Chiederò conto a Dio

Renato Corrado, nato nel 1949, è sposato e padre di quattro figli; attualmente è responsabile della Associazione italiana per la solidarietà tra i popoli (Aispo) dell’ospedale San Raffaele di Milano, ma ha lavorato molti anni come medico volontario in Africa, in Cina, India, Iraq e a Capo Verde; dopo lo tsunami ha rimesso assieme strutture ospedaliere nello Sri Lanka e recentemente opera in Afghanistan, dove ha incontrato Alberto Cairo, che ha voluto scrivere la prefazione del suo libro dal titolo intrigante: Chiederò conto a Dio (San Paolo). In esso ha condensato le riflessioni di anni raccolte nei suoi diari soprattutto per tentare di spiegare ai miei figli le ragioni per cui ho scelto di vivere la vita che ho vissuto, portandomi nell’orfanotrofio di Kabul, negli ospedali di Betlemme e di Gaza, in Uganda, Tanzania e Mozambico. Di famiglia cattolica, in gioventù perde la fede: laureatosi in medicina per spirito umanitario, decide di prestare servizio civile in Africa e poi di rimanervi come medico volontario. Grazie alla testimonianza di vita dei missionari, religiosi e laici, che incontra nei vari Paesi (i coniugi Corti, padre Ambrosoli, padre Donini, le suore di Madre Teresa, il Dalai Lama ed i suoi monaci), molti anni dopo otterrà di nuovo il dono della fede. La sua esperienza esistenziale gli permette così di leggere il Vangelo, la Bibbia e altri scritti spirituali nelle lunghe ore serali (Niente televisione. Da guardare solo il film muto delle pigre spirali di fumo che si alzavano dallo zampirone, gravide di forme che si disperdevano al più piccolo movimento dell’aria, denunciando la vanità della loro breve vita…) come dall’esterno, senza condizionamenti culturali, in modo laico, e di cercarvi e cogliervi risposte per domande brucianti che gli vengono dall’esperienza del dolore fatta ogni giorno nell’esercizio della sua professione. Magari perché, come nell’ospedale nella foresta del nord Uganda, sente attorno a sé i respiri dei mille bambini che ogni sera si rifugiano nella cinta dell’ospedale per sfuggire al rapimento e al conseguente destino di bambino-soldato. Ne nascono pagine di grande profondità, con momenti di vera poesia: La volontà e l’intelligenza umana potranno edificare la scienza, ma solo nella volontà e intelligenza divina, che crea, risiede il senso della creazione (la verità). Il vero, il bene, va ricercato però anche quando è avvolto nel buio notturno. La notte è solo l’ombra della terra; ma l’uomo ha la luce dell’intelligenza e della fede per scrutare in queste tenebre le cose visibili e invisibili. Insomma, è molto probabile, io penso che sia sicuro… che noi siamo frutto della volontà creativa di Dio… il nostro Dio però si presenta come un Dio che ama, non è un ingegnere senza anima… che costruisce una macchina e poi se ne disinteressa. E aggiunge: Il mondo che ci circonda, specialmente quello che ho visitato come medico, non sembra comunque frutto di un grande amore. Quello che cerco di capire è se queste sofferenze siano imputabili a Dio stesso o all’uomo che comunque è libero di amare o di non amare, è libero di cercare il bene od operare il male, di competere con un Dio che si dichiara buono o cercare di intuire il senso della vita così come è nella mente di quello stesso Dio che un giorno decise di creare l’uomo. Libero. I ricordi personali si fanno letteratura: Socchiudo gli occhi per potere ancora sbirciare su questa giornata che mi scappa tra le dita, per vedere che cosa la abbia resa diversa dalle altre… devo trovare un appiglio per fermare il flusso implacabile del tempo… rivedo gli occhi dei malati, provo ad immaginare chi non sarà più qui domani. E mi chiedo perché quel bambino è venuto al mondo per vivere solo due giorni, lasciando la madre col ricordo di una speranza delusa, speranza che, crescendo col peso della gravidanza, l’aveva accompagnata per nove mesi. Questo va al di là della giustizia umana. Direi che non rientra più nella categoria del giusto o dell’ingiusto. Ciò accade perché è necessario, così come è necessario che laddove non piove non cresca grano bensì la fame. Noi in mezzo a questa necessaria ingiustizia possiamo dar sfogo alle nostre inutili passioni e gridare ancora dal deserto della ragione: perché? Ne chiederò conto a Dio. Il tema di tutto il libro, è quello del dolore, e soprattutto del dolore innocente, il dolore del bambino, il dolore del figlio che non si può evitare: Essere medico mi comporta il pensare che esiste un senso anche per il dolore, innocente o colpevole che sia. E sperare, sperare, solo sperare, che sia vero. Perché la lotta col male è impari, se la si combatte da soli. E qui tra le pagine più belle, quelle intitolate Il dolore dei figli, in cui analizza questo tema con una sensibilità che può venire solo da chi questi passi li ha fatti personalmente. Qui Corrado riprende la storia di Abramo, impotente davanti al dolore che Dio, direttamente, per logiche imperscrutabili, impone ad Isacco, e trovando in questo strazio il senso della sua paternità (vedi box). Ponendo domande brucianti che giungono fino a noi. LE DOMANDE DI ABRAMO Sicuramente Isacco nella salita sul monte, carico di legna, interrogava il padre. Domande che Abramo avrebbe mai voluto sentirsi porre. Domande che dalle orecchie rimbalzavano a devastare il cuore, domande che catalizzavano sensazioni di nostalgia di un paradiso perduto; di smarrimento perché la conoscenza c’è, ma mai sufficiente; di spossatezza perché dalla ferita geme la vita in quanto capacità di vivere. Al di là del mito biblico, io penso che la salita su quel monte figuri il percorso della malattia, una qualsiasi malattia che può capitare a tuo figlio. Che cosa vi è di meglio per un figlio che avere accanto il padre che con lui sale queste rive scoscese; chi meglio del padre può condividere questo percorso di sofferenza?… io credo di aver riconosciuto il viso di Abramo in quello delle madri che non avevano altro se non le braccia per caricarsi del figlio, avendo lasciato tutto dietro di sé alle falde della malattia, avendo speso le ultime risorse per il viaggio verso l’ospedale. La storia di Abramo e di Isacco mi insegna che quando il dolore diventa troppo grande, lì c’è di mezzo Dio. Quel Dio o lo maledici o con lui apri un dialogo, lo interroghi. Quando il dolore è solamente tuo, dovuto alla tua malattia, al tuo disagio, e non ci puoi fare niente, te la vedi direttamente con il tuo Dio: così fece Giacobbe che lottò con lui tutta notte. E come Giobbe puoi arrabbiarti con lui e chiedergli ragione del tuo dolore, ma resta una questione tra te ed il tuo Dio.

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