Il primo giugno, l’agenzia Tass ha annunciato il decesso dello scrittore Boris Pasternak, avvenuto il 30 maggio, dopo una lunga e grave malattia. Pasternak aveva 71 anni. È stato sepolto in un piccolo cimitero, presso la “dacia” di Peredelkino in cui da venti anni viveva, e i funerali si sono svolti col rito religioso. Per conoscere questa figura, conviene cercarla nelle sue opere. Una figura forte e coraggiosa quella di Pasternak, un’intelligenza che non si è lasciata immeschinire: non parla secondo il linguaggio ufficiale del regime: ha una sua visione del mondo, della vita e della storia, che si possono riconoscere sostanzialmente impregnate di cristianesimo. Chi non ricorda con commozione certe intuizioni espresse in quello che è stato il suo capolavoro Il dottor Zivago? Quel suo affermare che occorre, per avanzare nella conquista del tempo, una spinta «… un’attrezzatura spirituale e, in questo senso, i dati son già tutti nel Vangelo». Grandiosa la strofa con cui conclude il libro, nella visione della storia confluente in Cristo: «Scenderò nella bara, e il terzo giorno risorgerò – e, come le zattere discendono i fiumi, – in giudizio, da me, come chiatte in carovana – affluiranno i secoli dall’oscurità».
Sono ben note le vicende di questo romanzo, il cui protagonista è tanto simile all’autore e che, dopo il rifiuto dell’editrice moscovita alla pubblicazione, fu edito per la prima volta in lingua italiana. Nel 1958 venne dato a Pasternak il premio Nobel per la letteratura, premio a cui egli dovette rinunciare in seguito alla dura reazione delle autorità sovietiche. Dopo Il dottor Zivago l’ostilità dei circoli letterati e culturali sovietici nei riguardi di Pasternak prese forme violente: ma egli chiese di restare nella sua terra, la «matuska Rus – la madre Russia – incomparabile, celebre madre, il cui nome risuonava oltre i mari, martire, testarda, stravagante, monella, creata da Dio, con le sue trovate sempre grandiose e fatali e sempre imprevedibili».
In lui è contenuto, e lirizzato, tutto il dramma dell’anima russa, ricca di misticismo e venata dal pessimismo e insieme dalla speranza, una speranza che questi suoi versi recenti mettono in luce particolare: «… sono ormai vicino alla tomba – e son convinto che verrà il momento – in cui lo spirito di Dio avrà la sua vittoria – sulla perversità e l’infamia».
Guglielmo Boselli