Catalogna, le ragioni degli indipendentisti

In una lettera da Barcellona, un amico di “Città Nuova” cerca di spiegare le ragioni di chi invoca l'indipendenza dei catalani dalla Spagna, che non si situerebbero nella discussione politica, ma nelle basi naturali dell’autonomia dei popoli. Per capire e discernere bisogna ascoltare.

L’errore a cui massicciamente vogliono portarci i discorsi dei politici spagnoli è di incolpare i dirigenti politici catalani di condurre il popolo alla secessione, senza accorgersi che è stato, viceversa, il popolo a premere su coloro che lo rappresentano.

È stato questo popolo che ha visto le aspettative aperte durante la transizione politica del 1978 sfumare progressivamente, con successive interpretazioni della costituzione di tipo restrittivo dei loro diritti da parte di tutti i governi che si sono succeduti a Madrid, aggressive nei confronti delle caratteristiche culturali della Catalogna e delle sue esigenze di autogoverno.

Il governo attuale del Partito Popolare ha fatto sì che il vaso fosse colmo. Il popolo catalano, dal 1910 in poi, ha radunato anche due milioni di persone senza minimamente essere ascoltato, anzi vedendo nuove misure minacciare persino la propria sopravvivenza come popolo. Si tratta non di un problema politico, ma pre-politico, cioè del riconoscimento di un popolo nella sua identità differenziata, con una lingua e una storia millenaria, sopravvissuto a più tentativi di genocidio, dal 1714 in qua.

È un movimento pacifico che bisogna associare a quelli che, in mondi e circostanze diversi, hanno mosso Gandhi, Luther King, ecc. Si tratta di una realtà naturale che appartiene allo stesso piano di Dio sull’umanità, con la sua varietà di lingue, culture e popoli, al servizio del quale si può collaborare oppure no.

Non si tratta, dunque, di promuovere un dialogo “light”, alleggerito, tra i rappresentanti politici per trovare un equilibrio, ma di un vero dialogo tra i popoli. Ma questo implica una accettazione reale, sincera e concreta “dell’altro”, della sua specificità, con una dignità simile alla propria, e che non è più un bambino che deve semplicemente ubbidire. Questo è il passo che il popolo spagnolo è chiamato a fare.

Da notare poi che non si trova, nel popolo catalano, nulla contro la gente del resto della Spagna, nessun accenno all’odio. La consapevolezza che la popolazione ha della propria identità, infatti, la si scopre nel rapporto con gli altri. Ma è impossibile trovarla se uno è chiuso, se guarda solo a se stesso.

In questi giorni a Barcellona sto assistendo ad uno spettacolo di vita. Una vita piena di gioia, di illusione, che ha traboccato lo stretto obiettivo della sopravvivenza per lanciarsi a “crescere nell’essere”. E la vita, lo sappiamo, non è creazione della creatura, ma è un dono costante che il Creatore ci dà.

Il guaio in Spagna è che, con la morte di Francisco Franco, non c’è stata una revisione della dittatura franchista e della sua crudeltà. C’è stata una apertura totale al liberalismo e al capitalismo internazionale e ci sono state delle modifiche nelle forme politiche, che hanno consentito a tanti semplicemente di cambiare giacca.

Si conosce perfettamente, per esempio, quanto Fraga Iribarne, un ministro di Franco, abbia condizionato e guidato la politica della democrazia spagnola per decenni. Si ricorderà poi l’assalto al parlamento (Las Cortes) di Tejero nel 1981, un avvertimento: si stava andando troppo in fretta nell’uso delle libertà. Le successive misure di Martin Villa per “armonizzare” (omogeneizzare) la Spagna, quelle per rompere l’unità culturale tra i vari paesi di lingua catalana (Catalunya, Valencia e Baleari) con ogni mezzo, tra cui il blocco delle trasmissioni televisive comuni per impedirne la fratellanza, oppure la volontà di mantenere costanti tra gli spagnoli i valori (?) nazionalisti esclusivisti (franchisti o fascisti, come si preferisce) concedendo allo Stato un valore assoluto, cosa che da un punto di vista cristiano equivale a una vera idolatria.

Lo Stato è unacosa”, una creazione umana, non è la nazione culturalmente intesa, che è invece un fatto della natura. E tutto ciò grazie ai mezzi di comunicazione al servizio, appunto, della compattezza dello Stato.

Ieri sera mi trovavo in piazza Catalunya ,affollata di gente felice di essere riuscita a fare il referendum, malgrado gli ostacoli di ogni tipo messi in atto dallo Stato, grazie alla collaborazione di migliaia di persone che hanno trascorso la notte nei luoghi previsti per la votazione per custodire le urne e le schede di voto. Una permanenza rotta solo dalla crudeltà della polizia statale, che ha fatto ben 890 feriti, ma che non ha impedito l’annuncio della vittoria del sì al referendum e la conseguente decisione di convocare il parlamento catalano per iniziare il processo di indipendenza. Un’ondata di gioia ha invaso la mia anima per un senso di libertà mai prima sperimentato in vita mia. Mi sentivo finalmente vero cittadino, vero corresponsabile del cammino di questa nazione.

Il fatto è che la Catalogna lancia un messaggio che mette tanti Stati europei in crisi, con le aspirazioni delle loro minoranze nazionali disattese. Lancia pure un messaggio al mondo: tutti (non solo la Spagna) dovrebbero rivedere le loro strutture per rispettare pienamente le loro minoranze prima che diventi troppo tardi. Voglio credere che gli Stati liberali abbiano la capacità di adattarsi anche a questo caso, come hanno dimostrato col Welfare e a costituzione dell’Unione europea.

Certamente, come diceva il nostro presidente, si tratta di un “inizio”. Il futuro è aperto a tanti scenari. Dai più positivi (una maggiore realizzazione dell’unità dell’intera umanità nella sua diversità) ai più negativi, come la distruzione di questo Paese. Da qui viene che la responsabilità di ognuno, catalano, spagnolo, europeo, è grande.

Il Movimento dei Focolari in Spagna ha emesso un comunicato in cui auspicava che si promuovesse un vero dialogo tra i politici. Io aggiungerei: «Bisogna riconoscere il diritto naturale di tutte le nazioni dello Stato spagnolo alla loro libera decisione su come orientare il proprio futuro». E poi eventualmente: «Desideriamo che le trasformazioni che la situazione attuale esige si realizzino nella pace, nell’ascolto e nell’accoglienza dell’altro, con la convinzione che ne esca una bellezza maggiore di Spagna e di Europa, nel cammino verso l’unità di tutta la famiglia umana».

 

Sull’argomento leggi anche Verso il referendum e Triste referendum

 

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