Cinquant’anni fa su Città Nuova

Il mattino del 28 luglio di quest'anno (1960) a Torino, investito da un’auto, è morto un nostro carissimo collaboratore: Andrea Ferrari.
Andrea Ferrari

Non cambierei il mio posto per null’altro al mondo

 

Il mattino del 28 luglio di quest’anno (1960) a Torino, investito da un’auto, è morto un nostro carissimo collaboratore: Andrea Ferrari. Giovane di 30 anni, intelligente, allegro, dotato di un sottile umorismo, era impiegalo presso il Banco di Roma. Conduceva una vita semplice, regolare. Ma da alcuni anni, a contatto con il Movimento dei focolari, aveva offerto la sua vita a Dio.

Tempo fa, in un articolo per Città Nuova, aveva scritto: «E adesso me ne vado… La mia messa è finita. La scrivania resterà vuota per un po’, poi verrà uno nuovo a prendere il mio posto. Come vien buio in fretta in quest’inverno avanzato! Come vien sera presto in questa vita e rimane solo quanto abbiamo saputo amare».

 

 

Ogni mattina quando mancano appena pochi minuti alle otto e trenta marco il cartellino, entro nel palazzo degli uffici e incomincio la mia fatica quotidiana.

Ma che strano lavoro il mio: andare, venire, salire scale, attendere davanti ad usci chiusi, ricevere e portare schede, e così da anni. Sembra un gioco di pazienza, ma so che ha per posta il Paradiso! L’ha promesso a chi avrebbe fatta la sua volontà!

Se serberò la carità, nonostante i contrattempi, le osservazioni dell’ispettore, le lettere da rifare tre volte, avrò fatto tutta la mia parte, perché sento che è proprio Gesù che mi ha messo qui.

Così quando batto a macchina tutto intento una circolare per il capo reparto, in fondo è solo Gesù che m’interessa. E se succede che non si sia d’accordo con qualche collega sull’applicazione di una norma di servizio, mi sembra così secondario che si faccia in un modo o nell’altro; quando ho davanti un prossimo d’amare, che altro m’importa? Amar Te importa!

Sono un ragioniere e ti servo da ragioniere.

Ecco la mia vita, Signore, voglio farla diventare tutto amore! Questo è ciò che rivoluzionerà dal di dentro la monotonia delle giornate, che riscalderà il cuore nell’affrontare con pazienza l’aridità del lavoro quotidiano; che mi darà d’accettare con umiltà anche le mie stesse imperfezioni.

Non avrò neanche la gloria di aver fatto qualcosa di grande al mondo. In fondo la capanna di Nazareth non ospitava che una donna, un bimbo e un falegname, ma lì era celato, come in un tabernacolo, il mistero della redenzione; e nel nascondimento lavorava il falegname, amministrava la casa la madre, aiutava il fanciullo, ma con in cuore la passione per l’Ut omnes unum sint!

Anch’io voglio essere un operaio di quest’opera, e consumo ogni prova, perché si realizzi la preghiera di Gesù.

Non cambierei il mio posto per null’altro al mondo.

Andrea Ferrari

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