Carri armati contro i narcos

Soldati nelle favelas per affermare la forza dello Stato. La popolazione è entusiasta. Ma basta la repressione per risolvere il problema? Esperti a confronto.
soldati contro il narcotraffico nelle favelas brasiliane

I fatti Qualche settimana fa, Rio de Janeiro assisteva a scene degne di una guerra. Nove carri armati della Marina entravano insieme a circa duemila soldati al Complexo do Alemão, un gruppo di 40 favelas nel nord della città, con circa di 400 mila abitanti. La popolazione di Rio – e di tutto il paese – seguiva perplessa quelle scene che rimandavano ai momenti più duri del regime militare in Brasile.

L’assetto da guerra è indubbiamente una reazione del governo di Rio e del governo federale agli attacchi del narcotraffico cha ha colpito in diversi punti della città con assalti, incendi di auto private e di autobus, sequestri e blocco di vie pubbliche: tutti chiari tentativi di intimidazione in risposta anche allo schieramento della cosiddetta polizia di pace dispiegata in 12 favelas della città.

 

La gente e il Governo I grandi capi del narcotraffico non si aspettavano una reazione così forte e immediata. Sapevano che, in vista della Coppa del Mondo del 2014 e delle Olimpiadi di 2016 a Rio de Janeiro il governo avrebbe provato a riprendere il controllo delle favelas, ma non immaginavano un’azione di questo genere. Si è partiti da Vila Cruzeiro – una delle più grandi del Complexo do Alemão – dove sono state arrestate 120 persone e sequestrati ingenti quantitativi di droga e armi. Fuggiti i grandi leader dello spaccio che hanno trovato temporaneo rifugio nelle altre favelas, sgomberate poi con la forza sempre dalla polizia. La gente ha sostenuto l’operazione, incoraggiata anche dai media nazionali che hanno spiegato il piano e le conseguenze. Tanti intervistati parlavano di liberazione perché da decenni la polizia era impotente di fronte al narcotraffico, vero governo del quartiere e della vita pubblica e privata del territorio. La presenza dello Stato fa, comunque, sperare in una vita più tranquilla e senza violenza, anche se aleggia la preoccupazione per il futuro. Cosa succederà dopo questa prova di forza? Si chiedono i leader delle comunità.

 

Gli esperti Il sociologo Antônio Flávio Testa, dell’universitá di Brasilia e assessore del Senato federale per la sicurezza pubblica, ritiene che l’invasione delle favelas abbia smontato l’organizzazione del narcotraffico locale, ma questo non impedirà che possa essere riorganizzato da un’altra parte. L’ex-segretario alla Sicurezza dello stato di Rio de Janeiro, Luis Eduardo Soares, spiega che la violenza e il narcotraffico sono strutturali e vanno affrontati con un programma di inserimento sociale e di promozione umana ad ampio raggio e di lunga durata. «Quando si è in crisi, si adottano misure estreme, disperate. Si utilizzano – spiega – gli strumenti disponibili per contenere i sintomi e salvare il paziente. Il problema è nazionale e non può essere contenuto con soluzioni emotive e di emergenza».

 

Narcos e miliziani Secondo Soares, è stata l’assenza dello Stato nelle favelas che ha portato, pian piano, al dominio del narcotraffico. Dagli anni 60 il narcotraffico è diventato talmente potente da essere divenuto una sorta di governo parallelo nelle favelas, garantito dalla forza della violenza e dell’intimidazione. Erano i boss che decidevano i benefici per la popolazione locale, controllando anche l’ingresso delle persone nel “loro territorio”. Di tanto in tanto la polizia entrava nelle favelas in cerca di qualche trafficante. Ma era più per una dimostrazione di forza – spesso per vendicare la morte di qualche agente – che per garantire la sicurezza alla popolazione. Anche perché c’è sempre stato un accordo, più o meno tacito, fra polizia e narcotraffico, nel senso di una protezione reciproca. Molti poliziotti ricevevano mazzette per lasciar tranquilli gli spacciatori e la popolazione si è abituata a vivere in questo ambiente corrotto. Negli ultimi anni sono entrati in questo gioco di potere anche le milizie. Poliziotti corrotti – con “affari” nel commercio e nella politica – hanno formato gruppi di potere, che garantivano sicurezza alla popolazione contro il traffico, ma in cambio facevano pagare tasse su tutti i servizi pubblici e sull’uso dello spazio per l’abitazione o per i negozi. In tante favele, le bande dei narcotraficanti sono state sostituite da queste milizie, che mantenevano la “pace” con la violenza e la persecuzione: una chiara dimostrazione dell’assenza dello Stato e della commistione fra malaffare, polizia e politica.

 

Cosa fare? Per il sociologo Antônio Testa, la prima cosa da fare è cambiare il modo di vedere la questione sicurezza. Questa non è, secondo lui, un problema di polizia, ma una questione di governo. In questo senso sarà necessario coinvolgere tutti gli ambiti dello Stato, tutta la società. «Storicamente – spiega – c’è sempre stato uno squilibrio molto grande nelle azioni del governo, con la tendenza di privilegiare la polizia». In questo modo, però, la reazione pubblica è «sempre violenta, crudele e non risolve il problema della criminalità». Per Luiz Eduardo, la polizia non è preparata per affrontare il problema della violenza nella sua complessità. Per questo ci vuole un cambiamento radicale nel modo di vedere e di preparare gli agenti (in Brasile, ci sono due polizie: una militare e un’altra civile). «Attualmente, il modello formativo – spiega – è ancora quello ereditato dalla dittatura, che serviva alla difesa di uno Stato autoritario. Non serve alla difesa dei cittadini». Per questo motivo, non si può affidare la sicurezza della popolazione solo alla polizia, che deve supportare il governo, ma non sostituirlo nelle aree disagiate. Servirebbero meccanismo di controllo degli agenti, investimenti seri nella formazione e salari più degni. 

 

 

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