Comportamenti intelligenti e vita sana

Come aumentare gli anni senza malattie e arrivare a una vecchiaia serena
Foto Mauro Scrobogna /LaPresse

Diciamo la verità: quando andiamo dal medico, vorremmo che ci visitasse bene e alla fine ci desse una medicina efficace. Sbagliato! Il nostro vero obiettivo dovrebbe essere un altro. Anziché una ricetta con farmaci, dobbiamo chiedere al medico di controllare se vanno bene i nostri stili di vita, rafforzando i buoni ed eliminando i cattivi. Tutti gli esperti sono concordi: se vogliamo stare bene (anche in vecchiaia) dobbiamo mantenere stili di vita corretti. Inutile lamentarsi, poi.

Gli anni di “vita sana”
In Italia abbiamo una vita media tra le più alte al mondo, ma poca “vita sana”. L’aspettativa di vita è di 79 anni per gli uomini e 84 per le donne, ma quanti di questi anni passiamo con malattie (croniche soprattutto) che ci costringono a rinunce, ricoveri e dolori? Secondo le statistiche, gli uomini in media vivono in buona salute 67,7 anni, mentre le donne 67,2 (dati 2019). Ma sono gli stili di vita, a partire dall’infanzia, che decidono “quanti anni di vita sana” avremo in effetti. Praticamente più del 50% delle malattie ce le procuriamo da soli, attraverso abitudini di vita dannose! La maggior parte delle malattie sono evitabili.

Fattori di rischio
Per chiarire quali sono gli stili di vita corretti, conviene cominciare con un elenco dei fattori di rischio, aiutati dall’ultimo libro di uno dei massimi esperti a livello mondiale di farmacologia: Silvio Garattini (Il futuro della nostra salute, San Paolo 2021), 93 anni, in ottima forma fisica e mentale. I fattori sui quali possiamo influire col nostro comportamento sono: ipertensione, sovrappeso e obesità, fumo, diabete, insufficienza renale, colesterolo, consumo di sodio, consumo di alcol, attività fisica, densità minerale delle ossa. Sono importanti anche gli screening (per anticipare le diagnosi di tumore) e le vaccinazioni.

Povertà e istruzione
Detto questo, il maggior fattore di rischio per la salute è la povertà. I poveri infatti «muoiono precocemente, hanno più malattie cardiovascolari, più malattie renali, più ictus». Il motivo è che tendono (o sono obbligati) ad essere meno attenti alla salute: per esempio fumano più dei ricchi e sono spesso obesi (17,7 contro 8,1%). In Italia il tasso di mortalità è 193 per il Veneto, 232 per la Calabria e 288 per la Campania. Altro fattore decisivo è l’istruzione: i laureati fumano meno, sono più attenti alla dieta, fanno attività fisica e di solito vivono più a lungo. Ora analizziamo gli stili di vita.

Alimentazione ed esercizio fisico
Un basso consumo di cibo è importante per un invecchiamento sano. Mangiare quindi con varietà e moderazione. Preferire vegetali, frutti, cereali, pesce, olio di oliva. Evitare formaggi, carni rosse, grassi saturi, burro. Evitare anche gli integratori alimentari tanto pubblicizzati. Con una corretta alimentazione si può prevenire l’80% delle malattie cardiache e il 90% dei casi di diabete. Poi essenziale è l’esercizio fisico: una regolare attività (bastano ogni giorno almeno 30-40 minuti di passeggiata a passo svelto) previene malattie coronariche, diabete e demenza senile.

Esercizio intellettuale e ore di sonno
Per mantenere le funzioni cognitive e ritardare la comparsa di forme di demenza, bisogna tenere in attività il cervello, leggendo, studiando, risolvendo cruciverba, partecipando a convegni, mostre ed eventi di vita sociale. «La cultura è un fattore determinante per la riduzione delle malattie e il mantenimento della salute». Ricordarsi che è importante dormire un numero sufficiente di ore, evitando di fare frequentemente “le ore piccole”. La mancanza di sonno, infatti, favorisce l’accumulo di scorie e sostanze tossiche per il cervello.

Fumo da tabacco e alcol
Un grande fattore di rischio è il fumo da tabacco, che accorcia mediamente la vita di 10 anni. Favorisce bronchiti, enfisema polmonare, tumori, ipertensione, ictus, arteriosclerosi. Il fumo è anche una droga, perché la nicotina provoca dipendenza, con sintomi di astinenza che si manifestano, tra l’altro, attraverso apatia e disagio nell’ideazione. Anche l’alcol è cancerogeno, specialmente per esofago, stomaco, fegato e mammella. L’eccesso di alcol rinforza la cancerogenicità del tabacco, ed è associato a danni epatici. Invece un impiego moderato (un bicchiere di vino al giorno) va bene. Vietati in modo assoluto i superalcolici!

Droghe e dipendenza dal gioco
È inutile spendere parole sul disastro provocato dalle droghe: 700 mila giovani fanno uso di stupefacenti in Italia, con qualcosa come 400 morti per overdose (eroina e sostanze psicoattive) e 8 mila ricoveri ospedalieri ogni anno. Lasciamo la parola a Garattini: «La prevenzione dall’impiego di droghe soprattutto per i giovani rappresenta un problema di estrema importanza per diminuire la mortalità diretta e quella da incidenti stradali, nonché per i più giovani il pericolo di aumentare a distanza di anni la probabilità di depressioni e psicosi». Accanto alle droghe, i giochi d’azzardo sono una fonte di tragedie per le persone e le famiglie. Tra gratta e vinci, pubblicità e giochi online, «viviamo un’era schizofrenica: si stimola la gente a giocare per farla diventare dipendente, guadagnando tasse che vengono poi messe a disposizione per curare i dipendenti dal gioco d’azzardo!».

Inquinamento
È sempre più evidente l’associazione tra contaminazione ambientale e demenza. Non a caso l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha appena ridotto i limiti per l’esposizione a lungo termine agli inquinanti come particolato fine e biossido di azoto. Chi vive vicino a grandi vie di comunicazione rischia demenza, Parkinson e sclerosi multipla. Pare che il piombo contenuto nei carburanti si accumuli nelle ossa e venga poi liberato in vecchiaia penetrando nel cervello con effetti devastanti.

Dolore e speranza
Il dolore è un importante fattore di rischio per il suicidio (vedi articolo pag. 64). Chi ne è vittima è convinto che non si placherà mai. Di solito il dolore «aumenta con l’età, si appiattisce durante l’età del pensionamento e riprende a salire in seguito». L’invecchiamento porta con sé dolore per esempio per l’artrite, ma ci sono anche dolori che non hanno cause riconoscibili. La conseguenza è minore appetito, affaticamento, difficoltà a lavorare e stare con gli amici. In pratica, minore voglia di vivere. Nelle aree con forte disoccupazione, più persone riferiscono dolori. «Il dolore provocato dall’esclusione sociale agisce sul cervello in modo simile al dolore provocato da una ferita», col rischio di grave disagio psichico. Insomma, nessuno va lasciato solo, in famiglia e nella società. Importante è scegliere bene il proprio medico di base, che sappia ascoltare e non prescriva oppioidi antidolorifici, che causano dipendenza. Fondamentale in caso di ricovero anche la funzione dell’infermiere, con la sua capacità di offrire al malato ascolto, informazione e speranza. In generale, meglio ridurre al minimo la degenza in ospedale, se possibile, e organizzarsi a casa.

Troppe pillole
Un’ultima avvertenza: il 70% degli effetti tossici dei farmaci avviene sugli anziani con oltre 65 anni, che sono quelli che consumano più medicine, avendo spesso più di una malattia. Prendere tante pillole aumenta il rischio di interazioni negative tra i farmaci. «Inoltre 8 farmaci su 10 sono stati ritirati dal commercio per tossicità evidenziate nelle donne». Bisognerebbe avere un geriatra (medico degli anziani) che valuta se e quali farmaci prendere, concentrando l’attenzione sulla malattia più importante (vedi box). In conclusione: migliori stili di vita fin da giovani, e solo le medicine essenziali in vecchiaia. Per capirsi: Garattini a 93 anni non prende nessun farmaco.

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Al mattino prendo caffè, spremuta, qualche volta un cornetto, niente pranzo, durante la giornata un te o altro apporto di glucosio (per il cervello), poi cena leggera. 5 km di passeggiata con passo veloce al giorno. Silvio Garattini

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Chi è il geriatra e perché è importante
Il geriatra è il medico che cura l’anziano, come lo è il pediatra per un bambino. Ma non è solo questione di età anagrafica. L’anziano è spesso un paziente fragile e complesso. Con fragile si intende un soggetto che risulta affetto da patologie multiple, spesso croniche e irreversibili, a cui si associano terapie molteplici, in un soggetto clinicamente instabile, frequentemente disabile, nel quale spesso coesistono problematiche sociali ed economiche, quali solitudine e povertà.

L’anziano è anche un paziente dove possono diventare rilevanti le questioni bio-etiche: rapporto rischio/beneficio di alcune pratiche diagnostiche e terapeutiche, gestione del fine vita, necessità di rispettare l’autonomia parziale del paziente ma anche di fornire cure che la limitano. Spesso c’è anche la necessità che certe decisioni vengano prese da soggetti diversi dal paziente stesso, per demenza o altre patologie neuro-psichiche.
Il geriatra è quindi uno specialista che si deve occupare della salute della persona sotto più punti di vista: bio-fisico, psico-cognitivo, socio-ambientale e talora anche esistenziale-spirituale, nel senso della ricerca di un senso profondo alla vita, in senso ampio, non solo religioso.

La co-morbilità è quella condizione in cui più patologie colpiscono un individuo come conseguenze di una “malattia indice” (ad es. aterosclerosi) che scatena più eventi patologici (ictus, infarto, ecc.). Ma oltre alla co-morbilità il geriatra, diversamente da altri specialisti, è abituato a gestire anche la multi-morbilità, quando si hanno più patologie, non tra loro correlate, che possono creare rischi per la salute più gravi della loro semplice somma (ad es. cardiopatia ipertensiva, diverticolosi intestinale, BPCO, diabete, ecc.). In pratica il geriatra è un esperto nella cura del paziente complesso, dove la gestione di più specialisti d’organo (cardiologo, nefrologo, neurologo, ecc.) spesso fatica a trovare una sintesi, in particolare terapeutica, sommando farmaci, e conseguentemente esponendo il paziente a danni dovuti ad effetti avversi delle stesse medicine (sopra i tre farmaci il rischio diventa addirittura esponenziale, per le possibili interferenze tra i diversi principi attivi).

Il geriatra infine è anche il medico che, perché conosce bene l’invecchiamento fisiologico – che come indicano recenti ricerche scientifiche inizia già dai 25-30 anni – può essere un punto di riferimento anche nella prevenzione di malattie età-correlate, e nella promozione di stili di vita che portino a vivere in buona salute le età più avanzate.

Valter Giantin
Direttore UOC Geriatria di Bassano del Grappa (VI), Presidente di comitati etici, Prof. a. c. Scuola di Specializzazione in Geriatria e Bioetica (Università di Padova).

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Cos’è la “medicina di genere” e perché è importante
La “medicina di genere” studia l’influenza delle differenze biologiche (definite dal sesso), ambientali, socio-economiche e culturali (definite dal genere) sullo stato di salute e di malattia di ogni persona. Nei due sessi, infatti, molte malattie presentano una diversa frequenza, sintomatologia e gravità, oltre a una differente risposta alle terapie, con più frequente comparsa di reazioni avverse nel sesso femminile.
Nei due sessi, per le stesse patologie, si hanno significative differenze sia nei sintomi che nella risposta ai farmaci (infarto del miocardio, broncopatia cronica, diabete mellito, tumori ecc.). Sesso, età, etnia e peso corporeo di uomini e donne condizionano in modo diverso l’assorbimento, l’azione e l’eliminazione dei farmaci, oltre alla presenza di reazioni avverse.

Alcune patologie, considerate classicamente femminili (osteoporosi, depressione, ecc.), sono spesso sottostimate nel sesso maschile e le differenze cliniche e di risposta ai farmaci sono poco studiate. La co-morbilità (presenza contemporanea di più malattie) è, indipendentemente dall’età, più frequente e differente nel sesso femminile rispetto al maschile.
Sappiamo infatti che le donne vivono più a lungo degli uomini, ma nei paesi occidentali, gli anni di vantaggio in termini di sopravvivenza sono spesso appesantiti da disabilità determinate da malattie croniche.
Anche gli stili di vita dei due sessi sono differenti: il fumo e l’alcolismo sono più frequenti negli uomini, ma in aumento soprattutto nel sesso femminile. Tutto questo richiede piani di prevenzione differenti nei due sessi. Alcuni fattori non biologici (ambientali, socio-economici e culturali) incidono sullo stato di salute e sull’esito delle malattie in modo diverso a seconda del sesso maschile o femminile.

È fondamentale quindi, per una visione globale del concetto di salute, definire percorsi diagnostici, preventivi e terapeutici specifici per ogni sesso, valutati oltre che sulle caratteristiche della malattia, anche sugli stili di vita del paziente.
La “centralità” del paziente, la sua partecipazione alla costruzione del percorso assistenziale, e l’attenzione al rapporto medico-paziente (relazione di cura), rappresentano oramai un modello clinico di riferimento (vedi il Piano per l’applicazione e la diffusione della Medicina di Genere nella Legge 3/2018). La valutazione delle differenze di sesso e genere costituisce oggi un elemento fondamentale per lo sviluppo di una “medicina personalizzata” e l’utilizzo di indicatori specifici deve essere parte integrante anche dei programmi di ricerca.

Anna Maria Moretti
Specialista malattie apparato respiratorio
Responsabile per le Malattie Respiratorie Ospedale S.Maria GVM-Bari
Presidente della Società Scientifica Medicina di Genere “GISEG”

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