Clima fuori controllo?

L’appello di Greenaccord ai politici attesi al meeting di Parigi. Il ruolo ancora enorme del carbone nella produzione energetica. L’impatto crescente dell’India. Il costo relativamente basso di politiche energetiche efficaci
Clima e produzione energetica

Il tempo sta per scadere e le prove sono su base scientifica: è un richiamo netto e comune quello che permea le relazioni degli esperti intervenuti ai lavori del XII Forum Internazionale Greenaccord dell'Informazione per la Salvaguardia della Natura al Teatro Vespasiano di Rieti.

 

Tra i timori che il riscaldamento globale produca effetti irreversibili e la consapevolezza che, con un'adeguata volontà politica, la tendenza può essere ancora invertita, una preziosa istantanea della situazione è stata offerta da Jean-Pascal van Ypersele, climatologo belga ed ex vice Presidente dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, che ha illustrato i dati del V Rapporto Valutativo 2013-2014: «I numeri − osserva − evidenziano come il destino del pianeta Terra sia totalmente nelle mani dell’uomo e delle sue scelte. L’influenza umana sui fattori climatici è pari al 95%». Da qui, un appello a tutti gli attori politici internazionali che si riuniranno a Parigi per cogliere la necessità storica di un accordo sul clima, ormai non più differibile.

 

«Questi cambiamenti climatici sono una realtà a cui occorre rispondere con una politica globale di mitigazione e adattamento», aggiunge Van Ypersele, sottolineando come oltre all’innalzamento nelle temperature a destare preoccupazione è il livello e l'intensità delle precipitazioni, lo scioglimento dei ghiacciai e l’innalzamento di oltre 30 metri del livello del mare registrato negli ultimi 100 anni.

 

Lo scenario delineato dall’organismo Onu è quindi potenzialmente devastante: «entro fine secolo arriveremo ad un aumento della temperatura media globale tra i 4 e 6 gradi centigradi». Questi cambiamenti, declinati in termini di abitabilità del pianeta, «non sono ancora compresi dagli stessi addetti ai lavoro»: secondo le proiezioni dell’IPCC l’innalzamento del livello del mare sarà compreso in una forbice tra i 30cm e il metro.

 

Quel che più desta allarme è che gli effetti dell’innalzamento saranno pagati a caro prezzo sulla pelle dei Paesi più poveri, assai vulnerabili in tema di impatto e di adattamento ai cambiamenti climatici. Come ridurre quindi le emissioni? «Servono tecnologie più pulite per la produzione e il consumo di energia, per contenere al di sotto dei 2 gradi l’innalzamento delle temperature globali, con un intervento di riduzione delle emissioni di CO2 tra il 40% e il 70% entro il 2050». Interventi importanti ma economicamente sostenibili: «In termini economici avrebbero un costo pari allo 0,06% del Pil mondiale» ha concluso il climatologo belga.

 

Più scettico tuttavia, sui possibili accordi politici ottenibili a Parigi è Jairam Ramesh, parlamentare ed ex ministro dell’Ambiente in India, paese da quasi un miliardo di abitanti, il quale ha rivendicato gli impegni presi in questi anni dal proprio paese in tema di riduzione delle emissioni, soprattutto sul fronte energetico con l’aumento del solare, dell’eolico e del nucleare. L’ex ministro ha evidenziato come l’India rappresenti oggi «soltanto il 6% delle emissioni di gas serra» svolgendo rispetto a Cina, America ed Europa il ruolo di «piccolo attore che non ha storicamente contribuito al problema del surriscaldamento terrestre».

 

Tuttavia il boom economico indiano porterà Nuova Delhi a raggiungere entro il 2030 i livelli di emissioni degli Stati Uniti e, se da una parte non pare pensabile quindi che l’India non prenda impegni sulle questioni ambientali, dall’altra, sul fronte dell’utilizzo di energie rinnovabili, «l’India – ha sottolineato il parlamentare indiano – attraverso forti investimenti sul solare e sull’eolico passerà dall’attuale 6% al 20% entro 2030».

 

Investimenti saranno fatti anche sull’utilizzo dell’energia nucleare che coprirà entro il 2030 il 6-7% del fabbisogno nazionale. Tutto questo – ha concluso Ramesh – significa che «c’è un ruolo ancora enorme per il carbone e questo mi preoccupa, ma l’India, come la Cina o la Polonia, non si può permettere di abbandonare il suo utilizzo che oggi rappresenta il 65% di fonte di energia, ma entro il 2030 si ridurrà al 50%».

 

Posizioni, quelle di uno dei più importanti paesi emergenti, difficilmente conciliabili con un bisogno di purificazione di cui necessita il pianeta. Eppure, «il mix di politiche energetiche, economiche, fiscali, agricole e finanziarie necessarie per adattarsi ai cambiamenti climatici e per mantenere sotto i 2 °C l'aumento globale di temperatura, potrebbe incidere per meno dello 0,06% del Pil mondiale», calcola lo stesso Jean-Pascal van Ypersele. «E tale dato – sottolinea il climatologo belga – non tiene conto dei benefici economici legati alla tutela degli ecosistemi e delle risorse naturali».

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