Ci raccontano favole? Il decalogo di Chomsky sull’informazione

Il padre della creatività del linguaggio, intellettuale di sinistra, uno dei guru del pensiero degli indignados e dei giovani di piazza Tahrir, come di tanti altri rivoluzionari, rivela, attraverso 10 regole, come sia possibile mistificare la realtà
Giornali

Scrive sul suo blog (Cavoletti di Bruxelles www.dinonicolia.com) Dino Nicolia, funzionario della Commissione europea a Bruxelles e consigliere scientifico dell'Istituto di relazioni internazionali, che i grandi potentati economico-finanziari del mondo sono interessati a filtrare solo determinati messaggi e, a tal fine, utilizzano i potenti mezzi di comunicazione che hanno a disposizione. Nicolia tiene a precisare, nel profilo di blogger, come, quanto egli scrive, sia frutto solo di «opinioni personali» e «non rappresenta in alcun modo la posizione ufficiale della Commissione europea».

Ne teniamo debito conto, ma il post cui facciamo riferimento, tuttavia, ripreso dal sito www.linkiesta.it, non riporta tanto il suo pensiero quanto piuttosto quello di Avram Noam Chomsky, l’ultra ottuagenario statunitense professore emerito di linguistica al Mit (Massachussets institute of technology), filosofo e teorico della comunicazione, definito dal New York Times «il più grande intellettuale vivente». Ci sembra una fonte più che autorevole e credibile, checché ne pensi in proposito la Commissione europea.

Chomsky descrive 10 modalità con le quali possiamo essere indotti, inconsapevolmente, a travisare la realtà. È interessante prenderne visione e acquistarne consapevolezza.

1) La strategia della distrazione, fondamentale, per le grandi lobby di potere, al fine di mantenere l’attenzione del pubblico concentrata su argomenti poco importanti, così da portare il comune cittadino ad interessarsi a fatti in realtà insignificanti. Per esempio, l’esasperata concentrazione su alcuni fatti di cronaca.

2) Il principio del problema-soluzione-problema: si inventa a tavolino un problema, per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Un esempio? Mettere in ansia la popolazione dando risalto all’esistenza di epidemie, come la febbre aviaria, creando ingiustificato allarmismo, con l’obiettivo di vendere farmaci che altrimenti resterebbero inutilizzati.

3) La strategia della gradualità. Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. È in questo modo che condizioni socio-economiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni Ottanta e Novanta: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero stati applicati in una sola volta.

4) La strategia del differimento. Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, al momento, per un’applicazione futura. Ad esempio: parlare continuamente dello spread per far accettare le “necessarie” misure di austerità come se non esistesse una politica economica diversa.

5) Rivolgersi al pubblico come se si parlasse ad un bambino. Più si cerca di ingannare lo spettatore, più si tende ad usare un tono infantile. Per esempio, diversi programmi delle trasmissioni generaliste. Il motivo? Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni, in base alla suggestionabilità, lei tenderà ad una risposta probabilmente sprovvista di senso critico, come un bambino di 12 anni appunto.

6) Puntare sull’aspetto emotivo molto più che sulla riflessione. L’emozione, infatti, spesso manda in tilt la parte razionale dell’individuo, rendendolo più facilmente influenzabile.

7) Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.  Pochi, per esempio, conoscono cosa sia il gruppo di Bilderberg e la Commissione Trilaterale. E molti continueranno ad ignorarlo, a meno che non si rivolgano direttamente ad Internet.

8) Imporre modelli di comportamento. Controllare individui omologati è molto più facile che gestire individui pensanti. I modelli imposti dalla pubblicità sono funzionali a questo progetto.

9) L’autocolpevolizzazione. Si tende, in pratica, a far credere all’individuo che egli stesso sia l’unica causa dei propri insuccessi e della propria disgrazia. Così invece di suscitare la ribellione contro un sistema economico che l’ha ridotto ai margini, l’individuo si sottostima, si svaluta e addirittura, si autoflagella. I giovani, per esempio, che non trovano lavoro sono stati definiti di volta in volta, "sfigati", "choosy", "bamboccioni". In pratica, è colpa loro se non trovano lavoro, non del sistema.

10) I media puntano a conoscere gli individui (mediante sondaggi, studi comportamentali, operazioni di feed back scientificamente programmate senza che l’utente-lettore-spettatore ne sappia nulla) più di quanto essi stessi si conoscano, e questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un gran potere sul pubblico, maggiore di quello che lo stesso cittadino esercita su sé stesso.

Commenta, in chiusura, Dino Nicolia: «Si tratta di un decalogo molto utile. Io suggerirei di tenerlo bene a mente, soprattutto in periodi difficili come questi».

Concordiamo con lui.

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