Complessità relazionalità dialogo

Per un nuovo metodo di ricerca che nasca dal binomio vita e pensiero. La riflessione di una giovane ricercatrice.
2600 atomi compongono la proteina mioglobina del capodoglio

La specializzazione dei saperi sta alzando, anno dopo anno, un muro di incomunicabilità nei nostri dipartimenti di ricerca. Non possediamo più le parole di un linguaggio comune dove incontrarci e così alla fine ci ritroviamo sempre più spesso isolati, capaci di dialogare solo con quelli del nostro “campo”. Un campo che è diventato un piccolo orticello di provincia, in cui nessuno ha il permesso di entrare se non quei pochi che hanno le chiavi. Ma per chi coltiviamo le nostre fragole? Al tavolo della conoscenza non c’è più la gioia di condividere e così i risultati sono, oserei dire, incompleti. Le domande che ci fa l’oggi sono “complesse”. Nella nostra società post-moderna, globalizzata e liquida, non importa quale sia la domanda e nemmeno la porta a cui bussa, che sia quella della politica o della biologia, dell’economia o della neuroscienza,  l’aggettivo sarà sempre “complesso”.
 
Ogni campo del sapere si confronta con sistemi complessi, sistemi cioè in cui il comportamento globale è sensibilmente più ricco di quanto possibile ai singoli componenti. Ci sono gli elementi, ci sono le interazioni fra essi, ma il sistema risultante porta in sè un di più. Cosa ci sia dietro il di più è la domanda di fondo che tanti ricercatori si pongono. Una domanda “complessa”.
 
Ma noi, ormai abituati ognuno a parlare una lingua diversa, concentrati nella nostra specializzazione abbiamo risposte solo per le parti. Del singolo elemento sappiamo dire tutto, abbiamo volumi pieni di parole difficili che possono descriverne le caratteristiche fin nei minimi dettagli, ma la somma di queste parolone non riesce a dire niente su quel di più che il tutto ci pone davanti. Proprio come nell’oggetto di studio in questione il comportamento del sistema non è riducibile alla somma delle parti, così la somma delle nostre specializzazioni non riesce a svelare il “mistero” nascosto nel salto dalle parti al tutto.
 
Che si debba allora elaborare anche un metodo di indagine “complesso”?
Non basta insomma giustapporre le nostre conoscenze specialistiche l’una a fianco all’altra, serve forse una nuova metodologia di indagine scientifica, la cui dinamica è forse nascosta nello stesso oggetto di osservazione. Se da un lato infatti la parola “complessità” porta in sé una connotazione negativa, dall’altro questa scienza si occupa degli effetti delle interazioni tra enti diversi, e si potrebbe rinominare “scienza delle relazioni”.
Ma allora la “relazione” diventa il paradigma del nuovo metodo di cui abbiamo bisogno, che nasce necessariamente dal binomio vita e pensiero. Esso chiede prima di tutto a noi ricercatori di fare l’esperienza di quel salto. Le nostre conoscenze devono sedersi al tavolo del dialogo e, attraverso la reciprocità dei saperi specifici, mediata da noi stessi, si potrà giungere alla descrizione del di più che la complessità/relazionalità porta in sé.
 
Nell’entusiasmo della nuova intuizione bisogna stare però attenti a non sedersi al tavolo comune e poi continuare, usando la vecchia metodologia, a sommare i risultati dei nostri frammentati saperi. Il dialogo è una metodologia nuova da imparare da zero, con le sue regole, teoremi e corollari.  Va allo stesso tempo studiato e praticato perché nasce da una dinamica di pensiero e vita.
Il suo assioma fondamentale è proprio che la somma non è dialogo. Il dialogo è relazione di reciprocità e si può scomporre in due movimenti di fondo: com-prendere in me il sapere dell’altro in un atteggiamento di apertura e accoglienza totale senza pre-giudizi né giudizi, e donare il mio sapere all’altro senza sconti né riduzioni semplicistiche.
Solo in questa dinamica dialogica si arriverà al di più. Un di più che ci sorprenderà al pari delle grandi scoperte del passato.
 
Alcuni possibili luoghi di dialogo
L’università Sophia è un laboratorio di vita e pensiero che offre alla società di oggi quello di cui ha bisogno: imparare il dialogo,  coinvolgendo i fondamenti e le prospettive (http://www.iu-sophia.org/).
La neonata corrente “transdisciplinare” è portata avanti da studiosi di vari paesi che hanno colto la forte domanda di cambiamento (basarab.nicolescu.perso.sfr.fr/ciret/indexen.html).
Il Disf Working Group, programma di formazione per giovani laureati, ricercatori e studiosi, offre la possibilità di arricchire e inserire le proprie conoscenze specifiche in un ampio quadro interdisciplinare (www.disf.org).
La recente scuola organizzata dal Sefir (Scienza e fede per l’interpretazione del reale) ha visto la partecipazione di giovani di varie discipline, in un dialogo intorno al tema della libertà, accompagnati da figure mature di professori provenienti da diverse università italiane (www.progettoculturale.it).

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