Come Ercole finì sulla cattedra di san Pietro

Non c’è dubbio: tra i personaggi della mitologia classica nessuno è diventato più popolare di Ercole, l’Eracle dei greci derivato a sua volta dal Melqart fenicio. Se nell’antichità non c’era dimora pur modesta priva di una raffigurazione di questo campione più impulsivo e generoso che intelligente, a partire dalle trasfigurazioni poetiche di Ovidio e Virgilio fino al moderno culto del corpo e della forma fisica la sua figura ha lasciato una impronta indelebile nella cultura occidentale come quella di nessun altro. Ercole è l’eroe per eccellenza: divino e umano al tempo stesso, forte, bello e virile. Precursore di Superman, impegnò la sua forza smisurata nel difendere i deboli e gli oppressi, nel punire l’ingiustizia e la violenza e nel compiere imprese utili agli uomini, e pertanto gratificato, fra gli altri titoli, con quello di Soter, salvatore. Se però, nelle celebri fatiche, trionfa delle forze della natura e delle potenze malefiche, appare anche nella sua vulnerabilità: ricercatore tormentato di una irraggiungibile felicità, vittima della facilità all’ira e di una follia causa di lutti e sofferenze, e infine avviato ad un tragico destino. La storia ce ne ha restituito le immagini più svariate: raffigurato per millenni nella scultura e nella pittura, le sue gesta sono state narrate dalla letteratura, dal teatro e, più recentemente, dal cinema (si pensi ai tanti film del genere peplum e all’Hercules disneyano e di una famosa serie televisiva). Imperatori romani, principi rinascimentali e dittatori moderni, infine, hanno tentato in ogni modo di appropriarsi del simbolo che egli rappresenta. Per avvicinare in modo godibilissimo e assolutamente non convenzionale questo figlio di Giove (Zeus) e di Alcmena, assurto agli onori divini dell’Olimpo, basta scorrere la biografia edita da Donzelli Ercole, una vita da eroe. L’autore Alastair Blanshard, docente di storia della cultura greca antica presso l’Università di Sidney, squaderna con stile spassionato e divertito, e avvalendosi delle testimonianze dell’arte e della letteratura, le principali tappe della vita del nostro eroe, dalla nascita a Tebe subito insidiata dai serpenti man- dati dall’implacabile nemica Giunone (Era), fino alla morte atroce tra le fiamme di una pira, a cui seguì l’apoteosi. Tra questi due eventi assistiamo alla sua giovinezza macchiata – nei frequenti accessi d’ira – dal sangue del tutore Lino, della prima moglie Megara e dei figli; quindi alle dodici fatiche compiute per espiazione e alle successive spericolatezze, una volta sollevato dal fardello dei propri crimini. Perduta purtroppo l’opera scritta al riguardo da Plutarco, il padre della biografia moderna, l’autore si rifà alle due migliori fonti, rappresentate da Apollodoro e Diodoro Siculo; ed anche se non pretende di fornire il catalogo completo dei tanti miti fioriti attorno al nostro, riscopre molte sue avventure spesso dimenticate, ma che rivelano quanto egli sia molto più dell’eroe tutto muscoli (oggi emulato dai campioni di culturismo o di wrestling), come pure del donnaiolo, ubriacone e… travestito (proprio così: divenuto schiavo di Onfale regina di Lidia, fu costretto a vestire abiti e ad espletare compiti femminili!). Storia tragica e comica insieme, dunque, la sua, capace di appassionare e stupire il lettore, al quale Blanshard mostra, con ironia, quanto complessa sia la nascita di un mito. In fondo, con i suoi eccessi Ercole porta alla luce il lato oscuro della natura umana, manifestando la necessità di una scelta capitale, quella di chi si trova al bivio tra vizio e virtù. E quanto al suo caotico vagabondare di avventura in avventura, che lo porta fuori della Grecia fino all’estremo del mondo conosciuto (non senza un passaggio in Italia, dove ha occasione fra l’altro di entrare nella leggenda delle origini di Roma e di fondare Ercolano) è interessante il tentativo di cercarvi un senso, una morale che attende di essere svelata. Cosicché abbondano le interpretazioni allegoriche del mito, che anzi, con l’avvento del cristianesimo, subisce la più straordinaria delle metamorfosi: quella che vede Ercole figura di Cristo che lotta contro l’impero del Maligno e muore soffrendo per poi risorgere: è il motivo per cui ritroviamo l’eroe nerboruto con la sua clava nei dipinti delle catacombe e, nella successiva arte paleocristiana, perfino sulla cosiddetta cattedra di Pietro, singolare trono ligneo ornato di formelle d’avorio che rappresentano appunto le dodici fatiche di Ercole.

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