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Combattenti per la pace, un’altra storia è possibile

di Daniela Bezzi

- Fonte: Città Nuova

La realtà del movimento per la pace che vede impegnati ex combattenti e obiettori di coscienza israeliani e palestinesi. Due incontri pubblici in Italia

Israeliani e palestinesi del movimento Combattenti per la Pace in un’azione di interposizione nonviolenta davanti alle forze di sicurezza israeliane in Cisgiordania. Credit: Combattenti per la pace.

Ottobre, andiamo, è il tempo degli ulivi! Ma mai come quest’anno le procedure di raccolta saranno ostacolate – lo sono già da giorni – dall’aggressione dei coloni, che ormai da tempo hanno via libera su tutti i fronti in Cisgiordania. La raccolta delle olive è un momento speciale in terra di Palestina, fortemente legato all’idea di resistenza, così ben rappresentato dal tronco di alberi secolari, testimoni della cura trasmessa di generazione in generazione. Ma già da anni questo periodo registrava una crescente tensione, e quest’anno sarà peggio del solito: più di mille gli attacchi dall’inizio del 2025, secondo un rapporto della Commissione OCHA (Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari), con aggressioni, espulsioni, furto di proprietà e danni economici particolarmente acuti nelle zone di Nablus, Hebron e Mazafar Yatta.

È in questo contesto di violenza e diritti negati che si muovono i Combattenti per la pace. Nato 20 anni fa dalla scelta di deporre le armi di un piccolo gruppo di ex militari dell’IDF ed ex miliziani palestinesi, questo movimento è diventato nel corso del tempo il punto di riferimento per un crescente numero di attivisti, in particolare fra i giovani e le donne. Non a caso alla codirezione dell’organizzazione ci sono ora due donne, l’israeliana Eszter Koranyi e la palestinese Rana Salman. «È una vera e propria guerra quella che si sta consumando in Cisgiordania», mi conferma Rana, che raggiungo per telefono mentre è in viaggio verso Cipro per una conferenza che le vede entrambe impegnate. «Una guerra che, nel confronto con quanto succede a Gaza, non fa notizia neppure sulle nostre testate. Ma la violenza ha raggiunto livelli allucinanti. E non possiamo che essere grati ai tanti attivisti internazionali che vengono a darci una mano, molti dall’Italia. Ma la prima linea tocca ai nostri attivisti, soprattutto israeliani: fa una bella differenza per un soldato in divisa trovarsi di fronte qualcuno che parla l’ebraico, che magari ha il doppio della tua età o potrebbe essere tuo figlio. E che non si limita a fare interposizione con il proprio corpo, ma anche nelle situazioni più difficili cercherà di instaurare una qualche forma di dialogo: proverà a farlo ragionare, gli renderà il compito insomma più difficile, almeno moralmente… o così ci auguriamo».

Attivisti dei Combattenti per la pace affiancano i contadini palestinesi durante la raccolta delle olive nelle aree sotto pressione dai coloni. Credit: Combattenti per la pace.

Secondo i dati dell’OCHA (Agenzia Onu per i rifugiati), dal 7 ottobre a oggi si sono verificati in Cisgiordania 1.860 episodi di aggressione, una media di 4 al giorno. Oltre 40 mila alberi sono stati danneggiati o sradicati, per la maggior parte ulivi. Sono 1.200 i palestinesi rimasti uccisi, particolarmente colpite le comunità rurali e beduine: alcuni villaggi sono ormai vuoti nelle zone circostanti Nablus, Ramallah e Hebron, dove 700 mila coloni si sono insediati in circa 250 avamposti. «È una violenza sistematica, continua, deliberata – aggiunge Rana –, ben documentata da tante organizzazioni attive sul fronte dei diritti umani, sia israeliane che a livello internazionale, senza alcun risultato, anzi: è evidente il ruolo di protezione dell’esercito nei confronti dei coloni, anche in casi di palese illegalità».

Su questi difficili fronti i Combattenti per la pace sono presenti da anni, e non solo in questa stagione. Accompagnamento dei pastori e dei contadini nelle aree assediate, interventi di ripristino sulla rete idrica e sulle tubature d’acqua danneggiate, presidio costante all’interno di villaggi e abitazioni a rischio di occupazione: impegno no stop, nell’arco di tutto l’anno. «Per fortuna non da soli – sottolinea Eszter Koranyi –. Un aspetto positivo in tutta questa storia dal 7 ottobre a oggi è il crescendo di attivismo, tra Israele e Palestina, nonostante lo shock iniziale, con decine di organizzazioni attive sul terreno e frequente scambio di attivisti e competenze. Per esempio quest’estate abbiamo tenuto un presidio settimanale non lontano dalla nostra sede di Beit Jala: ogni mercoledì tutti lì, fermi, in silenzio, i nostri cartelli in tre diverse lingue che parlavano per noi: “No al genocidio”, “Basta con l’occupazione”, “Fine dell’apartheid”. Di settimana in settimana il gruppo è cresciuto, nonostante le incursioni dei militari: israeliani e palestinesi insieme, uniti nella denuncia di questa guerra che ci consuma tutti quanti, dalla quale potremo uscire solo co-resistendo insieme. Come i Combattenti per la pace siamo la prova che un’altra strada esiste: dignità, giustizia, rispetto dei diritti, mutuo riconoscimento in quanto abitanti di questa stessa terra, contro chi ci vuole per sempre nemici. Per noi è chiarissimo che non potrà esserci una soluzione militare al conflitto ma semmai politica; e che la riconciliazione potrà iniziare solo mettendo fine all’apartheid».

Una scelta di radicale nonviolenza la loro, che pacifica non è: come israeliani sono accusati di tradimento; come palestinesi scontano l’ostracismo di chi li considera normalizzatori o, peggio, collusi con il nemico. Perciò meritano tutto il nostro sostegno, come infatti sta succedendo: dopo il recente evento organizzato a Milano da Fondazione Gariwo, per la Giornata Internazionale della Pace (21 settembre scorso), Eszter Koranyi e Rana Salman sono di nuovo in Italia per il Premio Respublica che il 25 ottobre è stato loro conferito dal Comune di Mondovì. E due giorni prima sono state a Milano per una serata che ha avuto come tema proprio la guerra nei territori in Cisgiordania, presso Il Cielo Sotto Milano di Stazione Porta Vittoria.

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