Comuni in crisi?

Alla scoperta dell'Italia vera con i suoi comuni e i suoi campanili (che cercano unita e coesione).  In Parlamento riprenderà la discussione a settembre su un disegno di legge che mira a ridare il giusto valore alla montagna, ai centri storici e ai piccoli comuni
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L'Italia è da mille anni il paese dei mille campanili. Ha costruito tutta la sua storia sulla ricchezza dei territori che si esprime nelle municipalità. Attorno alla torre si costruisce e riunisce la comunità. Che si autoalimenta di idee, progetti, iniziative. Per quarant'anni, dal 1960 al 2000, dal boom alla crisi, quel sistema è rimasto pressoché immutato. Braccio dello Stato sparso lungo lo stivale. Il rapporto centro-periferia, Roma-territori si potrebbe dire, è sempre stato tenuto insieme da due fattori: la crescita della spesa pubblica per investimenti e costi di strutture ripiantati, ma anche il controllo del politico di turno, fosse Dc, Pci, Psi, seduto in Parlamento ma radicato nel suo collegio dove portare in ogni Finanziaria qualche treno di denaro per reti e infrastrutture delle quali beneficiamo ancora oggi. Quel rapporto, quel legame, si è incrinato negli ultimi dieci anni. Colpa della crisi della rappresentanza certo, ma anche della crisi degli enti locali e del sistema di Comuni. Basta un dato, per confermare che oggi il corto circuito degli ottomila Comuni italiani. Con una profonda sofferenza. Dei 40 miliardi di tagli dal 2008 a oggi, oltre 9 hanno riguardato i Comuni e altri 10 le Province. Questi alcuni numeri. Ma non basta. Sono le politiche, le scelte economiche e di governance a lasciare con perplessità alla finestra il sistema sul quale si regge la storia italiana. Il testo unico degli enti locali, la legge 267, risale al 2000, 15 anni fa. Che in politica oggi sembrano il mesozoico. Tutti i Governi che si sono susseguiti nel nuovo secolo hanno detto di puntare sugli enti locali, sulle riforme della pubblica amministrazione per ridare ossigeno e gambe allo Stato. Come per tutte le buone promesse, nel Palazzi del potere è avvenuto l'esatto contrario. Tagli anzitutto, enorme confusione nelle scelte e incapacità di seguirle una volta fatte. Così, negli ultimi dieci anni, anziché spingere verso la sussidiarietà e la leale collaborazione tra livelli istituzionali, è scattato il corporativismo, tra Comuni, Province, Comunità montane, Regioni, che a loro volta controllano quel grappolo di migliaia di partecipate da un decennio sulla graticola. Come uscirne? Si è pensato di risolvere i conflitti suddividendo brandelli di spesa pubblica immaginando che lo Stato centrale fosse luogo dove lasciare il debito. Tutto questo mentre si stavano modificando inesorabilmente il livello e la preparazione, la formazione e gli obiettivi della classe politica locale e nazionale. Un recente editoriale di Antonio Polito sul Corriere della Sera descrive l'errore della grande stagione dei sindaci del 2000 – a Roma, come a Milano, Napoli, Torino, Genova, Bologna – nel pensare che quella categoria di amministratori fosse politicamente immortale. I rappresentanti delle autonomie si sono così romanizzati. Grandi enti locali hanno iniziato a fare lo stesso mestiere dello Stato, con la redistribuzione della spesa pubblica sui loro territori. Crisi fiscale, crisi politica e delle classi dirigenti, crisi degli enti sono state dirette conseguenze di questo comportamento che ha toccato le grandi città italiane, oggi in ricerca di identità e nel bel mezzo della costruzione delle "Città metropolitane", da vent'anni previste in Costituzione e mai realizzate.
Riportare il potere degli enti locali al centro non è una soluzione. Ricentralizzare non è la risposta. Ecco allora che torna oggi un tema già toccato e mai risolto in diverse stagioni politiche degli ultimi trent'anni. Cioè come decliniamo la governance e la rappresentanza territoriale. In sostanza, quanto contano i Comuni e come devono collocarsi nel sistema istituzionale che cambia. Diventano di grande esempio quei piccoli Comuni delle regioni alpine ad esempio che hanno puntato dritto sulla riaggregazione dal basso. Cioè si sono uniti senza perdere la loro identità. Hanno scelto di mettere insieme, in unione, servizi, bilanci, investimenti, personale. Hanno condiviso opportunità e necessità, sfide e problemi. Vero che questo processo è imposto con leggi statali e regionali da almeno cinque anni, ma diverso è farlo per scelta politica di sindaci – non certo con le stesse storie e dello stesso partito – che guardano a come i loro Comuni piccoli, con meno di tremila abitanti, possono diventare nel 2030. 'Comuni polvere' per dirla con il sociologo Aldo Bonomi che assieme all'ex Ministro Fabrizio Barca e al presidente del Censis Antonio De Rita il 14 settembre dedicherà una giornata di studio e approfondimento al ruolo del sistema istituzionale locale per il rilancio del Paese. Non è solo questione di risparmio. "Il tema è tutto politico – ribadiscono i deputati Enrico Borghi, alla guida dell'Uncem, ed Ermete Realacci, già presidente di Legambiente – Ed è per questo che in Parlamento riprenderà la discussione a settembre su un disegno di legge che abbiamo presentato e che mira a ridare il giusto valore alla montagna, ai centri storici e ai piccoli Comuni. Il rilancio dell'Italia non può non partire da qui. Nascono in queste periferie i progetti più stimolanti per generare nuove imprese, cultura, associazioni, nuove comunità dove ciascuno è prezioso perché non è un numero, non è massificato". Per scoprirle, vale la pena di un viaggio rigenerante, che farebbe bene a molti dei frequentatori dei Palazzi romani. Oltre confine, c'è chi l'ha già fatto. Il risultato è tutto nel volume "Entre deux mers", per settimane ai vertici delle classifiche francesi. Duemila chilometri a piedi per ritrovare la vera Francia. Nel suo viaggio il genetista Axel Kahn si è lasciato alle spalle i tic di Parigi scoprendo la vitalità delle zone rurali, fra l’amore per la terra e la forza delle piccole imprese nelle aree interne del Paese. Lo stesso viaggio da fare lungo lo Stivale, tra quei campanili e quelle comunità che anche senza i riflettori dei palazzi, tra tagli di trasferimenti e assenza di risposte dai ministeri, sono già più unite, provando ad andare oltre le crisi.

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