Cinque cerchi di speranza

“Questo è il posto giusto”, dichiarò il Comitato olimpico, scegliendo Salt Lake City, capitale dello Utah, come sede dei Giochi olimpici invernali n. 19. “Questo è il posto giusto “, aveva sentenziato Brigham Young, fermando il suo carro da pioniere e la carovana dei seguaci al centro dell’altipiano sulle rive del Lago Salato. Era il luglio del 1847. Nel “posto giusto” oggi sorge il tempio della comunità dei mormoni, un milione di seguaci solo in città. Etichettati in passato come bigotti e poligami, accusati di proselitismo hanno a disposizione una formidabile opportunità di integrazione religiosa, concessa loro dai quattrini dei loro ricchi adepti. La fiaccola arderà qui per quindici giorni: sui giochi, per timore di attentati, vigileranno migliaia di agenti, mentre sono già andati a ruba i biglietti, costosissimi, in media 80 dollari, di ogni evento delle ben quindici discipline in programma, un’autentica fiera di tutto quello che si può fare sulla neve e sul ghiaccio. Ma che ne sa il grande pubblico di cosa siano skeleton, short-track, o curling? L’esorbitanza di eventi salverà la qualità? Abbiamo girato queste domande a Mario Cotelli, noto ai meno giovani come inventore della “valanga azzurra”, il team più medagliato dello sci italico, scopritore e commissario tecnico di Gustavo Thoeni e Piero Gros. Oggi promotore turistico della sua Valtellina, non ha perso la verve polemica che lo ha reso celebre. L’intervista, solo telefonica, non rende giustizia al personaggio: intercalata da gustose e non sempre ripetibili espressioni, meritava un caminetto, qualche sigaro ed una bottiglia di grappa, sapori che queste pagine non potranno riprodurre. Allora, non le sembrano un po’ troppe tutte queste discipline? “I giochi invernali stanno andando – attacca Cotelli – dove sono già andati quelli estivi: le federazioni, per fare cassetta, hanno scoperto diritti televisivi e che questi valgono in funzione delle ore di trasmissione. Una volta pagati i costi di impianto e di produzione, continuano ad infarcire di gare i programmi per aumentare gli introiti degli sponsor, con il risultato che la gente non capisce più niente: occorre invece fare molte meno gare e dare più importanza alle singole medaglie”. Cotelli, cosa ha significato il marchio di gruppo “valanga azzurra” in uno sport individuale come lo sci alpino? “La gente ha creduto a questo concetto di squadra ed abbiamo creato un marchio che ancora oggi, a distanza di trent’anni, identifica quel gruppo, facendoricordare anche quelli che in realtà non hanno mai vinto nulla: noi siamo quelli della “valanga”. Naturalmente questo ha avuto un influsso importantissimo sui ragazzi a livello di motivazione, creando un forte senso di appartenenza, un’appartenenza che sentivano anche finanziariamente”. Come è cambiato lo sci dai tempi della valanga azzurra? “Una prima cosa è il trattamento delle piste. Allora si battevano a piedi, erano dure e molto gibbose, con necessità di controllare lo sci. Oggi con la neve artificiale ciò è divenuto enormemente più facile, basta farli correre. La seconda è l’evoluzione della tecnica imposta dai materiali. Prendiamo lo slalom speciale, giunto ormai alla terza generazione. Thoeni e Stenmark sono stati i grandi campioni del palo fisso: aggiramento dell’ostacolo, grande acrobazia e agilità. Col palo snodabile, ma sempre con lo sci lungo, serviva potenza per abbattere il palo, ed ecco Alberto Tomba. Oggi con sci corti e porte angolate, di nuovo contano agilità e destrezza. Va detto che lo sci corto maschera certi difetti tecnici, modifica le gerarchie e crea sorprese: sciatori dotati di stile sono sopravanzati da atleti molto agili, anche tecnicamente meno bravi”. La stagione è stata segnata da una serie incredibile di infortuni: ma cosa sta succedendo allo sci alpino? “La sciancratura (sci più stretti nella parte centrale, rispetto alle estremità, n.d.r.) ha portato l’effetto suolo nello sci, che consente di mantenere le traiettorie e conservare un’alta velocità di uscita dalle curve, ma non permette alcun errore: al primo intoppo lo sci si blocca, il corpo va in rotazione e salta il ginocchio, anche perché i muscoli sono più pompati di prima”. Quali i grandi protagonisti dei Giochi olimpici? “Certamente gli americani, che privilegiano le grandi manifestazioni: ci sarà qualche autentico sfracello americano da qualche parte. Hanno già fatto vedere ad inizio stagione che vanno forte. E questo non solo nello sci alpino…”. E fra i nostri? “Due nomi su tutti: Ghedina, e forse Rocca, fra gli uomini. Fra le donne Isolde Kostner, se non ci saranno troppe curve, visto che in ogni curva perde un decimo”. Quali gare consiglierebbe di non perdere? “Senz’altro la libera, la gara più spettacolare ed importante. A chi si intende di sci invece consiglierei il gigante. E poi la 50 chilometri di fondo, una gara che conserva un fascino particolare”. E permetteteci di aggiungere il nostro interesse per le prove di Fusar Poli e Margaglio nel pattinaggio artistico, di Zoeggeler nello slittino, di Huber e Tartaglia nel bob, e di Stefania Belmondo, alla sua ultima olimpiade, nello sci nordico.

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