Cinque operai morti sul lavoro. Lo scandalo da non rimuovere

Dopo la tragedia avvenuta nella notte del 30 agosto sulla linea ferroviaria Milano Torino non si può continuare ad ignorare la piaga degli infortuni sul lavoro in Italia. Un serio confronto su cause strutturali e rimedi condivisi
Morti sul lavoro Torino Foto Alberto Gandolfo/LaPresse

La morte atroce di 5 lavoratori sulla linea ferroviaria interregionale Milano Torino pone in evidenza la strage silenziosa e quotidiana delle vittime del lavoro (3 persone al giorno di media) che continua a non trovare posto tra le prime pagine dei giornali. Anche perché sembra che non esista la volontà di agire concretamente per porvi rimedio, a partire, cioè, dalle cause strutturali che sono all’origine del problema.

Sarà l’inchiesta della magistratura a fare chiarezza sulle cause specifiche dell’incidente che ha portato un treno che viaggiava a 100 km/h a travolgere una squadra di 7 operai, tra i quali 2 sono rimasti illesi, addetti alla manutenzione dei binari nelle ore notturne.

Ma non si può ignorare la progressiva segmentazione dell’organizzazione del lavoro in ogni ambito, anche in quello dei trasporti ferroviari, un tempo di diretta competenza pubblica con tanto di divisa e giuramento pubblico da parte del personale chiamato a svolgere un’attività di utilità comune.

Il sistema degli appalti e subappalti risponde alla strategia di abbassare i costi del lavoro e stimolare una competizione tra i diversi fornitori di servizi, come ad esempio quello della manutenzione, che non rientra nel core business dell’attività principale. Eppure proprio la continuità del rapporto lavorativo e la condivisione delle informazioni lungo tutta la filiera produttiva sono elementi indispensabili per la sicurezza sui luoghi di lavoro. I danni indotti dalla privatizzazione delle ferrovie sono stati denunciati da tempo in studi come in opere filmografiche di forte impatto quali “Paul, Mick e gli altri” del regista britannico Ken Loach.

Per incidere sulle cause strutturali degli incidenti sul lavoro, a parte l’imprevedibilità degli eventi, occorre mettere in discussione l’organizzazione produttiva nel suo complesso.

La fragilità nella tutela della sicurezza sul lavoro ha scontato, inoltre, negli ultimi anni una carenza nell’organico degli ispettori in grado di intervenire in un quadro pur così frammentato del sistema delle aziende. Nuove assunzioni di personale e la direzione del servizio ispettivo da parte di un magistrato attento e competente come Bruno Giordano hanno fatto ben sperare. Di fatto tale direzione inspiegabilmente è durata solo 18 mesi mentre anche da parte sindacale è stato difficile, ad esempio, in questa torrida estate imporre in tempo utile misure prescrittive necessarie per prevenire morti che non possono definirsi accidentali.

Basta pensare, ad esempio, a quanto avvenuto a Lodi ad  un operaio di 44 anni accasciatosi al suolo senza vita dopo ore di attività per apporre segnali stradali ad una temperatura di 40° in pieno luglio. Secondo i dati raccolti da Usb e Rete Iside erano già 740 il numero delle vittime sul luogo di lavoro in questo 2023. L’anno scorso il bilancio è stato pesantissimo con 1094 decessi.

Cifre e dati aridi che non possono rendere la dignità e l’unicità di ogni persona che è non è tornata a casa dal luogo di lavoro come è avvenuto questa volta per Kevin Laganà, di 22 anni, il più giovane tra i colleghi deceduti tragicamente nella notte del 30 agosto:  Michael Zanera, 34 anni, Giuseppe Sorvillo, 43 anni, Giuseppe Saverio Lombardo, 55 anni, e Giuseppe Aversa, 49 anni.

I comunicati e lo stesso sciopero indetto da alcune sigle sindacali intervengono in un quadro frammentato di lavoratori dispersi tra società e inquadramenti contrattuali diversi. Esiste poi una difficoltà nella comunicazione tra certe istanze dei lavoratori legate alla sicurezza e gli utenti che percepiscono solo il disagio pratico per certe proteste mentre l’intervento deciso per diminuire il numero delle “morti bianche” dovrebbe essere un’urgenza condivisa.

Può essere, pertanto, una base per un confronto aperto la discussione sulla proposta di legge popolare intesa ad introdurre in caso di morte sul lavoro una fattispecie simile a quella già approvata per l’omicidio stradale con la previsione di un aumento di pena «nei casi in cui il datore di lavoro non abbia adempiuto agli obblighi necessari a tutelare la sicurezza sui luoghi di lavoro, frutto di un ingiustificabile e inaccettabile disinteresse per la sicurezza e la salute dei lavoratori».

Nel caso dell’incidente che ha colpito i 5 operai si ipotizzano invece, secondo le legge vigente, il reato di disastro ferroviario colposo e omicidio colposo plurimo

La prospettiva che punta ad un impianto maggiormente sanzionatoria intende contrastare una certa tendenza a considerare, nella logica costi/benefici, solo come un peso la spesa necessaria per la sicurezza.

È una proposta che suscita il solito dibattito sulla giusta necessità di puntare sulla prevenzione, ma la gravità del numero di vittime di lavoro obbliga ad un confronto serio per una reale inversione di tendenza.

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