Chi vincerà la partita a Monopoli?

Expo 2015. Nessun cantiere aperto. Si discute sui terreni e sulla proprietà. E se si valorizzasse l’esistente?
Moratti Formigoni

Più di due anni fa, la notizia che l’esposizione universale si sarebbe tenuta a Milano, era stata accolta nel Paese con diffuso entusiasmo ed a Milano con un respiro di sollievo. Dopo trenta mesi, e l’avvicendarsi di tre amministratori delegati, Milano si trova ancora in posizione “ripassa dal via”. Nessun progetto per Expo ha preso avvio e l’incertezza sul futuro è molto alta. Ricordate il gioco di Monopoli, le compravendite e gli scambi di terreni, il sogno di riempirli di verdi casette o di rossi alberghi? Ebbene, l’impasse di Expo si può comprendere solo cogliendo lo stretto connubio tra esposizione universale, dinamiche urbanistiche locali, differenti livelli di governo.

 

Il problema delle aree. Partiamo dal nodo cruciale. L’area scelta per il progetto Expo comprende alcuni terreni a nord di Milano collocati tra l’autostrada per Torino e quella dei Laghi. Si tratta di un’area agricola decentrata che con l’arrivo di strade e metrò, zone verdi e corsi d’acqua, potrebbe essere trasformata in una zona appetibile per il mercato edilizio. Questi terreni appartengono al 70 per cento alla Fiera di Milano (vicina alla Compagnia delle Opere), controllata dalla Regione che ne è azionista, e al 30 per cento al gruppo immobiliare Cabassi.

Il piano originario prevedeva di dare le aree in concessione alla società Expo per sette anni, al termine dei quali i proprietari sarebbero tornati in possesso dei terreni con la possibilità di costruirvi ingenti volumetrie. Una proposta vantaggiosa per tutti, che è entrata in crisi quando l’incertezza sulla copertura di finanziamenti pubblici per le spese dell’Expo ha reso meno sicuro l’investimento su quei terreni. In quel momento gli interessi degli attori in campo hanno iniziato a divergere in maniera conflittuale.

 

La posizione del Comune. Da una parte, il Sindaco Moratti ha mantenuto l’idea di un comodato d’uso e per convincere i proprietari ad accettare la proposta ha promesso un incremento di volumetria. Inoltre, divenendo incerti gli investimenti immobiliari, ha optato per un piano leggero che non prevede grande consumo di suolo: un grande parco botanico planetario, con le coltivazioni, le serre, le biodiversità, i climi del mondo e le loro tipicità alimentari, progettato dall’architetto Stefano Boeri con paesaggisti e architetti di fama internazionale.

Questa posizione ha alcuni elementi di buon senso: riduce le spese vive, sceglie un piano alternativo che ha elementi di qualità, ancorché molto costoso sotto il profilo economico, tuttavia rischia di assoggettare la politica agli interessi dei privati.

 

La posizione della Regione. Dall’altra, il presidente della Regione Formigoni ha proposto l’acquisto dei terreni, evidenziando con lucidità i dubbi di legittimità della proposta di comodato d’uso, che rischia di favorire troppo l’attore privato, con aree densamente edificabili che tornerebbero ai proprietari, mentre le aree pubbliche resterebbero senza volumetrie e destinate a incerto destino. Questa posizione certamente ragionevole appare gravata da conflitti di interesse. Infatti, se i terreni venissero acquistati con soldi regionali, la struttura che sovrintende agli interventi edilizi (Infrastrutture Lombarde, vicina alla Compagnia delle Opere) diventerebbe l’ente appaltante dei terreni Expo, sia per la realizzazione che per il dopo evento. Regione Lombardia sarebbe quindi sia venditrice (in quanto azionista di Ente Fiera), sia compratrice delle aree, sia l’ente di gestione dell’intero progetto (Infrastrutture Lombarde).

 

Verso un’ipotesi di compromesso. A partire da queste posizioni finora senza esito, sono state esplorate alcune soluzioni di compromesso. Fiera e gruppo Cabassi potrebbero concedere i terreni in comodato d’uso gratuito per sei anni; alla fine dell’Expo la maggior parte delle aree resterebbe in mano agli enti pubblici riuniti in una società, mentre ai due privati resterebbe una quota di aree su cui realizzare edilizia e la possibilità di trasferire una quota dei (futuri) diritti volumetrici in altra zona della città. Così i vantaggi finanziari, prima, ed edificatori poi, sembrerebbero ora il poker nella manica per giungere a un accordo condiviso.

 

Verso quale Expo? Stupisce lo scarso investimento del governo su una manifestazione che promuoverebbe Milano e l’Italia, e creerebbe le premesse per rinnovare la città in chiave europea. I tagli paventati da Tremonti rendono incerta l’iniziativa e più esposta a giochi di potere locali. Il clima di incertezza potrebbe poi favorire infiltrazioni mafiose da tempo segnalate.

È evidente la difficoltà di maturare e perseguire un progetto permanente e duraturo per Milano. In tempi diversi altre città hanno saputo coniugare riqualificazione urbana, investimento economico, riscatto sociale di un’intera comunità; si pensi, ad esempio, alla trasformazione di Barcellona o di Torino per le Olimpiadi. Nel contesto milanese, a quanto è emerso, sia quando l’attore pubblico è forte e organizzato (Regione) sia quando è più debole e incerto (Comune), appare condizionato da interessi locali soprattutto di tipo immobiliare.

A questo punto, cosa impedisce di cambiare prospettiva e ridimensionare il progetto Expo introducendo una logica più attenta alle risorse già esistenti in città? Milano potrebbe sperimentare un modello di sviluppo incentrato sulla valorizzazione delle risorse territoriali, del patrimonio architettonico, delle ricchezze paesistiche. Un Expo a metro cubo zero, ovvero senza costruire nulla di nuovo (o quasi): forse è arrivato il momento di fare di necessità virtù.

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