Cittadino dell’universo

La nascita del Partito popolare Italiano segna l’ingresso dei cattolici nella politica italiana dopo il non expedit di Pio IX. Igino Giordani partecipa a questa iniziativa. Il racconto nelle pagine di Igino Giordani, storia dell’uomo che divenne Foco di Tommaso Sorgi (Città Nuova, 2014)
Igino Giordani

Nel 1919 si verificarono tre avvenimenti determinanti per la storia d’Italia. Nel gennaio nasceva il Partito Popolare Italiano. Nel marzo Mussolini fondava dei fasci di combattimento, che due anni dopo si trasformavano nel Partito Nazionale Fascista. Nel maggio a Torino alcuni estremisti del Partito Socialista – Gramsci, Togliatti e qualche altro – davano vita alla rivista «Ordine Nuovo», iniziando quel movimento scissionista dal quale nel gennaio 1921 nasceva il Partito Comunista Italiano.

Fra i tre avvenimenti, quello “popolare” viene considerato da Federico Chabod come il «più notevole della storia italiana del XX secolo, specialmente in rapporto al secolo precedente», in quanto costituiva «il ritorno ufficiale, massiccio, dei cattolici nella vita politica italiana».

La partecipazione, infatti, di neo-guelfi e cattolici liberali al processo risorgimentale durante la prima meta dell’800 era entrata in crisi proprio con la proclamazione del Regno d’Italia: essi con la formula «né eletti né elettori»e col non expedit proclamato dai vertici ecclesiali rifiutavano ogni collaborazione col nuovo Stato liberale, compensando l’assenza politica con intense attività economico-sociali e culturali, che confluivano dal 1876 nell’Opera dei congressi. Tuttavia, al di sotto della ufficialità astensionista non erano mancati tentativi di partecipazione, i quali, a cominciare dall’ultimo decennio del secolo, prendevano sempre più consistenza con esperimenti diversi – Albertario, Meda, Toniolo, Murri – di esplicito ritorno al politico sotto il nome di “democrazia cristiana”. Tali iniziative, però, per vari motivi, tra i quali l’intervento di Leone XIII nel 1901 e il traumatico caso Murri, non avevano raggiunto lo scopo.

L’azione di Sturzo, invece, riuscì, sia per gli ammorbidimenti in corso con Pio X sia per la sua capacità di dare un tocco intelligente ed equilibrato alla opportunità dei tempi. Egli aveva ottenuto che nella considerazione delle massime autorità vaticane apparisse senza più rischi per la Chiesa e pienamente legittimo per i cattolici il loro diretto agire in politica, considerato però in una diversa prospettiva: cioè nella distinzione il più possibile netta tra azione cattolica e azione propriamente politica, distinzione i cui termini erano già a un buon punto di chiarimento.

Per comprendere però l’evento sturziano in tutta la ricchezza delle sue dimensioni, occorre inserirlo nel più vasto quadro del movimento sociale cristiano internazionale, posto davanti a due problemi fondamentali della società contemporanea. L’uno era la ricerca del giusto atteggiarsi nei confronti del liberalismo e dello Stato moderno in seno alla nuova epoca apertasi con la Rivoluzione francese. L’altro era la risposta di pensiero e di concreta azione da offrire alla “questione sociale” in stretto contatto con i ceti popolari, secondo modalità e tempi diversi nelle varie nazioni, man mano ch’esse venivano toccate dalle trasformazioni indotte nell’assetto sociale dall’industrializzazione.

I due problemi portarono ad una diversità di posizioni nel campo cattolico, diversità che, per quanto riguarda l’Italia, fu espressa con la distinzione alquanto schematizzante fra “transigenti” (aperti, liberali) e “intransigenti” (conservatori in politica, ma socialmente più sensibili).

È una distinzione però che qualche storico, come Fonzi, tende a relativizzare: essa contiene infatti il rischio di trascurare la varietà e l’incrocio di atteggiamenti nei due schieramenti, ammesso che così possano chiamarsi, e di ignorare quale elemento vivo i cattolici fossero nella realtà sociale italiana e quali contributi essi apportassero già prima dell’apparire del Partito Popolare Italiano anche sul piano propriamente politico.

Ad ogni modo questi problemi, ch’erano del mondo cattolico e, più in genere, di tutta l’area cristiana, in Italia assumevano un profilo del tutto speciale per la presenza in Roma del centro della cattolicità: il Vaticano.

Oltre che fulcro spirituale mondiale, esso era anche uno Stato politico particolare, che doveva fare i conti con la storia  dell’unificazione italiana.

Ciò valeva prima della breccia di Porta Pia, e continuo anche dopo – perciò il non expedit – rendendo diffidente e problematico il rapporto dei cattolici con lo Stato; e questo, da parte sua non lesinava atteggiamenti anticattolici, anche per la nutrita presenza di elementi della massoneria nelle cariche pubbliche. Finché non giunse la soluzione di Sturzo.

Pensando a questa, Giordani – che è da considerare anche tra gli storici del Partito Popolare Italiano e del movimento cattolico – poteva scrivere nel 1924: «il popolarismo ha il merito di rappresentare un evento storico, che non si distruggerà, per aver risolto un dissidio cinquantenne». Ma nello stesso tempo aveva presenti gli altri elementi sopra accennati, riguardanti sia i precedenti anni della storia d’Italia, sia il movimento cattolico internazionale. Si impegnava in ricerche storiche non per astratti interessi di studioso, ma per dare consistenza culturale alla battaglia in difesa della libertà: fu così ch’egli dedicò i suoi studi ai cattolici liberali come Montalemberte Manzoni, ai cattolici democratici come p. Ventura e Ozanam – che Sturzo pone alle origini del concetto di democrazia cristiana – ai neo-guelfi, da Santorre di Santarosa a Gioberti, e, con particolare attenzione, a Tommaseo. Ma ancora prima, fin dal 1923, aveva mostrato profondo interesse alla esperienza dei cristiano-sociali tedeschi, iniziatasi nel 1870 – col Zentrumspartei, in quegli anni ancora molto attivo.

Nello stesso tempo dimostrava di aver prontamente assorbito la dimensione internazionale così forte in Sturzo, e del resto essenziale ad ogni movimento cattolico: già in un articolo del 1921, in alternativa all’individualismo liberale e al collettivismo rosso proponeva una «internazionale cristiana», quale vera soluzione del problema della pace. Nel 1924 pubblicava il suo primo libro, già citato, dedicato alla politica estera del Partito Popolare Italiano; vi riservava speciale attenzione ai partiti ad ispirazione cristiana operanti in varie nazioni europee e sud-americane ed al progetto di una «internazionale popolare»; ed auspicava il formarsi degli «Stati Uniti d’Europa», come «prima fase» per giungere alla «solidarietà internazionale di tutti i popoli».

Era il segno di una visione grandiosa, tra sogno e spinta profetica di realtà a cui tendere, che nasceva nell’anima di un Giordani ormai trentenne, aperto nel confessare: «io mi sento cittadino dell’universo».

Da Igino Giordani, storia dell'uomo che divenne Foco, di Tommaso Sorgi (Città Nuova, 2014)

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