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Persona ed ecologia integrale

Questo testo avvia una serie di quattro riflessioni sul tema dell’unità, declinate secondo altrettante prospettive. La prima di queste focalizza l’attenzione sulla persona e il suo legame con l’ambiente, alla luce delle sfide del nostro tempo

Il tema dell’unità ha affascinato da sempre il mondo filosofico e la teologia cristiana, in una visione ricca di riflessioni aperte sui misteri del cosmo, di Dio e dell’uomo stesso. L’idea di unità richiama immediatamente il concetto di relazione: da quando l’umanità ha iniziato a porsi la domanda sul “perché” e sull’ “origine” delle cose, si è cercato di capire in che rapporto le cose stessero fra di loro, in una visione globale comprendente le persone, le cose, le varie componenti della natura.

Il fatto che tutto sia in relazione con tutto non è solo un dato metafisico; anche la ricerca scientifica del primo ‘900, attraverso lo studio delle particelle elementari e lo sviluppo della fisica quantistica, ha rivelato che la materia è intrinsecamente frutto di interazioni: ogni cosa, per poter esistere, deve interagire con qualcos’altro.

Al di là di ciò che caratterizza l’essenza del cosmo c’è lo scenario, attualissimo, di un mondo in cui il progresso tecnologico – divenuto dirompente nell’era digitale – ha permesso che tutto possa essere connesso in rete: i dati del 2020 (Datareportal, Digital 2020: global digital overview) dicono che 3,8 miliardi di persone – poco meno della metà di tutti gli individui del pianeta – sono collegati attraverso i social media, e decine di miliardi di dispositivi scambiano dati attraverso Internet, confermando la pervasività della comunicazione digitale e i suoi costanti ritmi di crescita.

Parallelamente, gli sviluppi di cibernetica, neuroscienze, intelligenza artificiale, permettono di trovare soluzioni in grado di farci superare i limiti imposti dalla nostra condizione umana e saranno sempre più in grado di farlo.

Al di là di questi dati di fatto, la nostra esistenza concreta sembra rimanere caratterizzata da qualche fragilità di fondo: non basta essere connessi per essere uniti, come non basta avere accesso a tutto il sapere del mondo per avere la sapienza. La spinta interiore a seguire la via della conoscenza e a mettere a frutto le nostre capacità intellettuali – cosa che caratterizza propriamente gli esseri umani e che ha permesso la nostra sopravvivenza in natura – richiede un’abilità altrettanto forte nel gestire l’immenso potere che abbiamo nelle nostre mani.

La questione della gestione del potere indotto dallo sviluppo tecnico è stata al centro di gran parte delle riflessioni filosofiche del ‘900, rivelando il legame profondo che lega le dimensioni dell’essere e dell’agire. Questa riflessione ci ha portato a comprendere che il processo di scoperte e innovazioni innescatosi con la modernità non è rimasto senza conseguenze: ci si è accorti che le azioni che compiamo esteriormente ci caratterizzano anche interiormente, e i dispositivi e i processi che sviluppiamo hanno spesso il potere di retroagire sul nostro animo in profondità.

Con l’aumento della complessità dei sistemi è aumentata di pari passo la dipendenza della nostra vita da essi e nel corso del tempo si è modificato il nostro modo di agire, percepire il mondo e anche pensare, facendo emergere, accanto ad evidenti guadagni, anche un generale impoverimento e disorientamento valoriale, mettendo a rischio quella relazione biunivoca che lega l’uomo al proprio ambiente vitale e al mondo.

Le immense capacità di cui disponiamo, se usate bene, possono portare il genere umano verso una nuova fioritura, ma se usate male, rischiano di condurlo inevitabilmente al suo annichilimento. L’esito di una tale dicotomia rimane incerto ed è legato alla capacità di scoprire quel potenziale che, dall’interno dell’uomo, può a sua volta retroagire su ciò che è esterno, innescando una circolarità virtuosa.

Da qui la necessità di pensare ad una educazione orientata alla formazione della persona nella sua interezza, in una dinamica conoscitiva che sappia coniugare cuore e mente, affettività e razionalità, vita e pensiero, capace di riconoscere e abitare quel Mistero (con la M maiuscola) che la persona trova sempre in sé e davanti a sé e che la razionalità, da sola, non può analizzare. In questa ottica occorre creare le possibilità per una formazione in cui scienza, filosofia e teologia possano dialogare in modo fecondo e trovare un denominatore comune in una umanità in grado di guardare al mondo con sapienza.

In un tempo come quello attuale, caratterizzato dalla pervasività delle tecno-scienze sullo sfondo del rischio di una crisi ecologica globale, non stupisce che una enciclica come la Laudato Si’ (2015) – dedicata alla cura di quella “casa comune” che è il nostro pianeta, o la recente iniziativa di papa Francesco per un patto globale sull’educazione (ottobre 2020), appaiano come una “stella polare” nel buio disorientamento generale. L’esplicito richiamo ad una rinnovata visione dell’uomo e del mondo risuona come la necessaria presa di coscienza da attuare in un’epoca in cui si crede che ciò che è tecnicamente possibile sia anche eticamente giustificabile e dove scarseggia l’attitudine ad una visione di insieme che sappia guardare oltre le diversità, valorizzandole verso una presa di coscienza collettiva.

Tutto ciò, oggi, ci sollecita ad una profonda riflessione sui temi di una antropologia ed ecologia che possano dirsi “integrali”, cioè capaci di coniugare tutte le dimensioni dell’umano con le sue declinazioni in ambito economico, sociale, politico, ambientale. La prospettiva “unificante” di questa riflessione potrebbe dare un contributo fondamentale nel formare le prossime generazioni ad una capacità di visione, di sé e del mondo, all’altezza delle sfide globali.

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