Chaplin: l’ultimo Natale di un poeta del cinema

Tra i fondatori della settima arte, più volte premiato con l’Oscar, è stato un genio romantico, pieno di sensibilità, sfumature e delicatezza, ma anche sempre impegnato nel sociale, contro le ingiustizie e le violenze del potere

C’è da giurare che a 40 anni dalla morte di Charlie Chaplin (ma non di Charlot, che non ha età!), avvenuta in piena notte di Natale del 1977, a Corsier-sur-Vevey, sulla riva settentrionale del lago di Ginevra, ci sarà un’atmosfera natalizia tutta particolare. Non solo perché quella zona svizzera è piena di abeti e in questa stagione di cime innevate, ma pure perché in quel paesino elvetico-francese il grandissimo Charlie aveva vissuto dal 1953, quindi l’ultimo quarto di secolo della sua esistenza straordinaria, circondato dall’amore della terza moglie Oona O’Neal, figlia del poeta premio Nobel inglese, e dei loro otto figli.

D’altronde Chaplin era lui stesso un personaggio “natalizio”, nel senso dell’innocenza e dell’infanzia perenne del suo protagonista più famoso, Charlot appunto, l’omino con la bombetta, il bastoncino di bambù, la camminata ondeggiante, i pantaloni sformati e le scarpe troppo grosse.

Non a caso Federico Fellini una volta ricordava che quando lui era ragazzo nella sua Rimini i film di Chaplin venivano proiettati immancabilmente a Natale. Ma a parte questo era l’attore stesso che teneva alla festa della Natività, al suo clima e alla sua magia. Per quanto si sa, pure per testimonianza della primogenita Geraldine, l’unica tra i figli ad aver avuto una sua carriera cinematografica, suo padre non era credente; tuttavia perfino quella notte che era agli estremi chiese alla moglie di lasciar aperta la porta della camera da letto per gustare le note delle Christmas Carols che salivano dal salone di casa, secondo una tradizione che la famiglia seguiva da oltre vent’anni.

Scarpe e cappello di Charlie Chaplin
Scarpe e cappello di Charlie Chaplin

Si può immaginare quindi come in questi giorni, e specialmente oggi, siano pervase di nostalgia chapliniana e nello stesso tempo di atmosfera natalizia non solo la “Menoir de Ban”, cioè la villa residenziale dei Chaplin, ma anche tutte le fondazioni e le attività che le sono sorte intorno in questi quattro decenni: dal “Chaplin’s World”, il museo a lui dedicato, agli Studios vicini alla dimora, dove sono allestite le riproduzioni 3D dei set cinematografici con i protagonisti dei suoi immortali capolavori.

In Svizzera Chaplin era approdato a 63 anni non di sua volontà ma per scelta indotta. Infatti nel 1952, mentre era in Europa con la famiglia, gli fu notificato il divieto da parte del governo americano di rientrare negli Usa, dove lavorava a Hollywood da oltre trent’anni girandovi decine di film. Un’America anticipatrice mutatis mutandis di Trump, quella del maccartismo (dal senatore Joseph McCarthy) e della “caccia alle streghe” contro i radical veri o presunti della cultura, dello spettacolo e non solo, spacciati per comunisti e filosovietici, colpiva duro anche con l’immenso Chaplin, che allora aveva già realizzato le sue opere maggiori applaudite in tutto il mondo: Il monello (1921), La febbre dell’oro (1925), Luci della città (1931), Tempi moderni (1936) e Il grande dittatore (1940).

Paradossalmente, anche se assurda e ignobile, la campagna contro Chaplin e la sua espulsione ci aiutano a leggere la grandezza e la complessità del suo genio rappresentativo. Infatti nei suoi film e nei suoi personaggi, specie nell’omino battezzato dal pubblico come Charlot, Chaplin è stato un grande romantico, pieno di sensibilità, di sfumature, di delicatezza, un poeta squisito dal grande cuore e dalla fortissima emotività; ma nello stesso tempo in tutta la sua opera c’è l’impegno sociale, la lotta contro le ingiustizie e le violenze del potere e dei suoi rappresentanti.

Il tutto fuso, ricreato ed espresso nella chiave comica tutta sua, da mimo trasfigurato e lanciato ai vertici dell’arte recitativa, e capace per questo di divertire e commuovere, di far ridere e piangere, di toccare nel profondo il cuore degli spettatori di ogni latitudine, e soprattutto di ogni età. Film come Tempi moderni e Il grande dittatore (la profetica satira di Hitler) ritraggono la prima metà del secolo scorso con una originalità e una forza impressionanti. Meno male che alla fine il grandissimo cineasta, che è stato si può dire tra i fondatori della Settima Arte, si è riconciliato pure con il pubblico americano. Gli ultimi due Oscar, nel 1972 e ’73 (il primo lo aveva ottenuto nel ‘29), lo dimostrano. Pure da noi a Chaplin è stato assegnato un premio importante “per i meriti artistici”, e cioè la nomina a Grande Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. La proposta era venuta dal presidente del consiglio di allora, Alcide De Gasperi.

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