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Che ti metti stasera?

di Daniela Girardi

- Fonte: Città Nuova

Il piccolo Mario e la mamma Anna sono per strada. Lui la coccola mentre lei piange sconsolata. Poi, l’incontro con i viandanti trasforma la serata

Foto Pexels

Sono quasi alla metro quando vedo Anna. È seduta su una spessa lastra di cemento che funge da scalino per l’entrata in un negozio di abbigliamento. È sera e la saracinesca è abbassata. Anna piange. Ha la disperazione negli occhi e un bambino di 5 o 6 anni accovacciato al suo fianco. Si chiama Mario e ha dei capelli riccissimi e gonfi che quasi gli raddoppiano il volume della testa. Di natura è vispo, ma in quel momento intuisce che è successo qualcosa di grave e resta buono vicino alla mamma.

«Signora, che è successo? Perché piange?».

«Ho perso il portafoglio». La voce è rotta dalle lacrime che bagnano il viso a fiotti. Non ha vergogna di lasciarsi guardare in tutta la sua fragilità, ferma in un punto della strada dove a passare sono in tanti. È come se niente avesse importanza, mentre impotente soccombe sotto il pensiero di aver perso il frutto del lavoro di giorni interi. Anna fa la venditrice ambulante e nel portafoglio, quel giorno, aveva 380€. Lo aveva cercato ovunque, ripercorrendo a ritroso tutti i bar e i ristoranti in cui era stata.

Il mio primo pensiero va ai documenti, ma non è quello che la preoccupa, aveva già sporto denuncia. Mi metto a parlare un po’ con lei e scopro che viene dal Senegal e che non le va un pezzo di pizza, perché non la digerisce bene. Avrebbe cucinato a casa il thiebou dien riso, il piatto tipico della loro cucina, fatto di riso (ovviamente), più pesce, aglio, cipolla e spezie. Le chiedo come posso aiutarla, ma continua a piangere e a dire di non preoccuparmi. Nel frattempo, anche altri si fermano. Si crea un piccolo cerchio di gente.

Mi chiedono cosa sia successo e spiego la situazione. Restiamo con lei, in attesa di non sappiamo nemmeno noi cosa, ma non ce la facciamo a lasciarla lì coi suoi singhiozzi. A un certo punto mi cade l’occhio su una di quelle grosse ceste appoggiate vicino ai suoi piedi, piene di braccialetti tutti colorati fatti di fili e perline tintinnanti. I suoi attrezzi del mestiere. Mi sono sempre chiesta come fanno, le donne come Anna, a portarsi quelle ceste in testa senza farle cadere, avendo magari anche un bambino sulle spalle. Le ho sempre ammirate. Devono avere una forza e un equilibrio pazzeschi. E non è solo questione di fisico.

«Posso comprare un braccialetto?».

«Tieni, scegli». Le spunta un mezzo sorriso e ne tira fuori un mucchietto. Chissà quanti ne aveva venduti per arrivare alla cifra persa e quanto tempo ci sarebbe voluto per recuperarla. Chissà se era stata costretta a portarsi quei soldi dietro perché non aveva un posto sicuro in cui lasciarli. Chissà se aveva paura che ad attenderla a casa ci fosse un altro rimprovero, oltre a quello con cui il suo giudice interiore la stava di certo martellando.

L’idea di acquistare i braccialetti che Anna vendeva è piaciuta a tutti, perché la gente accanto a me ha cominciato a tirare fuori il proprio portafoglio. Un uomo con un cappello elegante, che aveva ascoltato tutta la conversazione in disparte, si avvicina ad Anna, si piega sulle ginocchia e le lascia una banconota nella mano chiusa. Involontariamente, noto che si tratta di una banconota di grosso taglio. Si guardano per pochi, eterni secondi e gli occhioni lucidi di Anna ringraziano.

Oltre al signore col cappello elegante, c’è anche una giovane ragazza che mi ha guarda desolata. Non aveva contanti. È la stessa donna che in un primo momento, passando davanti al negozio, era andata oltre. Doveva averci superato, però, solo con le gambe, perché il cuore e gli occhi erano rimasti con Anna e dopo qualche passo avevano convinto anche il resto del corpo a tornare indietro. Davanti al portafoglio vuoto, qualcosa ha bussato forte dentro di lei e lei, questa volta, ha lasciato fare senza opporre resistenza. «Puoi aspettarmi qui? Vado a prelevare».

Rimango lì, a giocare con Mario. Facciamo il verso della mucca, poi della tigre e del leone. Con quella chioma che si ritrova in testa, il leone gli riesce benissimo. Ruggiamo e ridiamo. Ridiamo un sacco. Penso che debba essere proprio un bel combattente quel leoncino. Di certo la stoffa non gli manca. È la stoffa di chi davanti alle lacrime sa restare in silenzio a sentire il dolore rispondendo solo con dolci carezze. Scelgo il mio braccialetto con le perline celesti, per ricordami che dovunque vada, è il Cielo che cerco. Anna me ne regala un altro. Lo sceglie lei, con le perline tutte colorate, per dirmi che quel Cielo è fatto di lacrime, ma anche di tanti sorrisi da ricevere e da portare.

Passano una ventina di minuti e la signora è di ritorno. Si china anche lei per stare più vicina ad Anna. «Ne prendo tre, così li regalo alle mie sorelle». Anche qui, senza farlo apposta, divento testimone di una generosità sproporzionata.

Mi allontano, sapendo di lasciare Anna e Mario in ottima compagnia. Faccio caso all’insegna del negozio. Si chiama “Scintille” e sulla vetrina ha un adesivo con scritto: «Non importa come ti veste, importa come ti fa sentire».  Il vestito che ha indossato stasera Anna davanti a quel negozio l’ha fatta sentire amata. E le cadeva a pennello.

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