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Ce l’hai fatta Joel!

di Marco Catapano

- Fonte: Città Nuova

Nel basket Nba eletto il miglior giocatore della stagione. Si tratta di un ragazzo che, nonostante le tante avversità incontrate, non ha mai mollato

Joel Embiid
Joel Embiid dei Philadelphia 76ers esegue il suo tiro contro i Boston Celtics durante la seconda metà del gioco 6 di una semifinale della Eastern Conference dei playoff di basket NBA, giovedì 11 maggio 2023, a Philadelphia. (AP Photo/Matt Slocum) Associated Press/LaPresse

Uno è un cestista greco con cittadinanza nigeriana, talmente bravo sul campo da gioco da convincere la Disney a realizzare un film basato sulla sua storia. Un altro è nato in Serbia, ed anche se ha da poco compiuto ventotto anni è già considerato dagli addetti ai lavori come uno dei migliori “lunghi” della storia della pallacanestro. Il terzo, infine, è nativo del Camerun, Paese dove ha vissuto fino al 2014 e dove, dopo aver giocato prima a pallavolo e poi a calcio, ad un certo punto si è avvicinato al basket (aveva già quindici anni)… e da quel momento la sua vita è cambiata per sempre.

Nikola Jokic

Il centro dei Denver Nuggets, Nikola Jokic. (AP Photo/Matt York) Associated Press/LaPresse

Giannis Antetokounmpo, Nikola Jokic e Joel Embiid, sono tre stelle della Nba, la National Basketball Association, ovvero la lega di basket più importante del mondo che ogni anno, a partire dalla stagione agonistica 1955-1956, assegna un particolare riconoscimento al miglior giocatore del campionato. In un passato non troppo lontano lo hanno vinto campioni statunitensi del calibro di Kareem Abdul Jabbar e Larry Bird, di Magic Johnson e Michael Jordan, di Lebron James e Stephen Curry. Negli ultimi cinque anni, però, questo premio se lo sono sempre portati a casa cestisti nati fuori dai confini nordamericani.

Antetokounmpo

L’attaccante dei Milwaukee Bucks Giannis Antetokounmpo si riscalda prima della partita (AP Photo/Jeffrey Phelps) Associated Press/LaPresse

Antetokounmpo, stella dei Milwaukee Bucks, lo ha vinto nel 2019 e nel 2020. Jokic, asso dei Denver Nuggets, se lo è aggiudicato nel 2021 e nel 2022. Embiid, fuoriclasse dei Philadelphia 76ers, lo ha conquistato invece proprio pochi giorni fa precedendo, guarda caso, il cestista serbo (secondo classificato) ed il greco (terzo). «È stato un percorso lungo e difficile, ho lavorato duramente e ho dovuto affrontare numerosi ostacoli… e non sto parlando solo di pallacanestro. È una bella sensazione, è semplicemente meraviglioso», ha affermato Joel appena ricevuta la notizia.

Chi conosce la sua storia, sa bene a cosa questo atleta si riferisce, ovvero al tormentato percorso che l’attuale stella dei Sixers ha dovuto affrontare prima di ottenere questo ambitissimo risultato. Trasferitosi giovanissimo negli Stati Uniti (era stato notato e segnalato proprio da un giocatore camerunense che a quei tempi militava in Nba), Embiid frequenta dapprima la Montverde High School, prestigiosa scuola superiore statunitense dalla quale sono usciti molti giocatori poi sbarcati negli anni nella Nba. Successivamente si trasferisce alla The Rock School, presso Gainesville, in Florida e, nel 2012, accetta l’offerta di giocare presso la Kansas University.

Arrivato in America senza conoscere la lingua, Joel in quegli anni si trova più volte sul punto di lasciare la pallacanestro. Si chiede dove sia sbarcato, che mondo sia quello dove si trova e che è lontano anni luce rispetto a quello da cui proviene. Ritrovarsi a calcare i parquet lucidati dei palazzetti a stelle e strisce, ad esempio, è cosa ben diversa rispetto a farlo sui campetti polverosi africani. Certo, si vede che è nato per giocare a pallacanestro, che ha il fisico dalla sua parte, ma per poter competere a certi livelli in questo sport occorre migliorare in tutti i fondamentali di questo gioco (ad esempio nel tiro dalla distanza che, almeno inizialmente, non è proprio nelle sue corde). E non è così facile come può sembrare…

Al primo allenamento nella High School, ad esempio, si fa prendere dal panico e viene cacciato dal suo allenatore mentre i compagni lo deridono. Non meno tenero è il suo esordio al College, quando un suo compagno gli schiaccia in testa con una tale forza dalasciarlo completamente avvilito. Spesso la sera si ritrova da solo, chiuso nella camera del suo dormitorio, dove piange e si domanda il senso del suo essere lì, così lontano dal “suo mondo”. Eppure, non molla. Lavora (tanto) per migliorare come giocatore, per dimostrare che può farcela davvero, e alla fine nel 2014 viene selezionato come terza scelta assoluta al Draft Nba (l’evento annuale in cui le trenta squadre che compongono l’Nba possono scegliere nuovi giocatori).

Purtroppo, però, il suo esordio nei Philadelphia 76ers viene continuamente rimandato a causa di una frattura da stress del piede destro che gli impedisce di giocare. Una bella botta, ma niente in confronto al dolore che prova quando, il 16 ottobre del 2014, gli arriva la notizia che suo fratello minore, Arthur, di soli tredici anni, ha perso la vita in un incidente stradale. Così torna in Africa per i funerali del fratello, che non vedeva da quando, tre anni prima, era emigrato negli States, e comincia ad essere tormentato dai dubbi.

Il piede, nel frattempo, pare proprio non volerne sapere di guarire, tanto che nell’estate successiva Joel è costretto a sottoporsi ad un secondo intervento chirurgico che lo porta a saltare completamente anche la sua seconda (solo potenziale) stagione in Nba. A complicare le cose ci si mette anche il rendimento della squadra, che tocca in quella stagione uno dei punti più bassi della sua storia (Philadelphia chiude l’annata 2015-2016 con un record negativo di sole 10 vittorie a fronte di 72 sconfitte). Joel non può aiutare la squadra che, scegliendolo, aveva riposto in lui tante aspettative, e molti beniamini dei Sixers lo prendono di mira vedendo, nella sua prolungata assenza, una delle cause del fallimento della squadra.

Eppure, anche questa volta, il giocatore camerunense trasforma un problema in un’opportunità. Tiene duro, continua per quanto possibile ad allenarsi, ed alla fine il tanto agognato esordio in Nba arriva davvero, anche se con oltre due anni di ritardo. È il 26 ottobre del 2016, l’avversario di turno sono gli Oklahoma City Thunder. Embiid segna 20 punti, fornendo una prestazione “di sostanza” condita anche da 7 rimbalzi e 2 stoppate. Il suo debutto viene accolto in città come una liberazione: che sia proprio lui l’erede del “mitico” Doctor J, il giocatore che tanto lustro aveva dato alla franchigia di Philadelphia decine di anni prima.

Da lì, niente e nessuno può fermare la sua ascesa. Neanche un nuovo brutto infortunio subito pochi mesi dopo al ginocchio sinistro, che ne causa la fine anticipata del suo primo anno tra i professionisti dopo aver collezionato solo 31 presenze. Neanche la frattura dell’osso orbitale sinistro, per cui è costretto a fermarsi nella sua seconda stagione Nba, questa volta (almeno) dopo aver giocato 63 partite e dopo aver contribuito in maniera determinate a riportare Philadelphia tra le migliori squadre della lega. La sua crescita è esponenziale, ed Embiid comincia a collezionare un risultato dopo l’altro.

Partita dopo partita migliora sempre tanto che oggi viene considerato unanimemente come uno dei migliori centri del mondo, una delle stelle più luminose della pallacanestro attuale. Da sei anni è convocato per l’All Star Game, uno degli eventi più importanti della stagione. Da due anni è il miglior marcatore della stagione. Vincere il premio di miglior giocatore dell’anno, a guardar bene, è solo la logica conclusione di un percorso in cui Joel ha saputo costantemente trasformare ostacoli ed eventi negativi, in stimoli ed energia per andare avanti.

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