Che fine hanno fatto quelli dell’Aquarius?

Anche a Cheste, dove sono stati accolti i migranti della nave di Sos Mediterranée, sorgono i normali problemi di chi cerca un futuro migliore in Europa.

 

La nave Aquarius, dell’Ong Sos Méditerranée, in collaborazione con Medici senza frontiere, è partita mercoledì dal porto di Valencia con destino alle acque internazionali di fronte alla costa libica. Li continuerà il suo lavoro umanitario di salvataggio marittimo. Nicolas Stalla, coordinatore responsabile delle operazioni, ha assicurato che tornare a Valencia «non si dovrebbe ripetere perché è giusto attraccare nel porto più vicino alle operazioni», com’è stabilito dagli accordi internazionali.

A Cheste, una cittadina distante 29 km da Valencia, in un complesso educativo sono stati alloggiati temporalmente gli oltre seicento migranti sbarcati dall’Aquarius. Probabilmente inconsapevoli del trambusto che l’episodio Aquarius ha originato tra i partner europei, non capiranno perché il premier spagnolo, Pedro Sánchez, ha avuto un tal gesto di solidarietà. Non lo capiranno neanche gli analisti politici, cercando di vederci dietro forse una manovra elettorale. Quel che certamente i sopravvissuti hanno visto davanti a loro è un orizzonte più aperto: 45 giorni di asilo in Spagna con diritto agli aiuti previsti negli accordi europei nel Fondo europeo per i rifugiati, cioè, in sostanza garantire alloggio degno, alimentazione e attenzione sanitaria.

Oltre 340 comuni, piccoli e grandi, in tutta la Spagna si sono già offerti di accogliere alcuni di questi migranti, una volta che il governo avrà «deciso quante persone rimarranno e in quale forma», come ha detto martedì scorso Abel Caballero, presidente della Federazione spagnola dei comuni e provincie (Femp). «Tutti sono sotto l’attenzione del governo – ha aggiunto – finché questi uomini e queste donne saranno in grado, per condizioni legali, fisiche e sanitarie, di essere accolti in qualche luogo della Spagna». Mentre le pratiche vanno avanti, sembra che alcuni dei rifugiati abbiano già deciso cosa fare. Col documento che hanno ora in mano, e col quale possono muoversi liberamente dentro il territorio nazionale hanno sollecitato appuntamenti per chiedere protezione internazionale. Altri, almeno sei, hanno lasciato le istallazioni di Cheste e non sono più tornati. Probabilmente hanno in mente di passare in Francia, dove per diverse ragioni sembra più facile radicarsi, o forse che hanno dei contatti o famigliari in qualche altro Paese europeo.

Un interessante articolo dell’analista politico, esperto in affari europei, Carlos Buhigas Schubert, pubblicato dal El País, avverte sulla complessità delle migrazioni, dove si cercano e giustificano scorciatoie a un fenomeno che ormai è entrato nell’agenda politica come una sfida a lungo termine. Parlando poi di solidarietà, afferma che «non c’è niente di più controproducente della solidarietà di parola e non di fatto. C’è una constante tensione nel dibattito tra i sentimenti, le convinzioni morali, i gesti, la distribuzione di responsabilità, le conseguenze delle decisioni e la possibilità di misure concrete. Non essere ancora capaci di trovare una correlazione tra il discorso e i risultati sta fomentando una considerevole polarizzazione nell’opinione pubblica».

 

 

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