Come raccontare ai nostri figli le stragi di Parigi

E come spiegarlo anche ai nostri studenti che cresciuti nell’era delle polarizzazioni fanno fatica a capire, come noi del resto, che la storia e i conflitti sono densi di intersezioni dove buoni e cattivi non stanno solo da una parte. L’analisi di un docente di filosofia
Parigi dopo gli attentati

Come raccontare alle giovanissime generazioni quanto sta succedendo? L’impegno non è di poco conto. Se le bombe, la violenza ed il dolore che esse creano, tendono inevitabilmente a polarizzare le posizioni e gli schieramenti, a definire scacchiere politiche e morali fatte da “bianchi” e “neri”, nei confronti dei nostri figli e studenti dovremo rinunciare agli schemini manichei e invece far capire che i contorni fra buoni e cattivi sono e sono sempre stati sfumati e dinamici, e che l'insiemistica della storia e dei conflitti è strapiena di insospettabili intersezioni.

Dovremo raccontare loro qualcosa di più della semplice follia di pochi criminali, qualcosa di più una storia semplificata, fatta su misura della nostra immediata reazione emotiva o disinformazione. L’impegno che ci viene richiesto dovrebbe essere insomma quello di raccontare, con la fatica che ciò richiede, la “complessità” della situazione.

Dovremo dirgli che a finanziare i gruppi salafiti, bacino primario di reclutamento dei terroristi Isis, ci sono quei Paesi del Golfo Persico le cui dittature l'Occidente avalla e protegge da decenni, in primis Qatar, Emirati Arabi e, soprattutto, Arabia Saudita. E che Paesi come l'"europea" Turchia hanno visto nel “Califfato” un utile alleato nella loro lotta ai loro “veri” nemici, i Curdi.

Né dovremo tacere sul fatto che l'Isis probabilmente non è una "creatura" nata per parto spontaneo e che ha fatto comodo (se non fa ancora comodo) politicamente a diverse potenze occidentali, che hanno interesse, per questioni di riposizionamento geopolitico in aree strategiche come quelle mediorientali, a mettere gli uni contro gli altri Sciiti e Sunniti, Iraniani e Sauditi, e che questa linea politica è vecchia almeno quanto l’Impero romano, ma più probabilmente quanto l’uomo, ed è il “divide et impera”.

Dovremo anche dire loro che la logica che sottende questa linea politica si chiama a sua volta, e da secoli, "ragion di Stato", e che è l’impegno principe, se non il sollazzo preferito, di governi e think-tank, di servizi segreti e di Dipartimenti di Stato di ogni epoca e latitudine. E che è anche il principio alla base del maggior numero di morti ammazzati nella storia dell'umanità.

Dovremo purtroppo anche dire loro che una parte dell'Occidente che in questo stesso momento è impegnato a "stigmatizzare" l'"indicibile orrore" degli attentati, fa affari d'oro vendendo armi ai Paesi arabi che armano l'Isis e comprando dall’Isis petrolio al vantaggioso prezzo del mercato nero.

E dovremo chiederci con loro se non sia un caso il fatto che vengano bombardati villaggi e città (e civili) in Siria piuttosto che i pozzi petroliferi che alimentano il Califfato, che a sua volta “bombarda” o mitraglia noi. In un girotondo di violenza che sembrerebbe insensato, se non nascondesse a sua volta un girotondo di denaro che fa comodo a troppa gente contemporaneamente.

Dovremo far anche sapere ai nostri giovani che fra produttori e venditori di armi pare che ci destreggiamo mica male anche noi Italiani. Che, Costituzione alla mano, “l’Italia ripudia la guerra”, ma pare non ripudi più di tanto incassare quote di PIL per armare chi le guerre le fa in altre sedi, lontane da occhi indiscreti e dal loro pericoloso corredo di ghiandole lacrimali.

In barba peraltro alla legge n. 185 del 1990, che vieta all’Italia la vendita di armi “verso Paesi in stato di conflitto armato” o anche semplicemente  «verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani». E che fra i primi cinque “clienti” delle aziende belliche italiane oggi figurano, oltre agli USA, Paesi come l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e la Turchia, proprio quelli più sospettati di armare il Califfato e i suoi terroristi.

Dovremo anche ricordare che le ambiguità riguardano anche il fronte dei musulmani moderati, finora complessivamente piuttosto timido nell’isolare Imam predicatori di violenza e gruppi inneggianti al fondamentalismo.

Dovremo poi raccontare che c’è chi cerca di guadagnare politicamente, in Europa e da noi, soffiando sul fuoco dell’odio e della diffidenza, e sponsorizza in ogni occasione il mantra della “guerra fra civiltà”, attraverso dichiarazioni, manifestazioni, atti eclatanti o titoli di giornale parto della stessa miopia politica, angusta memoria e irresponsabilità mediatica. 

Insomma, dovremo trattare da soggetti dotati di intelligenza e dignità i nostri figli e studenti e non tacere le mille e cangianti sfumature di grigio di questa storia.

Ricordando però anche loro la cosa forse più importante: che da eventi e situazioni molto gravi l’uomo ha dimostrato nella storia di saper tirar fuori anche il meglio di sé e di saperli perfino utilizzare come base per una società comunque migliore, come insegna il processo avviatosi in Europa dopo la Seconda guerra mondiale.

In questo senso, segnali di movimento di una umanità pulita e coerente, pronta a sbracciarsi le maniche e a ricostruire sulle macerie una nuova “casa comune”, senza mai abdicare ai propri valori e ai principi cardine della propria civiltà, ce ne sono già ora moltissimi. E possono vincere sugli architetti della paura.

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