Chiari segnali dai cittadini

Lo si sapeva. Ma ciascuna delle coalizioni sperava di esserne solo sfiorata. Invece ha avuto un’influenza non marginale il previsto fenomeno dell’astensionismo nelle consultazioni del 28 e 29 maggio. L’affluenza alle urne è stata inferiore (meno 9 per cento) rispetto al precedente voto amministrativo del 2001, scendendo al 71,2, ed è precipitata dove si è votato per le provinciali, con una partecipazione ridotta al 59,6, ovvero un calo del 16 per cento in media, ma con punte del 30, ad ulteriore riprova che la Provincia resta un’istituzione lontana dalla gente e, spesso, incomprensibile. Ugualmente previsto il risultato dell’unica regione chiamata alle urne, la Sicilia. Il presidente uscente, Totò Cuffaro, esponente dell’Udc, è stato confermato nella carica con il 52,9 dei consensi. Non ce l’ha fatta Rita Borsellino, sorella del magistrato ucciso dalla mafia 14 anni fa, espressione non di un partito ma della società civile, alla sua prima esperienza elettorale: si è fermata al 41,6. Tra i due una differenza di 310 mila voti, pari all’11,5 per cento. E questo è un primo dato da valutare, perché cinque anni fa lo scarto inflitto da Cuffaro all’allora candidato presidente – l’ex sindaco di Palermo Leoluca Orlando – fu del 23 per cento. L’esordiente Borsellino è riuscita a dimezzare l’abissale distanza della consultazione precedente. A questo va aggiunto un secondo dato: le preferenze raccolte dalla Borsellino superano di sei punti percentuali la somma dei voti ottenuti dalle quattro liste della coalizione di centrosinistra che l’appoggiavano. Significa che, utilizzando l’opportunità del voto disgiunto, il 6 per cento dei siciliani, che, pur votando per il centrodestra, hanno indicato come presidente la candidata del centrosinistra. Un successo personale di tut- to rispetto. Resta, perciò, un quesito: cosa sarebbe accaduto se Margherita e Ds non avessero impedito alla Borsellino di approntare una lista con qualificati rappresentanti della società isolana? Responsi attesi anche in due grandi città come Roma e Torino. I sindaci uscenti Veltroni e Chiamparino hanno vinto, con un margine, però, molto superiore alle attese. Chiamparino è stato votato da due elettori su tre, mentre Veltroni ha mietuto consensi anche nelle periferie, tradizionale serbatoio della destra. Netta affermazione anche a Napoli, dove invece è regnato un clima d’incertezza (in qualche caso d’intimidazione) sino all’apertura delle urne. La zia Rosetta, come amabilmente molti chiamano Rosa Russo Iervolino, è stata riconfermata a Palazzo San Giacomo al primo turno. Soddisfatta, ha commentato: Non mi aspettavo un risultato di queste dimensioni. Fin sul filo di lana si è invece protratto il testa a testa milanese tra l’ex ministro dell’Istruzione, Letizia Moratti, e l’ex prefetto, Bruno Ferrante. Non si dovrà andare al ballottaggio per il nuovo inquilino di Palazzo Marino, come già nelle precedenti amministrative, anche se il predecessore Gabriele Albertini aveva vinto nel 2001 con un margine più ampio, il 57,5. Mai una donna era diventata sindaco nel capoluogo ambrosiano. Un segnale di novità da seguire con particolare attenzione. Forza Italia si riconferma a Milano il primo partito con il 32 per cento dei voti e nonostante la presenza della lista civica della Moratti che ha raccolto oltre il 5 per cento dei consensi. A bocca amara è rimasto l’Ulivo, arretrato dal 28,8 per cento delle politiche di aprile all’odierno, striminzito 22, dimostrandosi velleitaria la speranza di superare in città il partito di Berlusconi. Credevo che Ferrante avrebbe perso con uno scarto superiore – mi confida l’amico lombardo Luigi, elettore di centrosinistra -. Ha palesato una strategia insufficiente per volare alto, scarso amore verso la città ed eccessiva attenzione alla sinistra alternativa. Le contestazioni alla Moratti nelle manifestazioni del 25 aprile e del 1° maggio hanno preoccupato i milanesi. Non è un caso che l’Ulivo abbia perso quasi un quarto dei voti. Complessivamente sono stati chiamati alle urne 19 milioni e mezzo di elettori, dei quali 4,5 milioni in Sicilia. Coinvolti 1.261 consigli comunali e 8 provinciali. Tra le città capoluogo, il centrodestra si riconferma a Varese, Lecco e Fermo, ma perde a Catanzaro, dove si va al ballottaggio, ma è fuori gioco la Casa delle libertà. Al secondo turno vanno pure Belluno, Rovigo, Caserta e Salerno. In quest’ultima città, i due candidati sindaco sono del centrosinistra. L’Unione si conferma a Savona, Ravenna, Rimini, Siena, Cosenza e conquista Arezzo, Grosseto, Barletta, Benevento e Crotone. Nelle consultazioni provinciali, il centrodestra mantiene le città di Pavia, Treviso e Imperia, ma perde in modo secco Reggio Calabria. Vanno di nuovo al centro sinistra le province di Campobasso, Lucca, Mantova e Ravenna. Nell’aspra campagna elettorale si è tentato di trasformare una consultazione amministrativa in un voto politico. Dai risultati si desume che i cittadini non sono stati dello stesso parere. E non si sono perciò sentiti mobilitati per difendere, ad esempio, i propri redditi dal paventato rischio di nuove tasse, come accaduto in aprile. Non è una novità che l’astensione alle amministrative sia superiore a quella delle politiche, ma il non-voto di fine maggio indica che, per una parte dell’elettorato, due elezioni in due mesi sono eccessive. Cosa succederà al referendum di fine giugno? Spiace, va detto, che abbia buon gioco la disaffezione. E perdono di credibilità gli strumenti di democrazia diretta. Occorre apportare correttivi per evitare il ripetersi di consultazioni in sequenza. Gli analisti del voto confermano che negli ultimi tempi c’è un elettorato che tende ad astenersi – età avanzata, in prevalenza donne, basso livello d’istruzione – dove c’è una concentrazione un po’ più elevata di voto a favore del centrodestra. Un’osservazione finale. Roma, Napoli e Torino sono governate ininterrottamente dal centrosinistra dal 1993. Un dato politico rilevante. Che palesa la mancanza di un gruppo dirigente del centrodestra capace di proporsi con affidabilità all’elettorato locale. Vittorio Feltri, caustico direttore del quotidiano Libero, non risparmiava nulla al centrodestra, cui pure guarda con evidente simpatia: Non ha organizzazione politica sul territorio. Conveniva il senatore forzista Schifani: Forza Italia necessita di una maturazione della classe politica locale, mentre Ronchi, portavoce di Alleanza nazionale, ha ribadito che non si può scegliere il candidato sindaco all’ultimo momento. Emblematico è infatti il caso dell’ex ministro Buttiglione, catapultato a Torino solo a fine aprile. Risultato: 29,5 per cento dei voti. Gli elettori, anche i più distratti, sono attenti a chi ha a cuore la città. Ora più che mai.

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