Il caso Mimmo Lucano dopo la sentenza di Locri

La pesante condanna in primo grado dell’ex sindaco di Riace divide il Paese aprendo una questione che non potrà chiudersi facilmente. Intervista audio a Toni Mira, inviato speciale di Avvenire, coautore per Città Nuova di "Spezzare le catene. Un  lavoro libero tra centri commerciali e caporalato"
Riace, manifestazione di solidarietà per la condanna di Domenico Lucano Photo Valeria Ferraro/LaPresse

Mimmo Lucano, ex sindaco di Riace, in Calabria, è stato condannato in primo grado dal Tribunale di Locri chiamato a decidere, come riporta l’agenzia Ansa, sui reati presunti di «associazione per delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina».

La misura della condanna è di 13 anni e due mesi di reclusione, quasi il doppio di quanto richiesto dal Pubblico ministero. Senza contare l’obbligo di versare 500 mila euro corrispondenti ai finanziamenti europei e nazionali impiegati per la politica di accoglienza dei migranti che hanno fatto del paesino calabrese un esempio a livello mondiale.

Dopo l’arringa della difesa guidata dall’autorevole penalista Giuliano Pisapia, già sindaco di Milano, pieno di riferimenti alla Costituzione, a Piero Calamandrei e a don Milani, ci si aspettava una decisione favorevole per l’ex sindaco ora impegnato nelle elezioni locali in una lista a sostegno della candidatura a presidente della Regione Calabria dell’ex magistrato e sindaco di Napoli, Luigi de Magistris.

Per valutare la gravità delle pene inflitte, molti commentatori invitano a considerarle con riferimento alla sentenza che ha condannato Luca Traini a 12 anni di reclusione per tentata strage per aver sparato a casaccio, nel 2018 a Macerata, contro 6 migranti per motivi di odio razziale.

È scattata perciò immediatamente una mobilitazione a favore di Lucano che si sta esprimendo sui social ma anche fisicamente con la chiusura della campagna elettorale a Riace in solidarietà con l’ex sindaco che è apparso molto provato moralmente nelle dichiarazioni rilasciate a caldo dopo aver ascoltato il verdetto del Tribunale.

Le dichiarazioni di prassi invitano ad avere fiducia nel percorso della giustizia e di attendere di conoscere le motivazioni della sentenza, ma è difficile contenere la reazione di una parte dell’opinione pubblica che paragona il caso calabrese a quello francese del contadino Cédric Herrou, assolto in Cassazione dopo essere stato condannato in diversi gradi di giustizia per il cosiddetto reato di fraternità, cioè per aver aiutato migranti irregolari provenienti dall’Italia ad introdursi in Francia. Anche il vescovo Giancarlo Bregantini è intervenuto nel processo di Locri a difesa di Lucano in base al testo dell’enciclica “Fratelli tutti” esposta ai giudici, come ha riferito il missionario comboniano Alex Zanotelli, anch’egli intervenuto in aula come testimone della difesa.

Addirittura il segretario del Pd Enrico Letta ha detto che con la condanna di Lucano  «si dà un messaggio terribile, pesantissimo, che credo farà crescere la sfiducia nei confronti della magistratura» attirandosi così le accuse di doppiopesismo da parte della destra per il diverso atteggiamento assunto nei confronti di Luca Morisi (che è stato il massimo collaboratore nel campo della comunicazione mediatica di Matteo Salvini, leader della Lega), indagato dalla procura di Verona per cessione e detenzione di stupefacenti.

Allo stesso tempo, su Il Giornale di proprietà della famiglia Berlusconi, Gian Micalessin invita a tener presente che i problemi per il modello Riace sono arrivati in prima battuta dal ministero degli Interni guidato dal calabrese Marco Minniti, storico esponente calabrese del Pd.

La questione “Lucano” è destinata, perciò, ad attraversare i diversi schieramenti e a generare prese di posizione radicalmente diverse come in precedenti casi avvenuti in passato in Italia, come ad esempio quello di Danilo Dolci in Sicilia o di don Zeno Saltini in Emilia.

Toni Mira sull’Avvenire, quotidiano della Cei, osserva che la sentenza di Locri è «decisamente pesante e inaspettata. Con pene che alcune volte non colpiscono neanche i mafiosi. E Lucano mafioso non è. Né si è arricchito con l’accoglienza. Lucano non è un corrotto». Allo stesso tempo Mira, che da inviato speciale conosce molto bene la situazione del nostro Mezzogiorno, riconosce che l’ex sindaco in maniera testarda «non ha accettato i consigli di chi, anche nelle istituzioni, lo voleva aiutare. Altri, anche nelle istituzioni, hanno preferito attaccarlo invece di aiutarlo. Ed è stato corto circuito».

Mira ricorda che «altri sindaci, quelli del sistema Sprar, hanno fatto e fanno una bella ed efficace accoglienza senza uscire dal seminato delle leggi». Ma ciò che occorre per comprendere il contesto generale dove si colloca il caso di Mimmo Lucano, secondo Avvenire, è la notizia del 30 settembre, trascurata dai media, della morte avvenuta di Omar, un lavoratore immigrato di cui conosciamo a malapena il nome ma che è rimasto bruciato vivo in un incendio scoppiato nella baraccopoli di Mazara in provincia di Trapani.

Come giudicare un Paese che magari «salva gli immigrati, li accoglie, ma poi li dimentica, lasciandoli in mano a sfruttatori e caporali»? In questi casi, come afferma Toni Mira nell’intervista audio che segue, si cononosco i colpevoli che tuttavia difficilmente verranno condannati in giudizio.

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