Cile: fare democrazia senza grilli per la testa

Dopo il primo mese di sessioni, l’Assemblea costituente cilena è al lavoro. E si cominciano a vedere cose “strane”: steccati che cadono, preoccupazione generale per il bene comune, per l’inclusione sociale
Elected constituents of the Indigenous Quechua people Wilfredo Bacian, left, and Telma Ramos, right, take part in a Quechua traditional ceremony at the Plaza de Armas in Santiago, Chile, Sunday, July 4, 2021. Following a May election, mainly independent politicians and members of the indigenous people will draft a constitution to replace one that has governed it since being imposed during a military dictatorship in 1980. (AP Photo/Esteban Felix)

La vita è fatta anche di paradossi. Uno di questi è che la nuova Costituzione cilena, e con essa lo schema democratico sul quale si reggerà, verrà scritto proprio dove la democrazia venne ferita a morte a partire dall’11 settembre 1973, data del colpo di stato. Ai 155 costituenti (è probabile che presto o tardi verranno indicati utilizzando anche il sostantivo “padri”), è stato assegnato l’elegante edificio del vecchio parlamento cileno. Una graziosa struttura fedele allo stile neoclassico di fine XIX secolo. Quello nuovo è stato spostato dal regime militare a Valparaíso, la ridente città-porto sita a meno di 100 km da Santiago. Un pugno nell’occhio di cemento, una sorta di arco quadrato senza alcunché di bello, come se fosse stato progettato per rendere evidente che per la cultura militare l’estetica è qualcosa di superfluo.

In questo primo mese di sessione comincia a notarsi lo stile dei rappresentanti. Non è abituale – se non in pochi casi – vederli in giacca e cravatta oppure in eleganti tailleurs. Trionfa lo stile casual. E se appare il sole, eccoli seduti sui gradini dell’ingresso a consumare un panino all’ora di pranzo o prendere un tè (in Cile è in genere preferito al caffè).

Non è un Paese diverso quello che sta cominciando ad esprimersi in queste sale, ma quello vero. Le sessioni iniziano con un breve richiamo in mapugundun, la lingua mapuche di Elisa Loncón, la presidente, che intende in questo modo ricordare che la componente indigena di questa assemblea non è una presenza decorativa, ma portatrice di una diversa sensibilità. Lo hanno indicato anche i riti realizzati in varie occasioni. Seduta tra i colleghi c’è anche una machi, Francisca Linconao. Insieme al lonko, la machi è la massima autorità mapuche, una sorta di mediatrice tra cielo e terra, che interviene anche nelle cure fisiche o nel diagnosticare una malattia. La cosmovisione dei popoli andini non separa la dimensione spirituale da quella materiale, che si uniscono in ogni momento di particolare importanza. Sono vari i riti ancestrali diretti a coinvolgere la Pachamama (madre terra) in questo processo. Qualcuno, pochi e sempre meno, storce il naso. Per niente abituati a entrare in contatto con un mondo che fa parte del Paese, ma che finora si era preferito lasciare nell’invisibilità e far finta di dimenticare che questi popoli c’erano prima che arrivassero gli europei; che hanno patito il sopruso di essere privati della loro cultura insieme alle terre, concesse ai coloni arrivati dal Vecchio Continente in spregio ad ogni considerazione di diritto e di giustizia.

Ma accadono anche altre cose. Ad esempio, che i numerosi rappresentanti eletti nelle liste degli indipendenti diano lezioni di democrazia ai partiti tradizionali. Molti di loro sono attivisti sociali che hanno avuto un ruolo importante durante le manifestazioni di protesta iniziate quasi due anni fa, per condurle in modo pacifico e democratico. Recentemente, due di loro, appartenenti a settori di sinistra, hanno chiarito di non essere disposti ad obbedire gli ordini delle segreterie e che voteranno seguendo la loro coscienza, il buon senso e lo spirito democratico di questa assemblea. Ma le acque si muovono anche a destra, dove nelle varie commissioni alcuni hanno votato la designazione di presidenti di sinistra senza discussione alcuna, semplicemente seguendo il criterio della capacità o di una competenza specifica. Poco alla vota, il ghiaccio delle polarizzazioni se non si scioglie, comincia almeno a gocciolare. E nei momenti di pausa, quando si formano capannelli e si comincia a dialogare senza preconcetti, destra e sinistra cominciano a parlare sul serio di cosa condividere di una Costituzione, quale terreno potrebbe essere comune. Per gli amanti degli steccati un vero scandalo.

E che dire della loro remunerazione: meno di 2.700 euro al mese, durante un anno o quindici mesi al massimo. Ma qui nessuno è venuto a fare soldi. Meno male.

Il governo non pare abbia fatto di tutto per assicurare loro di lavorare bene e con calma. Le risorse le ha assegnate a suo criterio ed ha preferito spendere per una sicurezza della quale nessuno dei presenti si preoccupa, invece di contrattare i consulenti di cui si ha bisogno. Ma si sapeva che l’Esecutivo aveva accettato obtorto collo l’idea di una nuova Costituzione. Poco importa. Intanto continuano queste prove tecniche di democrazia condotte dai rappresentanti di un Cile reale, quello che vedi tutti i giorni per strada.

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