Città nuova, un progetto chiamato fraternità

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Non prendete impegni e appuntatelo sull’agenda. Il luogo è ancora da definire, ma l’anno è certo, il 2056. Così festeggeremo insieme i primi 100 anni della nostra rivista. Una siffatta raccomandazione, suscitando l’ilarità generale, ha posto il sigillo definitivo sul convegno nazionale organizzato dalla redazione di Città nuova in occasione del cinquantesimo dalla nascita. Un pubblico qualificato e proveniente da varie parti d’Italia ha riempito l’elegante e rinnovata Sala Umberto, posta nel centro storico della capitale. Una scelta non casuale, quella dell’ubicazione del teatro, situato tra la turistica e modaiola Piazza di Spagna e gli istituzionali e politici Palazzo Chigi e Montecitorio. Un appuntamento di Città nuova non poteva che essere fissato lì dove pulsa il cuore della città. Cinquant’anni di vita sono un traguardo di tutto rispetto per qualsiasi iniziativa. Per un’avventura editoriale, ancora di più. Ce lo hanno ricordato con accenti di stima due voci che non hanno voluto mancare al convegno, il sindaco di Roma,Walter Veltroni, e il direttore dell’Ufficio delle comunicazioni sociali della Conferenza episcopale italiana, mons. Claudio Giuliodori. E la rivista nacque, come ben sanno i lettori, con ineguagliabili entusiasmo e convinzione del mao nipolo di pionieri, ma senza manager a dirigerla e conti in banca a sostenerla. Nonostante ciò è cresciuta, senza clamore, diffusa dai lettori stessi, consapevoli che si trattava di una rivista alternativa nel panorama informativo. Molti degli illustri intervenuti, in quel pomeriggio di lunedì 13 novembre, hanno parlato di celebrazioni. La redazione aveva intenti diversi e più modesti: ripercorrere la storia della rivista e dell’editrice per compiere quell’esercizio che più apprezza, quello della riflessione. E ha cercato di farlo con lo stile di sempre, improntato alla sobrietà. Niente di festaiolo, senza tartine colorate e calici con lo spumante. E c’era un motivo. Anzi, un pensiero, quello che correva, con trepidazione e infinita riconoscenza, all’artefice di tutto, Chiara Lubich, ricoverata in quelle ore al Gemelli. Che cosa ha da dire Città nuova alle persone di oggi? È un progetto – come recitava il tema dell’incontro -che vuole esprimere la fraternità universale. Proposta quanto mai attuale in questo burrascoso inizio di millennio, in cui si pronosticano scontri di civiltà, mentre dilaga il terrorismo radicale e continuano le guerre guerreggiate. Due tavole rotonde, pur nell’agilità della formula, hanno posto in evidenza sia i fondamenti della cultura dell’unità che sta emergendo dal carisma della fondatrice dei Focolari, sia il ruolo del dialogo – tema caratterizzante la rivista – come metodo della conoscenza reciproca, luogo di ricomposizione delle tensioni, arte per valorizzare le diversità. Un terzo confronto, infine, ha avuto lo scopo di compiere un’analisi della nostra rivista ad opera di professionisti e studiosi della comunicazione. Il rischio evidente, indotti dal contesto un po’ solenne, era che perdessero smalto critico e grinta, invece le valutazioni espresse sono state argomentate e documentate. Di questo anno dedicato al cinquantesimo, anche grazie ai convegni che da marzo si sono tenuti in varie città d’Italia, come riportiamo a fianco, resta un’accresciuta consapevolezza delle responsabilità che ci competono come strumento di comunicazione nel panorama editoriale italiano a servizio di una Speranza attesa dalla comunità civile ed ecclesiale. Il futuro della rivista resta in continuità con questi primi 50 anni ed in fedeltà alle sue origini. Perché in un’opera carismatica quello che succede all’inizio costituisce il seme ricco di profezia che contiene tutto il progetto del domani. E alle radici siamo voluti tornare nel corso dell’anno, rivisitando i testi di Chiara scritti sulla rivista, e facendo, la redazione, un viaggio alle origini, andando, come un drappello di inviati, a conoscere, lì a Tonadico, sotto le Dolomiti, i luoghi che videro, in quel 14 luglio di mezzo secolo fa, l’uscita del primo numero da un cigolante ciclostile ad alcol. Adesso, il futuro ci attende. Se non dovessimo vederci prima, l’appuntamento resta per il 2056. Imprevedibile Giro d’Italia Quello ciclistico, si conclude ogni volta a Milano. Quello compiuto da Città nuova nel 2006 è terminato a Roma, sede della redazione della rivista. Nel corso dell’anno si sono tenuti 15 convegni promossi in altrettante città da parte delle comunità locali del Movimento dei focolari, da Cuneo a Gaeta, passando dall’Aula Magna della Statale di Milano al Teatro Dante di Palermo. L’intento era far conoscere ad un ampio pubblico la visione della vita e del mondo che scaturisce dal carisma dell’unità, interrogandosi sui grandi temi d’attualità. Giornalisti di Città nuova ed esperti di varie discipline hanno dialogato davanti a pubblici molto partecipi, composti da docenti universitari, imprenditori, artisti, politici e amministratori locali, vescovi cattolici e rappresentanti di altre fedi, giovani. E poi, tanta gente comune, in gran parte del movimento, che si spende per un’Italia coesa e solidale. Ad inizio 2006, con il primo numero, è stata adottata una nuova veste grafica (con grande consenso dei lettori), proprio per inviare l’inequivocabile segnale che incominciava un anno speciale. E speciale, l’anno, è stato davvero. Non immaginavamo in redazione che sarebbe stato tanto ricco. Ricco di persone conosciute, di realizzazioni, di risultati, di consensi, di apporti, di nuove opportunità per crescere e diffondere tra un pubblico sempre più vasto il messaggio che è la nostra ragion d’essere. GIUSEPPE GARAGNANI Direttore di Città nuova Il seme e la pianta 50 anni di storia: l’ispirazione iniziale di Chiara Lubich, i prodromi, i protagonisti, le sfide. La nostra rivista può essere definita anche come un progetto chiamato fraternità. Io mi imbattei in quel progetto nell’estate del ’59: aderendo all’invito di un amico a trascorrere una breve vacanza sulle Dolomiti, feci sosta a Fiera di Primiero, giusto durante un convegno del Movimento dei focolari che vi si svolgeva. Ignaro di tutto, non mi impressionarono tanto i pochi discorsi che mi capitò di ascoltare, quanto la testimonianza che quella gente dava semplicemente con il proprio atteggiamento di accoglienza, di fraternità vera. Tornai nella mia città con la certezza di avere incontrato la Chiesa viva e con il desiderio di conoscerla meglio. Ma intorno a me non trovavo risposte.Mi soccorse però un giornale di poche pagine che mi raggiunse a casa. Qualcuno evidentemente aveva annotato il mio indirizzo e mi aveva inviato quel foglio: era Città nuova. Lo trovai in sintonia piena con ciò che avevo sperimentato di persona e, afferrato il bandolo di quel lungo filo che mi ero ritrovato fra le mani, non lo mollai più. Giusto tre anni prima – era il 14 luglio del ’56 -, nell’editoriale del primo numero tirato al ciclostile Chiara Lubich scriveva: Esce così Città nuova, giornale periodico riservato a coloro che sanno apprezzare anche le notizie più piccole, perché ormai vivono nel mondo dove l’obolo della vedova vale più delle montagne spostate senza carità. Ci auguriamo che questo giornale riesca ad adempiere alla sua funzione di tutti collegare in questa città; e chissà che non sia il seme di quel giornale che dovrà collegarci quando torneremo nei nostri Paesi!. Quel seme, come sappiamo, generò una pianta che crebbe in fretta. Chiara aveva dettato la linea editoriale della rivista. E da allora non sarebbe mancato mai il suo contributo sulle pagine di Città nuova. Scritti spirituali, soprattutto, ma anche interventi puntuali sulle vicende cruciali che via via l’umanità stava vivendo. E oggi, nel 50° della rivista: Come non ricordare la gioia di chi riceveva quel foglio? – si domanda Chiara stessa nell’editoriale del primo numero di quest’anno -. Come non ricordare i suoi pionieri?. Anche noi li abbiamo ben stampati nella mente e nel cuore. Igino Giordani, scrittore di fama internazionale e giornalista, fu dal ’59 fino alla sua morte il nostro prestigioso direttore. Don Pasquale Foresi, animatore del periodico al suo inizio e per anni al centro dello sviluppo del settore stampa del Movimento dei focolari, tuttora collabora con i suoi articoli. E poi Spartaco Lucarini, che spalancò sui grandi orizzonti le pagine della rivista nei 19 anni in cui ne fu il direttore responsabile. Gino Lubich è stato una delle firme più lette per la sua competenza e per la sua grande umanità. Gli interventi scientifici di Piero Pasolini continuano a contribuire al dialogo fra scienza e fede. Guglielmo Boselli, il nostro ultimo direttore, dedicò la vita intera alla rivista e ne fu la grande anima fino alla sua morte appena cinque anni fa. Quella che abbiamo ricevuta è davvero un’eredità stupenda e gravosa a un tempo, in un periodo di grandi lacerazioni e contraddizioni come ci appare questo nostro. Eppure vogliamo raccoglierla, questa eredità e questa sfida, per guardare avanti. La rivista ha acquisito nel corso dei decenni una sua dignità, sottolineata dal fatto che essa viene pubblicata in 37 edizioni e 22 lingue nei cinque continenti. In seguito all’espansione del movimento nel mondo, sono sorte edizioni autonome di Città nuova, con una redazione propria, ognuna collegata alle altre testate sorelle. Di qui, anche le immaginabili sinergie per il nostro lavoro. Ma soprattutto, ciascuna di queste edizioni, pur nelle lingue diverse e con forme appropriate alla cultura e alla mentalità del luogo, porta lo stesso messaggio di fraternità. GIOVANBATTISTA DADDA Direttore generale del gruppo editoriale Città Nuova L’avventura dell’editrice Nel 1959, tre anni dopo la rivista, inizia la sua attività anche l’editrice omonima. Oltre 3.500 titoli, di cui più di mille presenti in catalogo, ordinati in trenta collane. Nel 2009, anche per il settore libri, si celebrerà il 50° di vita con la sua ricca e diversificata produzione. L’atto di nascita è rappresentato dal volume Meditazioni di Chiara Lubich, apparso nell’agosto del 1959. Affascinò subito migliaia di lettori per la freschezza e l’incisività dei suoi pensieri, la radicalità evangelica ed il nitore mariano delle sue pagine. In Italia ha raggiunto le 25 riedizioni. È stato tradotto in 17 lingue, oltre 1 milione le copie diffuse. Con questo titolo inizieranno la loro attività anche tutte le editrici estere consorelle. Il proposito di vivere il Vangelo ha reso necessari strumenti per un adeguato approfondimento esegetico- spirituale dei testi biblici. Da qui una collana di commenti spirituali del Nuovo Testamento e la produzione patristica. Nel 1965, si avviò l’Opera Omnia di sant’Agostino, iniziativa tra le più grandi nell’editoria del Novecento: 60 volumi per quasi 45 mila pagine. Seguirono le opere di Ambrogio, Gregorio Magno, Origene, Bernardo, Bonaventura, Pier Damiani, Rosmini e Edith Stein. C’è stata particolare attenzione per dare un contributo al dialogo ecumenico ed al dialogo con le grandi religioni, e si è sviluppato l’interesse per quanto avveniva nella società e nell’evoluzione culturale dell’epoca. La produzione storica si è occupata della realtà medievale con un Dizionario Enciclopedico, mentre una collana rivisita, tra l’altro, aspetti noti e meno noti del Risorgimento italiano. WALTER VELTRONI Sindaco di Roma Un luogo di dialogo Città nuova, testimonia esperienza, convivenza, coesistenza, rispetto, amore e curiosità per gli altri. Ha un significato tutto particolare essere oggi qui, perché Città nuova è stata una delle grandi invenzioni di un movimento, quello dei Focolari, che ha tanti valori, idee e sentimenti originali, ma che sarebbe errato dire controcorrente. Sarebbe errato perché una grandissima energia attraversa questo Paese, un’energia di solidarietà, di buoni valori, di spirito di relazione con gli altri, un’energia che contrasta l’insorgenza di fenomeni opposti. Lo misuro nei viaggi che faccio, come nell’ultimo ad Auschwitz, con ragazzi delle scuole romane: ebrei, musulmani, rom, tedeschi. Avverto in loro la domanda del senso dell’esistenza. Tutti sanno che c’è un’altra vita, quella che merita di avere un senso; senso che i ragazzi cercano con maggiore solitudine del passato. Ma appena si accende una luce, questi ragazzi la fanno diventare una specie di tripudio di colori, perché hanno una gran voglia di fare il bene. Città nuova, espressione del Movimento dei focolari, è una delle testimonianze più forti del tessuto di esperienze, dell’idea di dialogo, della convivenza, della coesistenza, del rispetto, persino dell’amore e della curiosità per gli altri. Una voce che ha cercato di dire parole che in qualche momento, anche recentemente, sono apparse strane, come ad esempio subito dopo l’invasione d’Ungheria del ’56, quando emerse la coerenza di un atteggiamento: i valori della libertà e della democrazia, che a loro volta hanno in sé i valori del rispetto, della coscienza, della cultura degli altri. Il mio saluto oggi non è solo quello di un sindaco che in questi anni ha avuto numerose occasioni bellissime di incontro e di arricchimento con voi. Non è solo un atto di gratitudine e di sostegno a Chiara in questa nuova stagione della sua vita, ma è anche il riconoscimento proprio a Città nuova, al suo valore, alla sua funzione, all’essere luogo di dialogo. Viviamo in un tempo in cui lo sport principale è elevare barriere di divisione. Città nuova è un ponte nella città considerata come luogo di comunità, di convivenza, di coesistenza, come luogo in cui esseri umani diversi per provenienze sociali, culturali e religiose convivono quotidianamente. Città nuova, l’idea del ponte e non della barriera, dell’unità e della fratellanza contro l’idea della guerra e della separazione. VERA ARAÚJO Sociologa, Centro Studi Focolari Una cultura per l’unità Una vita di comunione non riguarda solo la dimensione spirituale, ma abbraccia anche il pensare. Ci sentiamo sollecitati a coniugare cultura e unità. E per farlo è necessario approfondire i due termini. In epoca di globalizzazione e, paradossalmente, di frammentazione, sentiamo, non dico la nostalgia, ma il richiamo di una cultura che non sia solo nozionistica, che non implichi solo il raziocinio e l’intelligenza. La cultura deve essere totale, nel senso di investire tutto l’uomo, con tutte le sue capacità ed espressioni. E soprattutto deve essere vitale. Dunque, una cultura profondamente legata alla vita, fatta per la vita e, allo stesso tempo, una cultura che impara dalla vita. Questo vuol dire contatto con la realtà, con la materia, con il cosmo. La cultura, oltre che vitale – oggi in modo particolare – non può essere che dialogica. L’uomo – non bisogna mai dimenticare – è un essere sociale. Porta nella sua individualità un principio relazionale che lo fa essere e agire sempre in rapporto con altri. Così anche la conoscenza va raggiunta a corpo. Non solo in équipe, ma a corpo, vale a dire in unità. La conoscenza ha come oggetto formale la verità. Cercare la verità in unità significa essere sempre in un atteggiamento di apertura e lasciarsi completare dalla verità altrui. Questa operazione richiede una dinamica che è presente in tutto l’universo e in tutti i rapporti: perdere per trovare, non essere per essere, annullarsi per arricchirsi. E qui veniamo al secondo elemento del nostro binomio: l’unità. L’unità ha due accezioni: una dottrinale e una esistenziale. Ci pare di capire che l’unità può essere intesa come una categoria di pensiero, meglio, come un nuovo paradigma scientifico che emerge oggi come richiesta da un sapere frammentato. Indagare, analizzare, interpretare, spiegare, riflettere sulla realtà alla luce dell’unità, è una prospettiva nuova. Pensare ad un paradigma nuovo dinanzi alla nostra società in epocale evoluzione è una richiesta che si leva dal mondo della cultura in generale e dalle singole discipline e non solo quelle umanistiche. Ci sono anche delle proposte, tutte da approfondire e verificare. Intendere perciò l’unità come un nuovo paradigma non è né azzardato né fuori della realtà, anzi, è in piena armonia con gli interessi e le preoccupazioni attuali. E questa convinzione è condivisa da tanti. Nella sua accezione esistenziale, fare unità fra due o più, vivere in unità, è frutto del realizzarsi fra i più di una atmosfera di calore reciproco, di empatia profonda. Per il credente è l’esperienza delle parole di Gesù: Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (Mt 18,20). L’unità che nasce si arricchisce di valori quali la fiducia, l’ascolto, l’amicizia, che portano la relazione ad essere creativa e innovatrice. Vivere in unità nel fare cultura ci apre ad una avventura affascinante che ci immette in un percorso pieno di novità. Un lavoro culturale in unità esige una violenza iniziale che si potrebbe indicare con l’espressione: Patto di unità. Si tratta s’impe- gnarci ad essere gli uni di fronte agli altri in una posizione di totale apertura, di totale ascolto, per poter ricevere e anche donare il proprio pensiero che viene comunicato. Senza pregiudizi, senza risposte già preconfezionate, senza reticenze. Come è possibile ciò? Appunto con un atto di volontà profondo, diretto a tagliare le proprie radici in quell’attimo presente, per poter – vuoti di sé – accogliere il pensiero dell’altro. Credo che la cultura che nasce dall’unità possa portare quel novum che andiamo cercando e che dovrebbe avere almeno due caratteristiche. Anzitutto che sia una cultura che dialoga con il passato, che cerca l’eredità dei pensatori di tutti i tempi e di tutte le latitudini, focalizzando quelle verità che il singolo da solo difficilmente può trovare. Quelle verità non solo sono importanti, non solo sono anche interessanti, ma sono parte integrante e insostituibile di questo novum che si sta costruendo.Questo potrebbe essere il vero senso dell’erudizione; ricercare nel modo più ampio e profondo possibile la fatica e il percorso del pensiero dell’umanità. Una seconda caratteristica è che la cultura che nasce dall’unità è una cultura per tutti, oserei dire, popolare, nel senso più bello del termine. Certo esisteranno sempre gli specialisti della cultura. Ma i contenuti della cultura dovrebbero essere, per così dire, sciolti, sbriciolati, in modo che essa possa essere comprensibile da tutti, dotti e ignoranti. Le persone semplici che non hanno fatto grandi studi sono spesso capaci di intuizioni profonde, di comprensione dei problemi più complessi. Perché lasciare che siano solo i mezzi di comunicazione di massa a prendersi cura della testa della gente riempiendola a volte di una marea di informazioni o di luoghi comuni banali e superficiali? La vera cultura è una faccenda che riguarda la crescita dell’umanità, non considerata in maniera astratta, ma alle prese con le persone concrete, che vivono nell’oggi della nostra storia e della nostra società. A noi sembra che una strada per arrivarci sia il binomio cultura e unità. TAVOLA ROTONDA Teologia, economia, politica… La spiritualità dell’unità in sessant’anni ha dato vita ad una vera e propria cultura dell’unità. I contributi di Coda, Bruni e Lo Presti. La nostra rivista trae ispirazione e linfa dal carisma dato a Chiara Lubich, e si fa cultura, comunicazione, idee e proposte concrete. Di questo si è parlato nella prima tavola rotonda. L’introduzione della sociologa brasiliana Vera Araújo, del centro studi dei Focolari, che pubblichiamo qui a lato, ha dato il tono, poi contestualizzato da tre docenti che in diversi ambiti hanno fatto loro la proposta della Lubich. Mons. Piero Coda, teologo all’Università lateranense, ha presentato, arricchendoli di ricordi personali, quelle aperture che la proposta dei Focolari ha portato in teologia. Luigino Bruni, docente alla Bicocca, alla Bocconi e alla Cattolica di Milano, è invece andato alle radici della proposta dell’Economia di Comunione, che tanto spazio ha avuto ed ha nella nostra rivista sin dal suo inizio, nel 1991. Infine, Alberto Lo Presti, docente alla San Tommaso e all’università del Molise, ha aperto la finestra sulla proposta politica che trova compimento nel Movimento politico per l’unità. TAVOLA ROTONDA Dialogo, dialoghi Una teologa musulmana (Houshmand), una giornalista ebrea (Palmieri Billig), l’esponente di una comunità ecclesiale (Marazziti) e un regista (Cappuccio): insieme per testimoniare l’incontro. La base del dialogo è non pretendere di possedere la verità totale, ma sapere che abbiamo bisogno dell’apporto di tutti. Ogni diversità è uno specchio dell’immagine di Dio, ha esordito Lisa Palmieri Billig, giornalista del Jerusalem Post. Apertura verso l’altro, rispetto reciproco, atteggiamento di uguaglianza, sono fattori fondamentali. Voi avete capito che il dialogo si crea quando c’è quel calore che chiamate amore e genera fiduciosa apertura. Shahrzad Houshmand, teologa musulmana, docente di Cultura islamica alla Gregoriana, ha messo in luce che la somma formula del Corano è Nel nome di Dio pienezza d’amore e misericordia e che questo è il vero Dio del Corano e dell’Islam. Allora, è per lei fonte di sofferenza sentire che il musulmano è colui che crede in un Dio violento , che i musulmani sono identificati con delle minoranze che generano il male, che la gente ha paura di noi e cresce l’ostilità, mentre c’è bisogno di scoprirci fratelli. Le nostre storie sono intrecciate – ha sostenuto Mario Marazziti, della Comunità di Sant’Egidio -. Ricordo la collaborazione con Gino Lubich nel ’77. Poi, nel 1986 ad Assisi, attorno a papa Wojtyla nella preghiera per la pace, noi e voi portammo buddhisti e musulmani. In quegli anni un ebreo e un musulmano non stavano nella stessa stanza, c’era timore, diffidenza. Da allora è nata una controcultura, quella del dialogo. Il tema del dialogo è trattato nei due ultimi film del regista Eugenio Cappuccio, Volevo solo dormirle addosso e Uno su due. Leggo la rivista con piacere, perché sono entrato in rapporto molto felice con le persone che la fanno. Gli strumenti della comunicazione sono oggi aziende con il fine del profitto, molto lontane dal dialogo con la gente. Il grande sistema mediatico crea alienazione, tende continuamente a distrarre, senza alimentare un principio di dialogo che elabori soluzioni diverse dalla belligeranza e dall’esaltazione della violenza. Mons. CLAUDIO GIULIODORI Direttore Ufficio delle comunicazioni sociali della Cei Un’utopia divenuta realtà Una città virtuale, piazza mediatica del confronto e del dialogo, dell’ascolto e della conoscenza, della proposta e della profezia. Con grande gioia porto il saluto cordiale e affettuoso della Conferenza episcopale italiana e mio personale in occasione delle celebrazioni per i 50 anni della rivista Città nuova. Un nome, un programma: un’utopia divenuta realtà, una realtà che ci rimanda all’utopia, come direbbe san Tommaso Moro. Sì, perché questa città, la città a cui rimanda idealmente la rivista, non nasce da un progetto architettonico umano, ma dalla sapiente mano di Dio che ci invita ad abitare la sua città, la città dell’amore. Chi avrebbe immaginato che quel foglio di collegamento, nato a Fiera di Primiero nel 1956 per dare continuità all’esperienza di un campo estivo, sarebbe diventato lo stradario mediatico di una nuova cittadinanza capace di collegare tutti i continenti fino a raggiungere le 37 redazioni in 22 lingue? Questa città virtuale impressa sulla cellulosa, ma non per questo meno reale, abitata da uomini e donne che cercano la vera fraternità, è divenuta la piazza mediatica del confronto e del dialogo, dell’ascolto e della conoscenza, della proposta e della profezia per tantissime persone desiderose di unità e di verità. Celebriamo qui ben più di una rivista: oggi ringraziamo tutti coloro che si sono spesi e hanno reso possibile questa iniziativa editoriale a partire da Chiara Lubich, che ne ha sostenuto l’avvio e ne ha accompagnato la crescita con la forza della sua ispirazione spirituale; oggi riconosciamo la fecondità di un’esperienza umana e cristiana, quella del Movimento dei focolari, di cui la rivista è solo una delle tante espressioni attraverso cui si racconta la vita di comunione e quel progetto di fraternità che abbraccia idealmente tutti gli uomini; oggi auguriamo che la semina abbondante fatta con passione e intelligenza in questi 50 anni possa continuare a produrre frutti per una città sempre più a misura d’uomo. TAVOLA ROTONDA La vediamo così Autorevoli esponenti dei media: Accattoli (Corriere della Sera), Gamaleri (Università Roma Tre), Ingrao (Panorama) e Santarcangelo (direttore generale della San Paolo). Accattoli: tante storie La mia passione è scrivere storie. Nei quattro o cinque volumi che ho pubblicato, c’è sempre qualcosa che ho preso dalle pagine di Città nuova. La ricerca di storie di vita è un segno dell’epoca, non è una esclusività di Città nuova o mia. È la pedagogia della testimonianza. Ma Città nuova ha dello specifico. Innanzitutto va detto che faceva questo prima di tutti gli altri. E poi lo fa giornalisticamente, cosa rara. Il fatto è che le storie di vita nell’ambiente ecclesiale generalmente sono anonime, mentre i nomi sono importanti per me, perché impazzisco quando devo cercare chi ha scritto quella cosa straordinaria sull’Aids o chi narra una conversione adulta… Su Città nuova in 99 casi su 100 i nomi ci sono. In secondo luogo, non vi si trova solo le storie di vita come tali. Accanto ad esse – ce ne sono solo tre nell’ultimo numero -, se ne trovano tante altre nelle Lettere al direttore, nelle inchieste, nelle rubriche… Perché tutto viene trattato cercando la persona; e ciò è importante perché le storie vere e proprie a un certo punto vengono a noia, mentre trattarle sotto la specie della ricerca della storia di vita, questa è arte, questa è arte a livelli molto maturi. In terzo luogo, Città nuova non si limita a raccontare storie interne al movimento o al cattolicesimo o al cristianesimo. Ho fatto un’inchiesta sull’Islam in Italia e ho trovato molte storie in Città nuova, perché a loro interessano anche le storie degli altri. Ma ciò è specifico dei Focolari. Gamaleri: un bacino sicuro Parlando della rilevanza della informazione per le scelte fondamentali dell’uomo, mi sembra che per le scelte private ce la caviamo ancora da soli, mentre per le scelte pubbliche, sociali e politiche, siamo totalmente media-dipendenti. E allora mi chiedo: questa informazione è corretta, sincera e autentica, o è viziata? Ci sono tre tipologie di organi di informazione: i cosiddetti organi di partito, ormai miserandi. Poi abbiamo i grandi organi di informazione che talvolta sono permanentemente orientati in una direzione. Perché? Perché l’Italia va sempre più a ritroso verso guelfi e ghibellini. Infine, ci sono quelle riviste, come Città nuova, che sono organi di movimento. Questo comporta delle difficoltà, perché la vostra rivista non potrà mai diventare il Corriere della Sera o Panorama. Ma comporta anche dei vantaggi notevoli. Anzitutto ha un bacino sicuro, vive perché ha dei lettori che non solo pagano l’abbonamento, ma la leggono. E poi, ecco la seconda caratteristica, Città nuova ha una tipologia di lettori che hanno sì il loro pensiero, ma non sono schierati pregiudizialmente in modo politico. Questa è una grande ossigenazione che la rivista può dare. Infine, una cosa fondamentale sono le radici. Città nuova è stato un luogo privilegiato di incontro di Chiara con Giordani, due grandissime personalità che danno lustro e spessore alla rivista. Ingrao: laicità La foto del velocista Livio Berruti in copertina: così apriva il numero di Città nuova alla vigilia delle Olimpiadi di Roma. Ottimo intuito: pochi giorni dopo Berruti avrebbe vinto la medaglia d’oro e sarebbe entrato nella storia dell’atletica. Curioso però vederlo sulla copertina della rivista di un movimento ecclesiale. Fiuto giornalistico? Furbizia mediatica? Direi piuttosto l’indice di uno stile, di una precisa scelta di campo. È sconveniente e ingeneroso fare confronti, ma non di rado sfogliando riviste di movimenti o associazioni si assiste ad altrettanti monologhi sulla Chiesa e sul mondo. Città nuova ha scelto uno stile diverso, quello del dialogo, che significa capacità di ascolto, ma anche disponibilità a lasciarsi interpellare da chi è diverso, apertura intellettuale, assenza di pregiudizi. In una parola laicità. Nel travaglio attuale, le ragioni dell’identità vengono contrapposte a quelle del dialogo. Città nuova ci fa sperimentare invece non solo che identità e dialogo non sono contrapposte, poiché una coscienza chiara della propria identità è il presupposto necessario ad un autentico dialogo; ma ci aiuta anche a comprendere che solo attraverso il dialogo giungiamo a chiarire fino in fondo le ragioni e le radici della nostra identità. Santarcangelo: il grande albero Quali sono le radici di Città nuova? La prima è certamente quella carismatica: Chiara Lubich e la sua visione, la sua parola, il suo carisma. Credo che per voi la parola fraternità significhi essenzialmente unità, cioè la consapevolezza che non ci si salva da soli, che non c’è possesso esclusivo della verità, che solo camminando insieme si può andare avanti. E questo ovviamente si riflette anche sui contenuti della rivista e dell’editrice. Seconda radice: Città nuova è frutto di un movimento ecclesiale. Ciò significa che opera all’interno della Chiesa, pur non richiudendosi nel recinto ma aprendosi a tutti. E questo dà creatività, porge contenuti che riuscite a snocciolare in modo giornalistico, accattivante al punto da venire saccheggiati… C’è pure una radice fortemente sociale. Ma chi sono i poveri a cui Città nuova si rivolge? Se è vero che il carisma è il focolare dell’unità, i vostri poveri più che quelli che soccorre la Caritas, sono le persone divise in sé stesse, l’uomo che litiga con l’altro uomo… Qui si apre lo spazio del dialogo in cui siete costruttori di ponti. Se queste sono le radici – e ce ne sarebbero altre, perché grazie a Dio avete radici ben ramificate come una grande quercia -, l’albero di Città nuova non solo ha un futuro, ma è obbligato ad averlo, per dare accoglienza, ristoro e nutrimento a chi passa. Sotto il vostro albero non si fa distinzione tra bianco e nero, credente o ateo: tutti vengono accolti e a tutti si dà gratuitamente. VERSO IL FUTURO Il senso del nostro futuro I quattro pilastri di un lavoro cinquantennale. C ittà nuova vuol innanzitutto evidenziare quel lapalissiano principio che dice che la comunicazione è essenziale per la persona e la società. Lapalissiano sì, ma troppo dimenticato. In una società in cui siamo travolti da mezzi che ci mettono in contatto 24 ore su 24 non sappiamo più comunicare. Città nuova vuole essere uno strumento che fa riscoprire la comunicazione, quella vera e autentica, che rispetta la verità e ancor più l’amore, che cerca l’obiettività ma prima ancora la fraternità nelle sue declinazioni: pace, giustizia, serenità, ottimismo, apertura. In secondo luogo, ci sembra che Città nuova voglia presentare una comunicazione che ha come sua regola di azione e di etica primaria quella del rispetto per l’altro, che sia l’intervistato, il lettore, il collega. Ascolto, accettazione della diversità, come dice Kapus´cin´ski, ma anche impegno per amare (sì, questa parola va qui usata). Terzo pilastro della comunicazione di Città nuova: crediamo che i media debbano essere strumenti di crescita della società. E questo può essere fatto se si mette in moto quella dimenticata virtù – religiosa e laica – che è la speranza. In fondo, come dice Theilhard de Chardin, l’avvenire è migliore di qualunque passato, e il meglio finisce sempre per accadere . Non è buonismo, ma senso del futuro, nella convinzione che un amore più grande ci invia tanti segni dei tempi. Concretamente, questo vuol dire presentare il positivo che esiste ovunque. Quarto e ultimo pilastro: importa la persona, non il mezzo. È un impegno etico, certamente, che però nasce dalla convinzione che ogni persona sia unica ed irripetibile. È questo, in fondo, il senso del progetto chiamato fraternità.

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