Carlo Alberto Dalla Chiesa: “Il nostro generale”

Racconta l'ufficiale, l'uomo pubblico, quello dello Stato, ma anche il marito, il padre, l'uomo della famiglia, la serie tv dedicata a Carlo Alberto dalla Chiesa, in onda in quattro (prime) serate su Rai1: l'8 e il 9 gennaio scorsi, e poi lunedì e martedì prossimi, il 16 e 17 gennaio (ma tutto si recupera comodamente su Raiplay)
Dalla Chiesa Wikimedia Commons

Prodotta da Rai fiction in collaborazione con la Stand by me di Simona Ercolani, la serie si intitola “Il nostro generale”, dove l’aggettivo “nostro” è riconducibile agli affetti privati del protagonista – a cui viene dato ampio spazio nel racconto – ma può esserlo anche a quei giovani, coraggiosi carabinieri ai quali viene concesso lo stesso, se non più ampio, spazio nella serie: quei ragazzi che dalla Chiesa radunò formando il Nucleo Speciale Antiterrorismo, quando iniziò la sua lunga, proficua battaglia contro le Brigate Rosse. Ma quel “nostro” può essere riferito anche agli italiani tutti, per i quali l’ostinata determinazione di un uomo che ha pagato con la vita per il coraggio di essersi posto (sempre) in prima linea contro (diversi) nemici dello Stato, ha significato la vittoria della democrazia sul progetto eversivo della violenza armata di matrice politica.

Va da sé che sia una serie sulla storia italiana recente, quella diretta da Lucio Pellegrini e Andrea Jublin, con Sergio Castellitto nei panni di Carlo Alberto dalla Chiesa: una serie che, mentre omaggia con calore costante il protagonista, percorre un ponte drammaticamente capace di unire gli anni di piombo a quelli degli omicidi, della guerra e delle stragi mafiose. Inizia proprio da qui, Il nostro generale, dal tragico attentato del 3 settembre 1982 in via Carini, a Palermo, in cui dalla Chiesa morì insieme alla seconda moglie, Emanuela Setti Carraro, e all’agente della scorta Domenico Russo; ma poi fa un balzo indietro di quasi un decennio, tornando al 1973 in cui il generale venne trasferito da Palermo, dove già era impegnato nella lotta alla mafia, a Torino, dove le brigate rosse avevano iniziato le loro prime azioni criminali. Comprese subito, dalla Chiesa, la vastità del fenomeno e con metodi innovativi, ben compreso quello dell’infiltrazione, riuscì a sferrare i primi importanti colpi a un nemico tanto sfuggente e allora sconosciuto quanto determinato e organizzato. Lo fece, appunto, mettendo insieme una squadra di giovani altrettanto coraggiosi, e appartiene a uno di loro la voce narrante che accompagna il susseguirsi dei fatti, qui ricostruiti, oltrechè con tanto, prezioso materiale di repertorio (valore aggiunto della serie!) con una regia poco interessata all’esibizionismo, anche se con diversi momenti da coinvolgente poliziesco, e una sceneggiatura tanto densa di avvenimenti pubblici quanto capace di sostare tra le mura domestiche di Carlo Alberto dalla Chiesa, nei suoi momenti con la moglie Dora Fabbo (ben interpretata da Teresa Saponangelo), sobriamente e puntualmente al fianco del marito, non dietro, ma accanto, e per questo senza dubbio importante, e in quelli coi suoi tre figli, Rita, Nando e Simona. Potente, in questo senso, un dialogo tra Carlo Alberto e il figlio Nando, in cui il padre chiede al figlio di aiutarlo a capire da dove nasca l’odio dei giovani per le generazioni precedenti, quello che il generale incontra ogni giorno portando avanti il suo lavoro. Nando, in modo franco, maturo e intelligente, gli offre una sua analisi storica, mentre si avverte, in mezzo alle loro non banali parole, una toccante tensione affettiva, tutta la bellezza di un rapporto tra genitore e figlio reso struggente dalla ferita sociale tra padri e figli che in quel momento storico taglia il Paese. Una ferita che attraversa l’anima del protagonista senza ridimensionarne la statura umana e professionale, seppure Il nostro generale non scansi i passaggi delicati sulla P2. La serie cerca di ricostruire un ritratto di Carlo Alberto dalla Chiesa affettuoso ma anche articolato, non semplificato, nel quale viene chiaramente raccontata la sua vita dedita a un chiaro sacrificio. Fa venire inevitabilmente in mente, questa serie storica e civile, capace di attraversare col suo passo spedito tutta la complessità anche dolorosa di cui l’Italia è composta, quella recente di Marco Bellocchio su Aldo Moro, Esterno Notte”, ma con un paio di differenze sostanziali: se lí si raccontava in sei episodi di quasi un’ora l’uno “solo” il sequestro e l’omicidio Moro, qui il viaggio lega molti più anni e molti avvenimenti. Se lí il linguaggio lí era basato su un’autorialitá spiccata e vistosa, qui si procede con un’asciuttezza più classica, più accessibile ma anche piuttosto efficace, per tutti.

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