I “Carmina Burana” del Ballet du Grand Théâtre de Genève

Il coreografo Claude Brumachon traspone in danza per il raffinato ensemble europeo, l'affresco visionario del ciclo umano e cosmico dell’opera di Carl Orff. Al Teatro Comunale di Vicenza, il 26 e 27 gennaio

È un flusso quasi ininterrotto di movimenti, un turbine inarrestabile di sequenze ora violente ora liriche, a tratti ebbro e tellurico, come la musica del suo autore di cui la coreografia restituisce i versi evocativi. Il balletto Carmina Burana nelle mani di Claude Brumachon (per oltre 20 anni direttore del Centre Chorégraphique di Nantes, fra i più importanti centri nazionali di danza contemporanea) diventa un grande affresco visionario del ciclo umano e cosmico, della natura e dell’amore, di quel “Theatrum mundi” descritto nella cantata medievale dei clerici vagantes, a cui si ispirò Carl Orff per la sua omonima composizione, tra le più popolari del ‘900.

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Per la prima volta al lavoro con il Ballet du Grand Théâtre de Geneve – la prestigiosa compagnia svizzera diretta, dal 2003, da Philippe Cohen, e conosciuta dal pubblico italiano per le sue riletture in chiave contemporanea dei grandi classici dell’800 e del primo ‘900 –, il coreografo francese ha sfoggiato una grande parata anzitutto estetica chiamando per i costumi Livia Stoianova e Yassen Samouilov (che vestono, tra gli altri, star dello showbiz come Lady Gaga) per abbigliare soprattutto le 6 dee, le dominatrici dell’umanità che rappresentano il sacro, l’amore, la povertà, il potere, la salute, il coraggio e l’angoscia. Esse sembrano uscire dalla foresta magica dello scespiriano Sogno di una notte di mezza estate, o dal quadro di Bosch Il Giardino delle delizie.

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Se tutti i danzatori si distinguono per i costumi – alquanto kitsch – color carne segnati da alcune linee luccicanti, quelle figure di un mondo fantastico e invisibile che incarnano lo spirito e la poesia quali elementi che possono salvare l’umanità dal suo destino miserabile, hanno ali d’angelo e sporgenze floreali, colori accesi come il rosso il giallo il viola, e fogge lunari. Stanno tutte sullo sfondo ma determinano gli eventi mossi dalla dea Fortuna, i cui capricci e decreti determinano il destino degli uomini, che vorrebbe risucchiare in una sorta di inferno dantesco l’umanità, sempre in procinto di essere travolta, in lotta perenne per sopravvivere al maremoto dell’anima, per staccarsi da terra e ascendere alla pacificazione del Paradiso.

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Brumachon muove la massa di danzatori tra armonia e caos, con entrate e uscite continue isolando gruppi coppie e singoli in pose scultoree e pittoriche, in corpi frementi, collassanti, che da terra si staccano nella posizione eretta, si intrecciano, si aggrappano gli uni agli altri, si smembrano, corrono, si ricompongono nel voluttuoso fantasticare della musica. Sono movimenti in cui riconosciamo quel linguaggio energico, fisico, carnale, veloce e riflessivo di Brumachon, fatto di contratture, di scatti e di arresti, di stiramenti, di cadute e risalite. Rivediamo anche quella ripetitività che rappresenta anche il suo limite, espressione di una più ampia riflessione sul movimento strutturato e destrutturato ma che negli anni non è si evoluto più di tanto, fermandosi a un linguaggio grammaticale e gestuale la cui vena creativa sembra ormai esaurita.

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