo. La vita tra l’altro funziona benissimo anche senza tutta questa tecnologia.

Lei non mi sembra pessimista…
Se fossi pessimista non starei qui a discutere con lei di queste cose, non parteciperei a tanti convegni impegnati, mi limiterei a spendere i miei ultimi anni a champagne e altro.

 

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