Ciao Marisa

Se n’è andata in punta di piedi qualche settimana fa. Del resto di Marisa Sannia ormai, se ne ricordavano in pochi. Eppure aveva solo sessantun anni, e una carriera ancora in corso spesa nel segno del rigore, del pudore e della coerenza. Caratteristiche rare in un ambiente che vive per lo più di sensazionalismi e di mode che deflagrano ed evaporano in un amen. Della sua gente di Sardegna aveva lo sguardo dolce e severo, una naturale propensione al riserbo (in pochi avevano saputo della malattia, e quando la notizia è stata diffusa ai media, perfino il funerale s’era già svolto), soprattutto una risolutezza dal sapore antico. Originaria di Iglesias, era stata scoperta da Sergio Endrigo intorno alla metà degli anni Sessanta: un po’ di gavetta, e poi la svolta, al Sanremo del ’68, con Casa bianca. Un bel successo a livello mondiale che comunque non cambiò d’una virgola il suo modo di essere e di proporsi: pochi fronzoli, un intimismo interpretativo sempre giocato su toni morbidi e registri limpidissimi, una semplicità antiretorica che a conti fatti è sempre stato il suo modo di indossare l’eleganza della sobrietà. Uno stile insomma lontano più della luna dagli ingredienti tipici richiesti, allora come oggi, alle donnine del pop. Ma se il suo nome è sparito in fretta dalle classifiche e dalle scalette radiofoniche e televisive non è solo per questo. È anche perché Marisa Sannia, con la cocciutaggine tipica dei suoi conterranei, non ha mai voluto piegarsi ai diktat delle mode. Non per questo rinunciò alla sua carriera, e continuò ad esprimere sé stessa attraverso la musica. Nei Settanta vinse il Festival della canzone d’autore per l’infanzia; il brano Una lacrima venne addirittura ripreso da Battisti e più recentemente da Vasco Rossi; poi alcune parentesi col musical (Caino & Abele di Tony Cucchiara), con la tivù (lo sceneggiato George Sand e Memorie d’Adriano con Albertazzi) e il teatro. Dopo un’improbabile ren- trée sanremese nel ’84 (un’esperienza terribile, la definì) la decisione di svoltare verso il cantautorato folk: il risultato fu una triologia di album cantati nella lingua della sua terra, tre gioielli di mirabile coerenza stilistica, destinati ovviamente ad una manciata di appassionati. Negli ultimi tempi Marisa stava lavorando alacremente ad un nuovo progetto: un disco, Rosa de palel, di imminente uscita, dedicato al grande poeta Garcia Lorca. Marisa era così: una donna volitiva, un talento eclettico e multiforme impossibile da ingabbiarsi negli stereotipi, e dunque destinato alle oscurità marginali dei luna-park della musica. Marisa, come il suo mentore Endrigo, e Giuni Russo e tanti altri, finirà accomunata al destino di mille altre stelle lontane: così lontane che la maggioranza s’accorge di loro solo quando ormai non sono più. CD Novità Tom Baxter Skybound (Charisma) Inglese del Suffolk trapiantato a Londra, questo cantautore del ’73, è una delle più belle sorprese dell’annata in corso. Questo suo second- out lo rivela compositore ed interprete di razza, dotato di uno stile che miscela con sapienza e personalità il popsoul di un James Blunt, alla profondità crepuscolare di un Damien Rice. Dieci grandi ballads col respiro delle mini suite: che s’aprono in punta di voce, si dipanano per sentieri imprevedibili e talvolta deflagrano nel finale. Un gran disco, nel solco della miglior canzone d’autore anglo-statunitense. Moby Last Night (Emi-Mute) Quasi un concept-album dedicato alle notti della dance new-yorkese dei tardi anni Settanta. Qualche bello spunto qua e là, ma dal genietto di Manhattan era lecito attendersi qualcosa di più. Un album di transizione: tutto sommato più necessario a lui che a noi.

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