Come generare un nuovo Welfare/1

In questo periodo di crisi, che investe anche il welfare, occorre pensare a nuovi modelli. Partiamo da alcuni esempi recenti, come quello proposto dalla Fondazione Zancan, per un dibattito attuale
tiziano vecchiato

Il Welfare, quella realtà che con parola “nostrana” e più “rotonda” chiameremmo “servizi alla persona”, dove il binomio «raccogliere e redistribuire», è l’idea guida che hanno ispirato fin dal 1800 le politiche di welfare redistributivo, cioè le politiche pubbliche di inclusione sociale da Bismarck a Beveridge, sono state innovative nei contesti storici e sociali in cui sono nate e in cui sono state implementate. In una realtà complessa come quella attuale sono inadeguate e superate in quanto sista vivendo una fase nella quale la crisi economica e non solo, ma anche quella di senso e valoriale, rivela indici mai raggiunti nel corso degli ultimi vent’anni. Infatti sono cresciuti di circa un milione e mezzo sia i poveri "relativi" che quelli "assoluti"; senza parlare della disoccupazione specie nel mondo giovanile che ha raggiunto cifre record, colpendo tutto l’arco dell’età lavorativa, con gravi riflessi economici, psicologici e sociali. La povertà ha superato da anni le caratteristiche tipiche del fenomeno transitorio e congiunturale, per assumere i connotati di un'involuzione strutturale, che allarga progressivamente le disuguaglianze sociali, intacca i diritti fondamentali dei cittadini e per questo chiama in causa le grandi scelte politiche e richiede la mobilitazione di tutte le forze culturali e sociali.

In questo senso e non solo, va superato un modello di welfare, di Servizi alla Persona, basato quasi esclusivamente su uno stato che raccoglie e distribuisce risorse tramite il sistema fiscale e i trasferimenti monetari. Serve un welfare che sia in grado dirigenerare le risorse (già) disponibili, responsabilizzando le persone che ricevono aiuto, al fine di aumentare il rendimento degli interventi delle politiche sociali a beneficio dell’intera collettività. La proposta, lanciata da Tiziano Vecchiato che dirige la Fondazione Zancan , viene qualificata come "welfare generativo" (WG).

Ci dice Vecchiato: «Per il simbolo del WG ci si amo ispirati al “koru”. È il nome Māori dato in Nuova Zelanda ai germogli di felce argentata mentre si aprono srotolandosi: il koru simboleggia la creazione, l’idea di movimento perpetuo e al tempo stesso di costante ritorno al punto di origine. È un concetto in linea con quello di welfare “generativo”: un welfare in grado di rigenerare e far rendere le risorse (già) disponibili, per aumentare il rendimento degli interventi delle politiche sociali, a beneficio degli aiutati e dell’intera collettività».

Come sviluppare il WG? «Lo scenario del WG prevede un incontro tra diritti e doveri. Le attuali forme di protezione sono “a riscossione individuale”: la persona, a fronte di una situazione di bisogno, usufruisce di prestazioni sociali che lo attenuano, ma senza che ciò comporti ricadute positive oltre il beneficio individuale.

È possibile che a fronte di tali diritti individuali corrispondano, in capo agli stessi beneficiari, dei doveri di solidarietà? Lo chiediamo ancora a Vecchiato «Se così fosse i diritti individuali si trasformerebbero in diritti a corrispettivo sociale: quello che la persona riceve è per aiutarla e per metterla in condizione di aiutare altri. Così facendo si ottengono ricadute positive per il beneficiario e per la comunità. Si tratta di chiedere agli aiutati di responsabilizzarsi, valorizzando le proprie capacità ed evitando la dipendenza assistenziale. In questo modo vengono incentivate la solidarietà e la responsabilizzazione sociale.»

Ad esempio, i lavoratori in cassa integrazione potrebbero restituire alla società, sotto forma di attività a favore della comunità, quello che dalla società ricevono, per la loro giusta sopravvivenza, nei momenti di forzata inattività.

Analogo discorso andrebbe sviluppato anche nei confronti di chi riceve aiuti economici di sostegno al reddito. La parte di essi che, per l’età avanzata o per malattia, sono impediti dallo svolgere un impegno "lavorativo", sono a carico della società. Coloro i quali hanno energie adeguate e salute sufficiente dovrebbero però essere aiutati ad inserirsi nel processo lavorativo e produttivo e, in attesa di questo, a contribuire essi stessi alla creazione di valore sociale.

Già nel Rapporto sulla Povertà 2012 della Fondazione Emanuela Zancan si proponeva come pratica generativa di welfare la possibilità che i lavoratori percettori di ammortizzatori sociali svolgessero attività sociali. Nella realtà vi sono alcuni esempi di azioni che vanno in questa direzione, permettendo di “ri-generare” le risorse (ad es., le capacità e competenze di lavoratori cassintegrati), facendole rendere (tramite il lavoro svolto a beneficio proprio e della collettività) e responsabilizzando gli aiutati (nella logica dei diritti sociali “a corrispettivo”).

Vi sono vari esempi già in atto che affronteremo negli articoli che seguiranno.

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