Comandi e permessi nella coppia

A volte basta una parolina per farci scattare e scatenare un litigio con il partner. Questo potrebbe essere legato ai trigger: stimoli che richiamano precedenti esperienze traumatiche, che vanno superate per poter vivere relazioni serene, innanzi tutto con se stessi.
(Foto: Pexels)

“A volte basta una parolina per far ripartire il conflitto tra noi...”, mi dice Tommaso. Effettivamente a volte in una relazione di coppia ci sono degli elementi apparentemente neutri che reinnescano vecchie dinamiche. Quali sono questi elementi? Li chiamiamo trigger.

I trigger sono “stimoli che richiamano una precedente esperienza traumatica. Non devono essere spaventosi o sensazionali, è sufficiente che ricordino il trauma indirettamente o superficialmente. Può essere un’immagine, un odore, un luogo”.

I trigger non ci permettono di restare nel qui e ora della situazione in cui ci troviamo, ma ci riportano ad un “là e allora” di altre situazioni vissute e introiettate. Si tratta di ferite interiori non curate che possono uscire fuori in qualsiasi momento, soprattutto quando si fanno delle associazioni mentali che portano a ricordare l’evento traumatico. Così può accadere che all’interno di un dialogo di coppia potrebbero esserci reazioni che appaiono sproporzionate all’evento, ma che richiamano a qualcosa di irrisolto.

“Quando lui comincia ad urlare io sento tanta paura, mi zittisco o vado in allarme”, dice Rosa. Ciò che accade è che alcuni eventi possono influenzare la decodificazione della realtà, ad esempio alterando e/o amplificando la sensazione di minaccia, e intensificando le reazioni difensive conseguenti. In sostanza, numerose esagerazioni e incongruenze si basano su particolari interpretazioni dei messaggi del partner, che risultano erroneamente amplificati e/o distorti. Ma perché vediamo la realtà con questa sorta di “occhiali”?

Probabilmente perché quelle parole del partner sono decifrate come pressanti inviti a realizzare prescrizioni introiettate e vanno ad agganciare la paura che alcune necessità rimarranno disattese, esattamente come accaduto in passato. In realtà, i messaggi oggettivi privi di contaminazioni derivanti da esperienze pregresse difficilmente innescano amplificazioni e risposte difensive.

“Mio marito ieri mentre stavamo per uscire mi ha chiesto: che ora è? Questa domanda mi ha fatto perdere il lume della ragione, voleva rimproverarmi perché stavo facendo tardi come al solito”, racconta Monica. Probabilmente in questa situazione c’è qualcosa che attiene al passato, rispetto alla pressione a sbrigarsi e una domanda neutra come: “Che ora è?” viene reinterpretata come una critica e una minaccia. La sensazione che ne scaturisce è di dover confrontarsi non tanto col partner, reale ma con tutte le nostre storie passate, con tutto ciò che ci ha fatto male e ancora continua a farci male nel presente.

Pertanto ne consegue l’importanza di comprendere che le difficoltà nel qui e ora potrebbero derivare, non da ciò che accade nel presente all’interno della coppia, bensì, dalle disposizioni interne, relative al passato, di ciascun partner, che si trova a simboleggiare quel genitore o quel familiare che ripetutamente ha prescritto di negare o rimandare la realizzazione di alcuni permessi fondamentali. Pertanto il partner, seppure “innocente”, diventa all’improvviso un’importante minaccia da contrastare con forza.

“Quando mi guarda in quel modo so già che non è contento di ciò che ho fatto”, dice Antonella. Anche gli sguardi possono essere trigger potenti come le parole.

Si tratta di prendere consapevolezza che quelli che possiamo chiamare “comandi”, cioè i messaggi a comportarci in una certa maniera piuttosto che in un’altra, ricevuti da bambini dai nostri genitori ed oggi introiettati, continuano a premere e rileggiamo la realtà sulla base di essi. Quindi per difenderci da questo dolore, ciò che di conseguenza facciamo è di pretendere rassicurazioni e reclamare “permessi” che, purtroppo, il partner non può concederci. Questo perché molti di questi permessi occorre che cominciamo ad accordarli da noi stessi.

Se per esempio da bambini abbiamo avuto un comando a “essere perfetti”, probabilmente una critica del partner su qualche nostra inadempienza ci ferirà infinitamente generando una possibile escalation conflittuale.

Sarebbe invece utile chiedersi se noi, in prima persona, riusciamo a darci il permesso di accettarci così come siamo, se riusciamo a dirci: sei ok anche se non sei perfetto/a.

Molto probabilmente quando sovrapponiamo l’esperienza attuale con il partner con quella derivante da relazioni pregresse con figure significative mettiamo in atto un processo di contaminazione. A volte lo facciamo non solo col partner, ma anche con gli amici, i colleghi, i compagni di comunità. Basta una parolina, basta uno sguardo per scatenare reazioni importanti che nulla hanno a che vedere con quanto realmente accaduto in quella dinamica relazionale attuale.

La contaminazione poi determina confusione e come in un circolo vizioso porta ad una conseguente difficoltà ad affrancarsi dal ripetere pedissequamente e in automatico condotte amplificate e improduttive.

Se questo accade in una coppia ciclicamente e non si riesce a superare, è naturale che la relazione venga in qualche modo invalidata. Allora può essere necessario che i partners avviino un lavoro di rassicurazione di se stessi facendo un’opera di decontaminazione. E da cosa occorre decontaminarsi? Da molte cose: da esiti di proiezioni, da convinzioni irrazionali, da credenze su se stessi, sul partner, sulla relazione. Convinzioni diventate obsolete. Ma soprattutto occorre decontaminarsi dalle auto-imposizioni e dalle auto-limitazioni che ci siamo costruiti nel tempo e che tolgono libertà e potere alla nostra vita.

“Ho capito che chiedevo al mio partner di essere amata a prescindere dai comandi ricevuti da bambina, quando potevo sentirmi amata solo se ero in un certo modo: perfetta in tutto ciò che facevo, rapida nei compiti che sbrigavo e sempre disponibile e sorridente. Avevo bisogno di sentirmi amata anche se sbagliavo qualcosa, ero più lenta certe volte e mi sentivo giù di morale. Ma ho compreso che ero io per prima a potermi concedere il permesso di andare bene con le mie imperfezioni, le mie lentezze e le mie malinconie”, mi dice Stefania.

Così in questo percorso Stefania  ha avviato un percorso di crescita e di liberazione, decidendo di non restare più imbrigliata in uno stato di allerta diffuso e generale che le pregiudicava il presente di continuo. Era come fare l’esperienza ogni volta di una specie di “scatto all’indietro” nel tempo che la faceva ritrovare psicologicamente lanciata all’interno di una qualche situazione antecedente, come per effetto di uno speciale “elastico”.

Di “elastico” infatti si parla quando dal qui e ora si ritorna all’improvviso al “là e allora”. Erskine, analista transazionale, teorizza questo elemento che ha il potere di riportarti direttamente, come un flash back, ad una certa emozione precedentemente provata, facendotela vivere con la stessa intensità del passato. Bisogna vigilare su questo perché i nostri scatti all’indietro pregiudichino sempre meno il nostro qui e ora è la premessa fondamentale per crescere come individui e come coppia e produce un’esperienza di grande autenticità.

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